Vaso di Pandora

Storia della Psichiatria: III – DA GORIZIA ALLA LEGGE 180

LA TERAPIA BIOLOGICA

Nel frattempo, segue un suo percorso autonomo la psichiatria biologica.  
La terapia antipsicotica, adottata su vasta scala nelle istituzioni e fuori, ha sostituito quasi totalmente le terapie di shock. Tuttavia, poche le novità assolute, nei 15 anni di cui parliamo.  Alla cloropromazina, proposta da Delay e Deniker nel 1952, ai suoi derivati (levomepromazina, perfenazina), alla reserpina mutuata dalla medicina tradizionale indiana, all’aloperidolo di più recente introduzione (1957) si aggiunge la pimozide e poco altro.
Importante però la vicenda  della clozapina, che già negli anni ’60 dimostra un  effetto antipsicotico così notevole da porne l’indicazione nei casi di resistenza ai neurolettici classici; e inoltre privo o quasi di quegli effetti extrapiramidali e di siderazione emotiva propri dei neurolettici e seriamente compromettenti la relazionalità . Ma pochi anni dopo questo farmaco si rivela pericoloso, provocando casi di agranulocitosi potenzialmente mortali, e viene temporaneamente abbandonato. Solo nel decennio successivo si mettono a punto linee guida – consistenti fondamentalmente in regolari controlli della formula leucocitaria – che consentono un sostanziale azzeramento del rischio. Questo farmaco diviene il prototipo degli antipsicotici di nuova generazione come l’olanzapina, dotati di efficacia pressochè pari e non pericolosi.       
Storia in qualche modo parallela quella del litio, proposto già nel 1948-49 ma tossico soprattutto a livello renale. Esso viene recuperato come equilibratore dell’umore negli anni ’60, e anche la sua pericolosità viene fortemente ridotta con un regolare monitoraggio dei suoi livelli nel sangue. Vi si affianca un altro equilibratore, la Carbamazepina impiegata dal ‘62  per la nevralgia del trigemino,  dal ’65 come antiepilettico, e infine per le prevenzione delle recidive maniacali.
Anche la terapia antidepressiva, pur largamente applicata, non conosce grosse novità in questo periodo: l’imipramina, cui si sono aggiunti altri triciclici poco diversi come la clomipramina, è entrata nell’uso già dal 1958; ed è di là da venire la scoperta dei serotoninergici, a partire dalla mitizzata –nel bene e nel male – fluoxetina (Prozac).
Impetuoso invece lo sviluppo degli ansiolitici, iniziato pochi anni prima col meprobamato e      
proseguito dal ’60 in poi con le benzodiazepine, a partire dal capostipite clordiazepossido (Librium). Per limitarci a poche fonti: secondo uno studio congiunto condotto a Modena dalla Clinica Psichiatrica, dall’Istituto di Medicina legale e dalla AUSL, il consumo di questi farmaci  è aumentato dell’80% dal 1975 al 1984; e secondo Parma e Coll, nel 1995, il 5% degli italiani (circa 3milioni) fa uso cronico di benzodiazepine. Nel ’91, risulta che il lorazepam è il farmaco più venduto in assoluto
Questo sviluppo ha, come sappiamo, caratteristiche particolari, derivanti:
dal target di questi farmaci, costituito da sofferenze mentali almeno in parte minori, come stati di ansia in cui la “normale” risposta a fattori stressanti è spesso mal differenziabile da un vero e proprio disturbo;  dalla loro gradevolezza, lontana dagli effetti disturbanti la cenestesi  così spesso propri degli antipsicotici ;  dal non raro instaurarsi di una dipendenza non solo psicologica ma anche fisica.
Questi aspetti rendono problematica l’indicazione al loro uso, e ci mettono ancora una volta  a confronto con alcuni nodi complessi, come: il limite di ciò che definiamo, o meno, disturbo mentale; la “psichiatrizzazione” della sofferenza, in qualche modo alimentata anche da logiche di profitto; il confine a volte malcerto fra la terapia psicotropa, il suo abuso, e una vera e propria tossicodipendenza a sua volta configurabile come maldestro tentativo di autoterapia. Può non essere sufficiente il criterio della prescrizione medica, poichè non si può dare per scontata la piena consapevolezza di queste problematiche  anche da parte del Sanitario prescrivente (o rifiutante la prescrizione).
C’è un aspetto paradossale nel fatto che, mentre la psichiatria viene contestata a livello istituzionale e non solo, nella sua veste farmacologica ( ma anche in quella psicoterapica) guadagna così terreno forse anche al di là del suo ambito, nella gestione delle difficoltà esistenziali.
Inevitabili le tensioni fra sostenitori e oppositori della farmacoterapia: il farmaco ancora mira alla riduzione del sintomo, non alla sua comprensione. Si pone il problema, tuttora non risolto,  della possibile integrazione della farmacoterapia con gli interventi psicoterapici. Li facilita? Li rende possibili, attenuando anomalie comportamentali che li impedirebbero? O li ostacola, smorzando le spinte istintivo-emotive e offrendo una facile alternativa?
La psicofarmacologia apre intanto nuove strade nella spiegazione (erklaren) del disturbo mentale: si approfondisce l’esame del meccanismo d’azione dei farmaci – all’inizio scoperti per serendipity – e la sua correlazione con neurotrasmettitori quali serotonina e dopamina, entrambe scoperte come tali negli anni ’50; partendo da questo si formulano ipotesi etiopatogenetiche, come quella dopaminergica della schizofrenia.     
Si spera che su questa strada si possa proficuamente mirare non più alla specificità clinica ma a  quella biochimica, più affidabile e non proprio coincidente con la prima. Nel frattempo, prosegue la discussione a livello clinico sulle indicazioni differenziali e sulle conseguenti strategie terapeutiche: vengono di preferenza suggerite quelle che non fanno riferimento tanto a categorie nosografiche (sempre incerte e mutevoli) quanto a specifici aspetti psicopatologici. Freyhan propone il concetto di “sintomi bersaglio;  nel 1972 Bobon propone la c.d. “stella di Liegi”, raffigurazione grafica degli effetti terapeutici e di quelli collaterali di ogni neurolettico, che egli distingue rispettivamente in: “atarassico, antidelirante, antiautistico, antimaniacale; adrenolitico ed extrapiramidale. ”.
Nello stesso anno Van Praag propone esplicitamente la denosologizzazione, invitando a  mirare non alle sindromi ma alle varie funzioni.

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