Preservare il mandato di cura
Ecco perché è fondamentale che venga preservato il mandato di cura e la qualità del funzionamento della REMS secondo quello spirito di concertazione che sia sempre attento, anche al di là del singolo caso, al clima complessivo e al vissuto del gruppo. E questo venga fatto tenendo conto della cultura dell’organizzazione che secondo Edgar Schein si articola sempre a tre livelli, da quello più visibile delle strutture e dei processi organizzativi evidenti a quello intermedio dei “valori dichiarati” (strategie, obiettivi, filosofie) fino al livello più profondo e nascosto, quello degli “assunti taciti condivisi”, che includono le convinzioni e le percezioni inconsce, i sentimenti e le fantasie.
In questa complessità che intreccia vari livelli e assomma dentro di sé dimensioni temporali diverse, passato, presente e futuro fossero tutti concentrate in uno spazio definito e circoscritto. Quindi si tratta di ridare fluenza al tempo affinché non sia più fermo nel vuoto privo di senso e di elaborare i vissuti. Attraverso la narrazione e il dialogo anche interiore, il tempo può essere ritrovato e così si può costruire una sequenza di vissuti e di idee e aprire la prospettiva del futuro e dell’altrove. Queste linee devono essere tracciate fin da subito e percorse con modalità e velocità diverse da ciascuna persona, insieme ad altre. Per giungere laddove si è attesi, perché il proprio valore dipende anche da quell’identità riflessa nello sguardo dell’altro. Quando si parla di continuità di cura, come elemento conduttore, dell’intero lavoro della REMS ci si riferisce proprio a queste componenti e ad un’attenta e condivisa valutazione di rischi e benefici.
Questo procede gradualmente e lo “scopo immediato è la piena partecipazione alla vita quotidiana” (di tutti gli ospiti della REMS), “mentre l’obiettivo finale è la reintegrazione dell’individuo nella vita sociale” (Main 1983). Tale obiettivo finale può essere considerato il compito primario dell’attività.
Molti dei problemi emergenti nella vita di una REMS scaturiscono dalla difficoltà di definire quale sia il suo compito primario. L’insieme delle pressioni esterne, perché si dià esecuzione alle misure di sicurezza a prescindere da ogni valutazione psichiatrica, al di fuori del dialogo e della concertazione rappresentano un punto molto critico, anche per la fragilità delle REMS. Questo rischia di alterare il clima interno, destabilizzare il gruppo di lavoro e creare serie discrepanze tra il compito esplicitamente dichiarato e quello implicitamente richiesto e perseguito con il risultato di compromettere la qualità dell’unico lavoro che la REMS può svolgere ed effettivamente produrre: la cura. Corollari inevitabili di questa scarsa condivisione del compito primario sono la crisi dei ruoli e l’ambiguità dei singoli compiti istituzionali, le “missioni impossibili”, la gestione confusiva e kafkiana del lavoro, la ricerca affannosa di interlocutori, l’impossibilità per gli operatori di capire l’andamento e la direzione dei progetti, il blocco delle dimissioni, il senso di incomprensione e isolamento, l’aumento dell’ansia circolante senza adeguati argini di contenimento, e in ultima analisi, la sua ricaduta in termini di crisi acute, incidenti, paranoia istituzionale, mobbing, burnout e perdita di motivazione. Sono questi i rischi ai quali siamo di fronte.
Il modello alternativo è quello avere un valido gruppo di lavoro interistituzionale in grado di comunicare, concertare, definire programmi, coinvolgendo fin da subito la persona e la sua comunità. Considerare l’inclusione sociale non come esito della riabilitazione ma come premessa che si sostanzia con la presa in cura di comunità da parte dei servizi sanitari (compreso ma non solo il DSM-DP) e sociali della comunità sociale nella sua rappresentanza formale compresa la sua componente informale, che si realizza mediante il Budget di salute e vedono nella magistratura un sostegno tramite la misura di sicurezza di comunità, al tempo stesso garanzia del diritto e dei diritti della persona e della società. Le REMS non come nuove strutture chiuse ma aperte in continuo cambiamento in una prospettiva di libertà, come insieme di gruppi di lavoro (professionisti, utenti, sociali) collegati, interagenti e in grado mescolarsi e di superarsi ogni giorno, capaci di vedere i percorsi fin dall’inizio (prima dei provvedimenti giudiziari, prima delle liste di attesa), in una logica di prevenzione, innovazione e di recovery, perché cura e misure siano di comunità. In questo senso la non autosufficienza della REMS, il suo avere costantemente bisogno dell’esterno, la sua permeabilità sono limiti che diventano punti di forza.
Un atteggiamento cooperativo che può favorire lo sviluppo di percorsi di cura e di progetti di vita che comportino anche la creazione di relazioni più adeguate con la famiglia di origine, i cui membri nel caso dei rei prosciolti sono spesso vittime dei reati. Quando si vengono a stabilire condizioni che impediscono una convivenza, diventa indispensabile una separazione, possibilmente non traumatica, che richiede la disponibilità percorsi e di strutture adeguate a questo scopo. Allora che la REMS può svolgere la propria funzione di facilitare un distacco dolce e l’inserimento in un proprio alloggio che un giorno il paziente possa andare ad abitare, è l’emblema di questa prospettiva. Questa va arricchita opportunità e relazioni e già si è detto dell’importanza che hanno gli altri ospiti, i conduttori delle varie attività, perché il tempo venga ad avere un senso, l’esperienza della vita un possibile scopo.
Come per tutti noi!