5) Entrando nel carteggio.
Ho scelto di iniziare a parlare del rapporto tra Freud e Binswanger partendo dallo scambio epistolare dell’ottobre 1936.
E’ necessaria una premessa, l’ottantesimo compleanno di Freud e l’invito fatto a Binswanger da parte della Associazione di Psicologia Medica di Vienna di tenere il discorso del genetliaco.
(il discorso) rappresenta per me un omaggio al più anziano, all’amico e allo spirito più avveduto, più riflessivo; è un monumento eretto alla nostra amicizia
vecchia di quasi trent’annie una confessione sincera delle nostre concordanze e differenze. (Lettera del 1 ottobre 1936)
Nel discorso11 Binswanger pone l’accento sulla visione dell’uomo proposta da Freud,
quella dell’homo natura, dell’uomo in quanto natura, in quanto creatura naturale.
Il riferimento è alla teoria delle pulsioni, a quella teoria che Freud aveva definito “la nostra mitologia” e alle trasformazioni delle pulsioni egoistiche in pulsioni sociali attraverso la costrizione.
Sottolineo questo passo:
L’intero meccanismo dell’apparato psichico viene posto in movimento, com’è noto, dal profondo, dall’Es, ad opera della rappresentanza psichica delle pulsioni in generale, dal desiderio. Il desiderio è l’unica direzione di significato cui sia sottoposto l’homo natura freudiano.
E’ su questa immagine dell’uomo che Binswanger propone la sua contrapposizione:
La sua (dell’uomo) presenza è già anche il principio della possibilità di separare necessità e libertà, forma “chiusa” e sviluppo “aperto”, l’unità della forma (Gestalt), il venir meno della Gestalt e la sua trasformazione in una nuova Gestalt.
E ancora:
Se l’ipseità viene in qualche modo obiettivata, isolata e teorizzata in un Io o un Es, un Io e un Superio, viene anche esiliata dall’ambito proprio della presenza,dall’esistenza, e , da un punto di vista ontologico-antropologico, strangolata. Invece di considerare questo fondamentale problema antropologico, invece di cercare se stesso come Eraclito, invece di ritornare a se stesso come Agostino, Freud …trascura il problema dell’ipseità come se essa fosse un che di ovvio.
Ecco la risposta di Freud (8 ottobre 1936):
Io sono sempre rimasto al pianterreno e al sottosuolo dell’edificio. Voi pretendete che cambiando punto di vista , si può vedere anche un piano superiore ove alloggiano ospiti così insigni come la religione, l’arte. … In questo voi siete conservatore e io rivoluzionario….Ho già trovato (una dimora) per la religione dopo che mi sono incontrato con la categoria della “nevrosi dell’umanità”.
(Sta parlando dell’Avvenire di una illusione)
Una precisazione intorno al pensiero di Binswanger, così come negli anni trenta si strutturava e come si allontanava (per una certa parte, ritengo) da quello del maestro.
Lo psichiatra svizzero è alla ricerca di un modello psichiatrico che si diversifichi sia da quello biologista, sempre pretendente al trono della verità, sia, come abbiamo visto, da quello psicoanalitico (pur sempre presente).
Binswanger è contatto con il pensiero di Husserl e poi di Heidegger, e il suo modo di avvicinarsi alla psicopatologia sicuramente è influenzato dai due filosofi, anche se non ottiene da loro una legittimazione.
Ad esempio Heidegger12 parla della Daseinanalyse definendola un “fraintendimento” del suo pensiero scambiando (come riferisce Galzigna) cognizioni ontologiche con datità ontiche (…) l’ontologia fondamentale di Heidegger è un metodo ontologico, invece l’analisi psichiatrica dell’esserci non può essere un’ontologia.
E’ vero peraltro che Binswanger non rinuncia a proporsi come debitore del filosofo, tanto da parlarne diffusamente in un saggio del 194713.
Si riconnette a Essere e tempo (1927) e Essenza del fondamento (1929) e riallaccia la sua impostazione (psichiatrica, ma non solo) alla concezione dell’Esserci in quanto essere-nel-mondo del filosofo. Neppure ignora il merito di Brentano e Husserl, l’aver avviato un nuovo modello psicologico fondato sulle forme e struttura della “coscienza intenzionale”. Il saggio è soprattutto significativo nel proporre una chiara distinzione tra il procedere della psichiatria clinica in quanto considera
il suo oggetto vale a dire “l’uomo ammalato di mente” sotto l’aspetto della natura e cioè all’interno dell’orizzonte comprensivo della scienza naturale e quindi inoltre innanzitutto sotto l’aspetto biologico
e la nuova proposta critica che il progetto filosofico ha indotto.
A questo proposito ricorda Freud osservando che l’esplosione del nuovo modo di intendere la psichiatria ( e la posizione dello psichiatra) è stato iniziato dalla psicoanalisi e della presa di coscienza del valore della psicoterapia.
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Scrive a proposito dell’essere psichiatra, la cui dimensione terapeutica si fonda sulla capacità di comprensione con il paziente, con lui in quanto uomo, in quanto coesistente.
Perciò l’essere-psichiatra tende essenzialmente a qualcosa che sta al di là di ogni forma di sapere cosale e ad ogni tipo di potere conforme alle cose, anche al di là di quello della scienza, della psicologia, della psicopatologia e della psicoterapia.