3) Per iniziare a parlare di Ludwig Binswanger.
La mia presentazione della posizione teorico-clinica di Binswanger poggia inizialmente su due lavori clinici, Il caso Ellen West (1944/45) e Il caso Suzanne Urban (1952/53)
Ritengo che questi due casi(pubblicati poi insieme a altri tre nel volume Schizophrenie, 1957) consentano di entrare all’interno della Daseinanalyse ( così lo psichiatra svizzero Jakob Wyrsch chiamò nel 1942 l’impostazione psicopatologica di Binswnger), costruita a partire dall’influenza che la fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938) e la Daseinanalytik di Martin Heidegger (1889-1976) ebbero sul suo pensiero ( non negando peraltro la costante presenza in lui della teoria psicoanalitica).
La Daseinanalyse (in italiano antropoanalisi o, meglio, analisi dell’esserci, propone l’incontro con il modo d’essere –nel-mondo ( Dasein) di ciascuno, ovvero, in ambito psicopatologico, l’incontro con l’esistenza concreta dell’esserci schizofrenico (nei nostri due casi).
La posizione da cui l’esserci prende forma e si segnala nella declinazione psicopatologica presuppone una partenza, ovvero che la vita in ogni essente è giocata intorno all’abbondanza di temi e al loro proporsi come flessibili. E’
l’impoverimento dei temi della vita, il loro irrigidirsi, in modo che la scelta si fa non possibile e la vita è costretta a organizzarsi intorno al tema residuo (e pertanto governatore dell’esserci) che definisce l’esistenza nella psicopatologia.
Ovvero, come scrive in Ellen West (p.130) :
L’antropoanalisi affronta lo studio dell’essere-uomo in tutte le forme della sua esistenza e in tutti i <> in cui si manifesta, nel suo poter essere (esistenza), nel suo aver-la –facoltà di-essere (amore) e nel suo dover-essere (esser deietto)
Ad esempio il senso del “malvagio, del terribile, dell’ostile” (S.Urban), o le “forme del mondo” in cui vive Ellen West, il corpo (Korper) inteso come organismo che si presenta in quanto “peso”, oggetto percepito, toccato, valutato, corpo minacciante, portatore di angoscia nel suo proporsi come corpo ingrassante, sinistro nel costringere Ellen a controllarlo, con la dieta, con il vivere per e contro di lui.
Poi il corpo (Leib)9 in quanto esistere nel corpo proprio (Binwanger,op.cit.) che rappresenta l’odioso, quello da cui Ellen vuole fuggire.
Binswanger scrive:
Quanto rimane sono soltanto gli infruttuosi tentativi di sfuggire a questo circolo, all’incarceramento o prigionia esistentiva sempre più chiaramente vissuta e descritta, prigionia per la quale il diventar grassa costituisce soltanto la veste definitiva.(op.cit,p.77)
Ritornando al caso Suzanne Urban, alla ricerca di una teoria dell’esperienza delirante, Binswanger si confronta con il fatto di non essere ancora in possesso di una ontologia dell’esperienza naturale (tema che riprenderà Blankenburg nel suo Perdita dell’evidenza naturale). Trova comunque nella dimensione del terrore, nell’irrigidimento dell’esserci, e, soprattutto, nella nuova esperienza che è la condizione delirante gli aspetti dell’esserci nel delirio.
::L’essere fa <<nuove>> esperienze anche nel delirio. Ma di che genere è la novità del nuovo in questa esperienza? Non è più una novità nel senso della novità del nuovo (….) nel senso dell’esperienza <<naturale>> o <<quotidiana>> (….) guidata dall’attendibilità, dalla costanza, dalla consequenzialità, continuamente sottoposte a prova, di questo modo (naturale) di esperienza, l’esperienza delirante gira sempre in circolo. (op. cit., p.138).
E più oltre:
L’esserci non è più in grado di lasciar essere le singole esperienze nella loro particolarità come avviene nell’esperienza naturale, ma si limita a fare in e con esse la sempre nuova esperienza del generale in quanto terribile.(sottolineatura mia) (op. cit., p.140)