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La REMS nella terapia di comunità – Parte 3

La REMS nella terapia di comunità

Le REMS, non luoghi ove esercitare un potere, ma occasioni in un percorso, tratti di un viaggio della persona nella comunità. Non un’altra istituzione segregante la diversità, separata e disperante, luogo di esercizio di un sapere tecnico, giuridico o psichiatrico, che si esaurisce in se stesso, ma un ambito di potenziali nuove alleanze con la persona che possano essere trasformative, talora difficili e contradditorie, ma sempre inserite nel sociale, integrate nella città, mai separate e segregante. Un potere che si fa carico della complessità e dell’incertezza e lavora per modificare le relazioni tra soggetto-ambiente e da questo essa stessa è modificata.

Un’azione trasformativa che va sostenuta da anche da scelte politiche e da innovazioni delle leggi e delle prassi. In questo quadro vediamo ora come la REMS può essere terapeutica e quanto questo sia delicato e in un qualche modo sempre a rischio.

Indubbiamente la REMS ha caratteristiche che richiamano la Comunità Terapeutica (CT) secondo il paradigma elaborato da Robert Rapoport che identificava i principali tratti distintivi del modello comunitario: 

  • La democratizzazione, ossia la divisione del potere decisionale tra operatori e pazienti
  • Il collettivismo (“communalism”), cioè un’atmosfera relazionale caratterizzata da condivisione, confidenza e aperta comunicazione
  • La permissività, ovvero la tolleranza della diversità e della devianza nell’espressione e nel comportamento
  • Il confronto con la realtà, nel senso di un clima di apertura e reciprocità nel misurarsi quotidiano con il significato e le conseguenze dei comportamenti di ciascuno dei membri della comunità

Se questi sono i punti fondamentali va tenuto conto dell’impatto delle misure giudiziarie di ciascun ospite non tanto sulla vita interna alla REMS, quanto nella sua relazione, che deve essere stabile ed organica, con l’esterno.

Questa è la ragione per la quale il giudice dovrebbe concertare e validare il programma complessivo e non ogni singola uscita. Riconoscerebbe fin dall’inizio alla persona un suo essere nella comunità e al contempo il programma assumerebbe la dimensione del futuro come riferimento. Passare dalla singola concessione magari burocratica e distante è ben diverso dalla strutturazione progettuale, partecipe e convinta.

Nell’azione verso l’ospite, le figure di potere vengono fortemente associate specie nei vissuti. Questo richiama alla necessaria coerenza negli atteggiamenti e nelle comunicazioni, aperte o implicite.

L’alleanza fra operatori sanitari e utenti non deve svilupparsi con vissuti persecutori e antagonistici verso l’esterno e nel caso specifico “contro” la magistratura. Al contrario questa va tutelata nel vissuto, in quanto può sostenere i percorsi di responsabilità e i diritti. Ma proprio per questo deve avere le caratteristiche del “genitore sufficientemente buono”, autorevole, affidabile e saggio. 

Nella dinamica relazionale la magistratura non può smentire lo psichiatra, specie se responsabile della REMS, in quanto non solo ne verrebbe danneggiata la fiducia e l’autorevolezza agli occhi del paziente, ma lo stesso processo di paranoicizzazione (e proiezione) al quale ho prima accennato, verrebbe accentuato, con vissuti che spesso travalicano negli agiti. “Se non mi aiuta lo psichiatra ci penso io”.  

In questa logica ogni istituzione, magistratura, UEPE, Amministrazione penitenziaria, Forze dell’Ordine, servizi sociali e sanitari fa parte della comunità e tutte insieme lavorano con la persona che ha commesso il reato e la società perché ne fa parte, anche se ha sbagliato. Nessuno è extra-comunitario.

Un assetto complesso

Le REMS si avvicinano alle Comunità terapeutiche in quanto hanno un assetto complesso, concepito come sistema aperto fondato sul gruppo, che è il suo strumento operativo principale. Si comprende quindi come la REMS risenta fortemente di accessi improvvisi che variano la composizione del gruppo. La REMS può diventare un “ambiente curante”, uno strumento di cambiamento del quale fanno parte attiva anche gli ospiti. Questi sviluppano la capacità di essere di aiuto all’altro, di coglierne i vissuti nella reciprocità, scoprono ruoli nuovi e non restano solo persone malate, magari pericolose. 

La REMS facilita l’”empowerment” e “living learning” attraverso lo stimolo alla collaborazione della vita quotidiana in un’ottica che è orientata a favorire l’ autogestione, la maturazione della persona. In particolare un miglioramento dello stato psichico e del funzionamento affinché sia più adeguato e i tratti di personalità, frutto di temperamento, schemi maladattivi precoci e uso inappropriato di meccanismi di difesa primitivi, causino meno sofferenza a se stessi e agli altri. 

Il processo terapeutico si realizza anche attraverso la vita comunitaria (apprendimento dalla gestione della vita quotidiana, verbalizzazione dei pensieri e dei sentimenti, comunicazione aperta, supporto tra pari e confronto sul comportamento), l’assunzione di responsabilità e partecipazione ai meccanismi decisionali (partecipazione dei pazienti alle decisioni sulla gestione della quotidianità e delle attività). Questo implica la capacità di gestire efficacemente i confini e di operare il necessario  contenimento attraverso la creazione di un ambiente emozionalmente sicuro, un esercizio equilibrato dell’autorità, la gestione condivisa dei rischi, dei controlli, delle regole, del tempo e dello spazio della REMS. Pertanto sono necessarie adeguate risorse materiali (locali e attrezzature per riunioni, terapie e attività), umane (numero di operatori, loro capacità e competenza, valori condivisi, formazione e supervisione) e un’adeguata leadership locale e interistituzionale.

La finalità della REMS è favorire il cambiamento maturativo delle persone affinché possano riprendere al meglio il loro progetto di vita, anche attraverso il programma di cura. In questo la gradualità e la diversità nella tempistica per il raggiungimento dei diversi obiettivi andrà tenuta nella dovuta considerazione. 

I disturbi psichici di tipo psicotico possono raggiungere un certo compenso in tempi anche relativamente brevi ma può persistere a lungo, talora per sempre, una vulnerabilità di fondo, una propensione a vivere un maggiore stress con una riacutizzazione della sintomatologia. Questo richiede ambienti prevedibili, percorsi chiari, risposte alle domande non equivoche e in tempi certi. Anche su questi punti il ruolo della magistratura deve essere in sintonia con le esigenze della cura. Ad esempio se la persona va meglio ed è pronta per nuove esperienze va agevolata, rapidamente e non ostacolata magari per motivi burocratici. Certo vanno condivisi i rischi ma uno di quelli più seri è che la cronicizzazione e la sottostimolazione possono portare o agevolare i fenomeni regressivi e di decadimento psichico e funzionale. Un rischio in parte insito nella patologia ma in parte frutto dell’istituzionalizzazione e quindi iatrogeno. Ne consegue quindi la necessità di sapere cogliere la tempistica del cambiamento che è tipica di ogni singola persona.

Diversamente una persona con disturbi della personalità o “al limite” potrà mettere in atto meccanismi scissionali con divisione del gruppo in “buoni” e “cattivi”, tolleranti e rigidi, con intensi meccanismi proiettivi e minacce auto ed eterolesive. La capacità di contenimento del team e degli altri ospiti può essere messo a dura prova e possono emergere spinte espulsive. La tenuta della relazione, nonostante tutto, senza rasentare vissuti di onnipotenza, viene a costituire il fattore terapeutico specie se il confine esterno viene via via interiorizzato. Le relazioni proseguono mediante la capacità di muoversi tra rotture mai definitive e riparazioni possibili in grado di rimandare alla persona l’assunzione di responsabilità evitando al contempo ogni tendenza sadomasochistica. 

Il mandato di cura è difficile e fragile, e non a caso riferendosi alle Comunità Terapeutiche, Hinshelwood (2001) dice che si tratta di “un’organizzazione che si reinventa continuamente ogni giorno” sia pure all’interno di alcune direttrici piuttosto precise. Ma questo significa cogliere la precarietà del lavoro, la sua fragilità che possono determinarne lo sviluppo oppure l’involuzione.

Quindi la struttura e la cultura organizzativa delle REMS sono fortemente condizionate oltre che da fattori interni al gruppo anche dall’ambiente sociale e politico, con il quale in molti modi interagisce ed al quale deve inevitabilmente adattarsi, nonché dalle misure giudiziarie che vengono prese dall’esterno e spesso ad insaputa. 

Questo crea un vissuto di grave incertezza, di essere in balia di poteri esterni, di essere eterodiretti, che mina la sicurezza degli operatori, ma anche degli ospiti.    

Questo vissuto, penoso e spesso diviene fonte di resistenza, può determinare reazioni di chiusura, resistenze, senso di inutilità e purtroppo demotivazione o fatalismo.

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