2.6 GLI INDICATORI DELLA PERICOLOSITÁ SOCIALE
Il compito del perito è valutare la presenza e persistenza della pericolosità sociale psichiatrica da un punto di vista clinico.
Per assolvere tale obbligo, egli deve tenere presente i seguenti indicatori, interni (Fornari, 2005):
- presenza e persistenza di una sintomatologia psicotica e florida e riccamente partecipata a livello emotivo, alla luce della quale il reato assume “valore di malattia”;
- assente consapevolezza di malattia (insight);
- non accettazione delle terapie prescritte;
- mancata o inadeguata risposta a quelle praticate (purché adeguate sotto il profilo qualitativo e del range terapeutico ed effettivamente somministrate);
- presenza di segni di disorganizzazione cognitiva e di impoverimento ideo-affettivo e psico-motorio (sensibile compromissione delle abilità sociali e delle risorse premorbose) che impediscano un compenso in tempi ragionevoli.
Dal momento che genesi e dinamica del disturbo mentale sono di tipo multifattoriale e circolare, il perito deve considerare anche gli indicatori esterni quali (Fornari, 2005):
- caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale di appartenenza (accettazione, conglobamento, rifiuto, indifferenza);
- esistenza e adeguatezza dei Servizi psichiatrici di zona, disponibilità e capacità di formulare progetti terapeutici da parte degli stessi;
- possibilità di (re)inserimento lavorativo o di soluzioni alternative;
- tipo, livello e grado di accettazione del rientro del soggetto nell’ambiente in cui viveva prima del fatto-reato;
- opportunità alternative di sistemazione logistica.
Attraverso questi indicatori il perito potrà escludere la pericolosità sociale psichiatrica quando si troverà di fronte a (Fornari, 2005):
- spegnimento o anche solo sensibile attenuazione della sintomatologia psicotica florida che ha determinato il passaggio all’atto;
- ripristino di una sufficiente consapevolezza di malattia;
- recupero di capacità di analisi, di critica e di giudizio adeguate;
- possibilità di ottenere, da parte del paziente, una spontanea, attendibile accettazione degli interventi terapeutici, compresi quelli farmacologici e buona compliance alle terapie;
- disponibilità degli operatori dei Servizi psichiatrici o di altri specialisti, presso Case di cura o nel settore privato, a prendersi effettivamente in cura i soggetti;
- soluzioni di specifici problemi concorrenti alla genesi e alla dinamica dell’atto;
- prospettiva di rientro in famiglia o di assegnazione a strutture comunitarie;
- reperimento o ripresa di un’attività lavorativa e di altre attività socialmente utili per una positiva (re)integrazione.
Il perito deve tener conto di tutti questi indicatori, in positivo e in negativo, per formulare il suo giudizio clinico, senza che necessariamente essi siano assenti o presenti nella loro globalità.
Inoltre, questi indicatori vengono utilizzati per decidere il tipo, i tempi e le modalità di intervento sociosanitario da attuare e da sottoporre a verifiche periodiche.
Da ciò discende la correttezza di una risposta come (Fornari, 2005):
- Assenza di pericolosità sociale in atto
Il paziente è seguito dai Servizi psichiatrici del territorio e con essi collabora; la famiglia (o una struttura sostitutiva) ha assunto un atteggiamento positivo nei suoi confronti; il lavoro e l’ambiente svolgono una funzione favorevole; quindi, allo stato, egli non deve (o non può più) essere considerato socialmente pericoloso.
- Pericolosità sociale persistente elevata
Il paziente presenta persistenza di sintomatologia psicotica florida (oppure segni di disorganizzazione cognitiva o una sensibile compromissione delle abilità sociali e delle sue risorse); è assente una sia pur minima forma di consapevolezza di malattia; non accetta le terapie che gli sono state proposte; le caratteristiche socioambientali sono negative; non esistono adeguati Servizi sul territorio che ne possano garantire una presa in carico a medio-lungo termine; le possibilità di reinserimento lavorativo e sociale sono pressoché assenti;
- Pericolosità sociale persistente attenuata
La sintomatologia psicotica è andata incontro a una graduale, progressiva, ma per ora non completa e soddisfacente remissione; il paziente partecipa al programma terapeutico in atto e sta migliorando; si sta costruendo in lui una buona consapevolezza di malattia; le abilità sociali non sono compromesse (oppure si sono ripristinate); i contatti con l’ambiente esterno sono positivi e favorevoli; il soggetto ha bisogno di usufruire di un ulteriore periodo di cure e assistenza in ambiente idoneo protetto (comunità di tipo A o B).
Il perito e il magistrato che non vogliono ricorrere all’automatismo della misura di sicurezza psichiatrica devono fare i conti non solo con il disturbo psichico del paziente ma anche con le risorse del contesto, che spesso risultano insufficienti e con l’assenza di un sistema a rete flessibile che garantisca un continuum terapeutico. Tali elementi contribuiscono a designare se un paziente è più o meno ad alto rischio.
Il percorso terapeutico nel giudiziario è caratterizzato da molteplici ostacoli (Fornari, 2005):
- la possibilità di intervento terapeutico attuale per alcuni pazienti è segnata dalle loro caratteristiche intrinseche dipendenti dalla malattia;
- altri pazienti a causa di un accumulo svantaggioso di esperienze negative e fallimentari (snowball effect) (Zara, 2005) che hanno determinato la loro storia di vita possono recuperare solo in minima parte le abilità sociali e relazionali andate perdute;
- altri sono impropriamente introdotti nel circuito psichiatrico giudiziario;
- per altri le risorsi disponibili sul territorio sono insufficienti;
- in molti casi, pur in presenza di adeguati strumenti terapeutici e organizzativi da parte dei Servizi sul territorio, esistono situazioni di difficilissima gestione e soluzione;
- non tutti i magistrati condividono una linea di intervento che preveda trasferimenti precoci, sia pur provvisori, in OPG. Di conseguenza, la permanenza in una struttura carceraria può favorire un radicamento e una cronicizzazione del quadro psicotico in atto
I suggerimenti in chiave clinica indicati dal Prof. Fornari per affrontare in chiave clinica il problema della pericolosità sociale sono:
- riconsiderare in psichiatria forense il “valore di malattia” e non dimenticare mai che da valutazioni equivoche o eccessivamente dilatate discendono prognosi equivoche, che si traducono in giudizi non fondati di pericolosità;
- evitare di immettere nel circuito manicomiale giudiziario soggetti che non siano di stretta competenza specialistica e utilizzare solo criteri psicopatologici;
- facilitare la comunicazione tra gli operatori della giustizia e quelli della sanità, dell’assistenza e il contesto familiare e relazionale del soggetto, in funzione delle possibili forme di intervento;
- utilizzare l’elaborato peritale anche per fornire indicazioni terapeutiche che servono al periziato;
- graduare la valutazione della pericolosità sociale in elevata e attenuata (quando non assente) utilizzando gli indicatori interni ed esterni;
- tradurre la nozione di pericolosità sociale psichiatrica in quella di necessità di cure e di assistenza specialistica (o di trattamento) in regime di coazione (internamento in OPG) o di libertà vigilata (trattamento in strutture comunitarie);
- ottenere che i portatori di semplici disturbi di personalità seguano percorsi sanzionatori, clinici e riabilitativi nettamente diversificati rispetto a quelli degli psicotici e dei soggetti affetti da disturbi gravi di personalità;
- operare affinché ogni tipo di intervento sia tempestivamente adottato, sulla base delle indicazioni cliniche fornite dai periti.
[1] INTOSSICAZIONE ACUTA:
Si intende la condizione in cui ci si trova per l’effetto immediato dell’assunzione della sostanza, condizione caratterizzata da sintomi diversi a seconda del tossico in questione, ma destinati ad esaurirsi in un lasso di tempo contenuto, con successiva piena restituito ad integrum (Gulotta, 2005).
[2] CRONICA INTOSSICAZIONE:
Si intende una situazione in cui indipendentemente dall’interruzione dell’assunzione della sostanza, ed anche a distanza di mesi o di anni dall’interruzione stessa, il soggetto continua a presentare segni somatici, neurologici e psicopatologici di intossicazione (Gulotta, 2005).
[3] Art. 133 c.p.: GRAVITÁ DEL REATO: VALUTAZIONE AGLI EFFETTI DELLA PENA. –
Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
- dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
- dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
- dall’intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
- dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
- da precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
- dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
- dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Soffro di disturbi bipolari e a causa di questi disturbi sono stato denunciato per atti persecutori e lesioni personali. Io non ricordo la vicenda ma cosa può accadere in fase processuale?
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