Vaso di Pandora

Note di commento al Piano di Azioni Nazionali per la Salute Mentale PASM 2025

Da quando il Piano d’azione salute mentale 2025 è stato pubblicato da Quotidiano sanità, nell’arco di poco più di una settimana, si sono avute numerose prese di posizione il che avvalora la necessità di un’ampia consultazione pubblica e di una consensus conferenze, prima dell’adozione formale. Ciò può consentire di avere un piano più partecipato e condiviso.

La questione del metodo è cruciale. Stiamo parlando di un Piano di Azione e quindi occorre definire obiettivi,  risorse, tempistiche e verifiche. 

In particolare le risorse sono cruciali per la realizzazione del piano. Se, come scritto, il piano non prevede maggiori oneri per la finanza pubblica nessuna delle azioni previste potrà essere realizzata. Il che sarebbe assai grave per pazienti,  familiari ed operatori in quanto porta a deludere aspettative, creare malintesi e demotivazioni.

La situazione reale dei servizi psichiatrici

La situazione reale dei servizi psichiatrici, già assai grave come ripetutamente evidenziato da più parti in primis i direttori di dipartimento, rischia un peggioramento e persino la loro chiusura se non si provvederà a nuove assunzioni possibili solo con un incremento di risorse stimato in circa 1 milione di euro. Per la psichiatria adulti, secondo un impegno stato regioni di oltre 20 anni fa, le risorse dovrebbero essere pari al 5% del fondo sanitario nazionale. Un livello mai raggiunto e questa potrebbe essere la volta buona per un accordo istituzionale e politico unanime e fare il necessario investimento in salute mentale. Secondo il Sole 24 ore un investimento del 5% si genera una redditività di circa 10,4 miliardi all’anno.

Un investimento richiesto ripetutamente da tutti i direttori di dipartimento. 

Il tema risorse e essenziale per dare realizzazione alle diverse azioni previste per la salute mentale perinatale, il neurosviluppo,  la transizione all’età adulta che riguardano la NPIA alla quale dovrebbero essere destinato il 2% della spesa sanitaria.

Infine va tenuto presente che per l’ambito delle Dipendenze Patologiche il finanziamento dovrebbe essere pari all’1,5% del fondo sanitario nazionale. 

Complessivamente l’investimento dovrebbe essere pari all’8,5% del fondo sanitario nazionale.

Il tema risorse e  investimenti è cruciale e  preliminare ad ogni altra discussione di merito. Perché se nessun incremento è possibile allora va indicato quali sono i programmi di riconversione, ristrutturazione dei servizi, chiusure e priorità.

Obiettivi del Piano d’azione salute mentale 2025

L’obiettivo dichiarato è: 

“Il PANSM vuole essere un documento sintetico, agile ed incisivo per la promozione, prevenzione e sviluppo di azioni a favore del miglioramento e del trattamento della salute mentale e del benessere psicologico della nostra società. È un documento strategico ed operativo il cui scopo è promuovere e stimolare interventi appropriati ed efficaci a favore della salute mentale che dovranno essere recepiti e messi in atto dalle Regioni, titolari dell’organizzazione sanitaria.” (pag. 12)

Quindi un documento sintetico, agile, incisivo, strategico e operativo per stimolare le Regioni a mettere in atto interventi appropriati ed efficaci. Di fronte a questo obiettivo si constata come sul piano metodologico, pur essendovi molti punti in comune, non vi è alcun riferimento alla Conferenza Nazionale Salute Mentale del 2021 né a quella sulle droghe. 

Non si fa cenno a quanto era previsto dall’ intesa Stato Regioni del 4 agosto 2021 e al successivo documento del Ministero della Salute “Linee di indirizzo per la realizzazione di progetti regionali volti al rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale regionali.” Si trattava di raccomandazioni per le Regioni al fine di assumere iniziative per conoscere e monitorare la contenzione meccanica, rispettare i diritti e la dignità delle persone, ridurre le pratiche limitative delle libertà personali e facilitare le alternative alle REMS. Nelle raccomandazioni si chiedeva di garantire le attività di formazione a tutte le operatrici e gli operatori, promuovere il lavoro di equipe e in rete nonché la qualità dei luoghi di cura. Infine vi era la raccomandazione ad organizzare servizi di salute mentale e di NPIA integrati, inclusivi e radicati nel territorio. Una verifica dello stato di attuazione di quei progetti e delle raccomandazioni sarebbe stato non solo utile ma necessario anche al fine di una verifica circa lo stato effettivo dei servizi.

Non si fa cenno alla conferenza nazionale autogestita da oltre 150 associazioni del dicembre 2024 che ha prodotto importanti documenti reperibili al sito.

I riferimenti normativi presenti nel Piano d’azione salute mentale 2025

Il PASM si apre con diversi riferimenti normativi e teorici condivisibili (One health) che configurano la salute mentale come componente essenziale della salute nell’intero arco di vita. 

L’impianto si colloca nell’ambito della 180 e in linea con la legge 18/2009 (Convenzione dei diritti delle persone con disabilità) e della legge 219/2017. In questo quadro si potrebbe esplicitare l’adozione del Quality Right e delle Linee Guida per la deistituzionalizzazione delle Nazioni Unite che sostanzierebbero la cultura dei diritti/doveri.

Il diritto alla salute va visto nell’ambito dei diritti umani fondamentali e non è separabile dai diritti di cittadinanza. Esso per essere esigibile richiede la presenza di sistema di welfare pubblico universale sostenuto da un patto sociale solidale. 

Quindi oltre ai citati fattori di rischio le nuove sostanze psicoattive, le nuove tecnologie informatiche, “l’infanzia senza gioco” molti altri sono gli elementi che richiedono “una nuova cultura della salute mentale”: sono fattori sociali, ambientali, culturali, connessi a migrazioni, crisi delle famiglie, solitudine, povertà economiche (quasi 6 milioni di poveri di cui 1,2 milioni minori), educative, scolastiche.

Il PASM non indica con forza la necessità che la salute mentale sia parte integrante di tutte le politiche: dell’ordine pubblico, della giustizia, della scuola, sociale, ambiente, casa, lavoro, migrazioni, droghe.

Sembra in secondo piano l’evidenza che diversi fattori di rischio derivano anche dal come vengono affrontati problemi che sono poi determinanti di salute. Si pensi alla relazione tra inquinamento ambientale e salute compresa quella mentale, la relazione tra legislazione sulle droghe (e politiche di “guerra alla droga”) e salute in ambito detentivo. Il tema della povertà economica, di utenti che vivono con entrate sotto il minimo vitale, di famiglie fragili in difficoltà. Rilevanti sono anche le politiche per scuola, reddito, casa, lavoro e salute mentale. 

Viene giustamente citato il DL 62/2024 per la disabilità e sarebbe molto importante superare ogni discriminazione delle persone con disabilità a prescindere dalla/dalle causa/e. Quindi dovrebbero fruirne anche per le persone con disturbi mentale che hanno i requisiti previsti dalla l. 104/1992 art 3, comma 3.

L’importanza dell’autodeterminazione (del nulla su di me senza di me) del progetto di vita resta in ombra.  

I termini “disagio” e “disturbo”

Nel testo sarebbe importante un uso appropriato del termine “disagio” e “disturbo”, specie quando si rileva il grande divario tra domanda, bisogni e offerta di servizi. Se ci si riferisce al disagio è ovvio che tale divario diventa ancora più rilevante rispetto al disturbo. Si stima che siano senza cure circa 2 milioni di persone con disturbi mentali severi.

Se la salute mentale è una componente essenziale della salute di tutti è ovvio che competa a ciascuna persona, famiglia e comunità. Ed è quindi importante che si parli di salute mentale in contesti come la scuola o il mondo del lavoro, il sociale. Questo vale per ogni ambito a partire dalla autotutela e dal mutuoaiuto. 

In ambito professionale la salute mentale è competenza di tutti gli operatori. Questo potrebbe sostanziarsi in un efficace e diffuso piano formativo e come detto nel PASM di azioni contro stigma e pregiudizio.

Poi vi è bisogno anche di servizi specialistici, articolati per intensità di cura (stepped care) in relazione a gravità e complessità.  

L’approccio di tipo universale obbliga a prendere in considerazione i determinanti sociali, economici, ambientali e culturali della salute e le necessità per la sua prevenzione e cura agendo non solo sul livello macro ma anche meso e micro. Questo implica lo sviluppo di un welfare di comunità e prossimità e l’attuazione del DM 77/2022 tenendo conto della necessità di rafforzare i DSM.

Il divario tra bisogno e offerta

L’entità del divario bisogni-offerta comune a livello nazionale (e internazionale) viene ad avere significative differenze regionali. Ad esse pare si rimandi per una quantificazione.  Sul punto non vi sono dati epidemiologici precisi e un’analisi dei dati SIMS 2023 sarebbe utile. 

In termini generali si riconosce la carenza di personale (viene riportato il dato 2022) e di fondi ma non si rileva alcun riferimento all’incidenza del 5% che dovrebbe avere sul Fondo sanitario nazionale. Si fa utilmente riferimento all’accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2022 nella speranza che venga attuato e superato il tetto del 2004. Quello del personale è il punto cruciale. Lo stato dei servizi in ambito ospedaliero e  territoriale non viene analizzato, né vi sono obiettivi e standard. Anche l’introduzione dello psicologo di primo livello non sembra tenere conto di documenti sulla psicologia nel servizio sanitario e delle Linee dell’Istituto Superiore di Sanità sul trattamento dei disturbi emotivi comuni.

Il Piano d’azione salute mentale 2025 auspica un modello dipartimentale

Viene auspicato un modello Dipartimentale che preveda la tutela della salute mentale dei minori, la psicopatologia degli adolescenti, le dipendenze, la salute mentale adulti.  Sembra quindi un’indicazione opzionale tanto che in altre parti del testo non sembra questo il modello. Sarebbe importante che a livello nazionali si potesse avere un modello di dipartimento. 

Nel PASM non è chiara la collocazione della psicologia clinica e di comunità (e non viene espressa una posizione sul “bonus psicologi”), né vengono citati i servizi per la disabilità. 

Il tema andrebbe posto anche a livello universitario per la formazione delle figure professionali dello psichiatra che dovrebbe essere competente sull’intero arco di vita e del neuropsichiatra infantile (specialità ancora afferente a pediatria e con un impianto prevalentemente neurologico). Per questa figura viene da chiedersi se non siano maturi i tempi per una separazione tra neurologia e psichiatria. Sempre in tema di formazione andrebbe definita anche la specializzazione dei medici dei SerD e degli psicologi per il lavoro in ambito pubblico.

Andando nel dettaglio dei dipartimenti non viene indicato l’ambito territoriale di riferimento “ottimale”, né viene dettagliata la composizione dei servizi. Dando forse per scontato quella definita dal Piano Attuativo 1994-96 con Centri di Salute Mentale, SPDC, Semiresidenze e Residenze. 

Non viene attualizzata l’analisi sulla dotazione di posti letto rispetto alla popolazione, modelli operativi, rispetto dei diritti. Questo in particolare per gli SPDC, l’impianto restraint e le contenzioni (citate nel risk assessment). Sarebbe utile che il PASM indicasse l’obiettivo del no restraint, contenzioni zero. Inoltre andrebbe posta attenzione su reingressi a 8-30 giorni dalla dimissione da un ricovero ospedaliero (indicatore inserito nei LEA). Al contempo andrebbe stimolata la rapida presa in carico da parte dei CSM.

Per quanto citato non viene indicato il fabbisogno di posti letto ospedalieri per la NPIA 

Non viene analizzato l’apporto della spedalità privata. 

I centri di salute mentale

Per quanto attiene ai Centri di Salute Mentale  che sono il core del sistema, non viene indicato territorio di riferimento (ideale), apertura (giorni, orari 12, 24 ore). I PDTA offerti a tab. pag. 24-26 potrebbero essere completati con altri molto importanti (Esordi psicotici, DCA, Disturbi Bipolari, Disturbi Gravi della Personalità, prevenzione dei suicidi) ma al di là di questo aspetto la definizione dei livelli di intensità di cura e dell’organizzazione dei percorsi implica una quantificazione delle risorse necessarie. Ad esempio per il PDTA Disturbi della Nutrizione e Alimentazione sono previsti diversi livelli di intensità di cura (ambulatoriale, day service, ospedaliero, residenziale e semiresidenziale specialistico).

Non viene quantificato il fabbisogno di posti letto ospedalieri per NPIA, in particolare per gli adolescenti (almeno 400 posti) nonostante le crescenti evidenze di una sofferenza che richiede risposte articolate e complesse incentrate su prevenzione e qualità del prendersi cura non solo sanitario ma anche educativo,  sociale,  culturale.

Si tratta di riconoscere che le difficoltà della transizione dall’adolescenza al mondo adulto include anche i problemi psicologici e psichiatrici, ma l’espressione di una grave crisi sociale e culturale del nostro sistema valoriale. Competitività e privatizzazione del disagio, della povertà, delle diseguaglianze e delle diversità culturali e di genere, delle quali il Piano non sembra occuparsi, crea un minority stress che alla base di molteplici sofferenze, agiti autolesivi e eteroaggressivi, di uno stato di alienazione, chiusura (Neet, hikikomori) e abbandono delle speranze, uso di sostanze ed al.

I CSM sono anche sedi per altri tipi d’intervento (BdS, Inserimenti lavorativi, IPS ecc.), rapporti con le Case della Comunità e fare della casa della persona come primo luogo di cura. 

Sulla residenzialità, pur essendo citati tutti i migliori approcci tecnici, il documento dell’Istituto Superiore di Sanità, non si coglie la linea operativa strategica sia rispetto ad una qualificazione della residenzialità sanitaria rispetto ai singoli PDTA sia per quanto attiene alla creazione di Servizi di Comunità e Prossimità mediante Budget di Salute come evoluzione della residenzialità sociosanitaria.

In altre parole, una riflessione qualitativa e quantitativa sulle dotazioni e le linee di sviluppo sarebbe molto utile onde evitare che la sensazione sia quella di un divario tra colte teorie e tecniche da un lato e modelli organizzativi possibili e pratiche reali dall’altro. Il PASM dovrebbe proprio a ridurre questo divario.

A maggior ragione per i servizi rivolti alla salute mentale delle persone di minore età, per le quali si rileva la carenza di posti letto ospedalieri (quanti programmarne e con quali caratteristiche?) mentre maggiore attenzione meriterebbe la rete residenziale sanitaria e socioeducativa. L’ambito dei minori sta assumendo un’organizzazione sempre più simile a quella della psichiatria adulti e quindi occorrerebbe molta attenzione per prevenire le pratiche restraint e le contenzioni meccaniche in questo ambito.

I disturbi del neurosviluppo

Un punto critico è l’assistenza alle persone con disturbi del neurosviluppo specie se con gravi problemi comportamentali.

Viene molto sottolineato la transizione dei minori all’età adulta e definiti dei riferimenti anche di personale per la realizzazione delle Equipe Funzionali e ciò è certamente utile.

La continuità di cura è un tema aperto a livello nazionale ed europeo e richiede una riflessione in quanto continuità e discontinuità vanno viste in relazione a situazioni diverse. Ad esempio le persone con autismo, oppure con disturbi esternalizzanti o uso di sostanze.

Per Adhd e autismo va quantificato il fabbisogno di servizi territoriali e residenziali o di progetti con Budget di salute.

L’utilizzo dei codici Z del ICD 10

I riferimenti all’organizzazione dipartimentale, all’approccio biopsicosociale, al modello a matrice sono condivisibili e dovrebbero sostanziarsi anche in diagnosi sociali e l’utilizzo dei Codici Z del ICD 10. Una moderna concezione della salute mentale di comunità deve realizzarsi nell’ambito di relazioni di sistema, in particolare con i servizi sociali per andare al concreto delle pratiche e ad un reale protagonismo delle persone nei percorsi di recovery, empoverment. 

 Il riferimento alle pratiche EBM e le Linee Guida implica un coinvolgimento della persona e della famiglia. Quindi è importante che il PASM citi il miglioramento del consenso, l’engagement, le DAT, le pratiche di deprescrizione. 

Il tema dei diritti e della partecipazione di utenti, familiari e volontari è cruciale e sarebbe un utile atto di indirizzo per le regioni e prevedere le forme di realizzazione a livello regionale e dei singoli dipartimenti.

Inoltre andrebbero individuati gli strumenti normativi, amministrativi e organizzativi per rendere possibile e stabile l’utilizzo di ESP/ orientatori anche al fine del lavoro tra pari, la prescrizione sociale, l’automutuoaiuto. 

Nell’ottica dei diritti andrebbe rinnovata la figura dell’Amministratore di Sostegno, e quando non svolto da familiari ne andrebbe riconosciuto il ruolo pubblico (e le relativi emolumenti).

Piano d’azione salute mentale 2025: Le REMS

Per quanto riguarda i percorsi giudiziari e l’utilizzo delle REMS, sono condivisibili le proposte di istituire una Cabina Nazionale Interistituzionale (L’Osservatorio istituito dal Ministero della Salute nel 2022 è stata chiusa), i Punti Unici Regionali, le Unità di Psichiatria Forense nei DSM. 

La REMS ha una funzione residuale di “estrema ratio” che andrebbe rimarcata mentre non pare valorizzato il grande lavoro dei DSM che assistono sul territorio circa 7000 persone con misure giudiziarie, di cui circa 4800 in residenze con un conseguente importante impegno di risorse che andrebbe riconosciuto dallo Stato alle Regioni. Ogni progetto costa circa 60 mila euro/ anno. 

La legge 9/2012 e 81/2014 e il DM 1 ottobre 2012 configurano la REMS come struttura sanitaria e affidano la sorveglianza perimetrale alle Forze dell’Ordine. 

Se l’esecuzione della misura di sicurezza è competenza giudiziaria come il PASM riporta, citando la sentenza della Corte Costituzionale 22/2022, occorre chiarire se essa costituisce un elemento normativo indipendente assumendo tutt’al più il senso di una cornice di norme che la persona s’impegna seguire in funzione di una cura volontaria che ha una sua specifica autonomia e mette in atto tutti gli strumenti biopsicosociali e ambientali del welfare di comunità, oppure se la misura giudiziaria è essa stessa a sostanziare insieme la privazione della libertà, la costrizione e il trattamento entro il quale si sviluppa la cura psichiatrica possibile. 

In sostanza sembrano esservi due visioni: una di comunità e un’altra sul modello di tipo detentivo. 

Nel merito non va dimenticato che la REMS è una residenza a gestione sanitaria e non è un istituto autosufficiente, né un SPDC restraint. 

Dalla natura della REMS sono derivate conseguenze descritte nel PASM, quali la sanitarizzazione, l’inapplicabilità del regolamento penitenziario e un ruolo marginale della polizia penitenziaria. Su quest’ultimo punto sono necessarie riflessioni come per altro richiesto dalla sopracitata sentenza della Corte Costituzionale. Il collegamento con le Forze dell’Ordine, il supporto alle REMS in sostituzione della vigilanza privata messa in campo dalle Ausl, la collaborazione con l’UEPE per l’applicazione delle misure di comunità potrebbero essere ambiti interessanti per utilizzare al meglio la professionalità della polizia penitenziaria. 

Non è previsto ma sarei contrario invece ad un ritorno delle REMS ad una gestione diretta da parte del DAP. Credo anzi che la linea dovrebbe tendere a superare le REMS creando alternative. 

La riforma dell’imputabilità e delle misure di sicurezza potrebbero essere importanti per riformare il sistema, lo stesso per quanto attiene la posizione di garanzia dello psichiatra.

Non condivido l’affermazione al punto 5 di pag. 44 di “un’errata stima iniziale dei posti letto REMS” come causa della lista di attesa. Essa va analizzata a livello regionale. La previsione che ogni regione si doti di almeno una REMS è ragionevole ma il numero di posti andrebbe visto in relazione alle dimensione della popolazione ma anche alla tipologia dei servizi e del sistema di comunità.

Come detto la rete residenziale sta già ospitando molti utenti e più che “bollinare” come giudiziarie altre strutture mentre si potrebbe promuovere un ampio lavoro formativo e applicare i diversi strumenti citati dal PASM e la precisazione circa le capacità predittive della psichiatria.

Occorre quindi cautela e fare un lavoro interistituzionale per chiarire bene le differenze e le competenze (cura, sorveglianza, prevenzione di nuovi reati- controlli). Per tutti coloro che lavorano con questi pazienti dovrebbe essere abrogata la posizione di garanzia degli operatori.

Sul tema nel PASM non sembrano presenti progetti come ad esempio quelli esplicitati dalla lettera del Capogabinetto del Ministero della Salute (0018635 -P- 23.12.2024) indirizzata alle Regioni nella quale si annuncia la “proposta di riforma del sistema che prevede per l’ambito sanitario l’assistenza alle persone assolte ai sensi degli artt. 88 e 89 cod. pen.  su quattro livelli di intensità, di cui solo quella di primo livello è caratterizzata dalla massima intensità di cura e dalla alta sicurezza e osservazione e valutazione assistenziale e prognostica.”  Anche nelle audizioni del Consiglio Superiore della Magistratura in tema di REMS esitate nella delibera della Commissione mista il 12.11.2024 è emersa la proposta di istituire le Unità di Valutazione Assessment e Prognosi, con 80 posti, una per nord, centro e sud. 

Un chiarimento delle reali intenzioni sarebbe necessario. 

 In diversi scritti è stata espressa le contrarietà alle suddette proposte. In conclusione sul punto occorrerebbe una valutazione regione per regione valorizzando i risultati e perfezionando la collaborazione interistituzionale come previsto dal citato Accordo Stato Regioni 30 novembre 2022.

Le attività negli istituti di pena

Quanto alle attività negli Istituti di Pena lascia molto perplessi l’affermazione “Le sezioni specialistiche per disturbo mentale sono presenti in 33 Istituti Penitenziari con circa 320 posti, che corrispondono allo 0,5% della popolazione detenuta, a fronte di una presenza stimata del 10-15% di persone con disturbo mentale in carcere. E’ necessario coprire almeno il 10% della popolazione carceraria. Tali strutture sebbene destinate a soggetti detenuti e non internati possono migliorare l’assistenza in carcere e limitare il ricorso alla incompatibilità con il contesto carcerario (spesso invocata al solo fine di poter ricevere cure psichiatriche) e ridurre suicidi e gesti auto-eterolesivi.” (pag. 48) Si tratterebbe di istituire oltre 6000 posti. È pur vero che in tabella pag. 51 per le ATSM si pone l’obiettivo di passare dall’attuale 0,5% ad almeno il 5% della popolazione carceraria.  Si tratta pur sempre di oltre 3000 posti! Con un costo gestionale annuo di circa 300 milioni, oltre alle spese per investimenti in nuove strutture o ristrutturazioni. La programmazione dei posti di Atsm dovrebbe essere di ambito regionale, in sintonia sia con le disposizioni in materia sanitaria e penitenziaria.

La previsione di effettuare i TSO negli II.PP, pur ipotizzata e presente nel pdl Zaffini sembra, giustamente, accantonata.

Forse occorre una riflessione più complessiva sugli Istituti di Pena e definire la natura delle ATSM. Sul punto il PASM correttamente indica che vi sono posizioni assai critiche secondo le quali “le ATSM sono illegittime e configurano una violazione degli articoli 13 e 32 della Costituzione, oltre che dell’articolo 3 della Corte europea dei diritti dell’uomo,”

Condivido che occorra uscire dall’impasse e definire quali sono i percorsi di salute mentale negli II.PP e quelli esterni anche per dare attuazione alla sentenza 99/2019 della Corte Costituzionale. Una riduzione della detenzione sociale e per le droghe nonché un drastico abbattimento del sovraffollamento potrebbero rendere molto diversa la situazione negli Istituti di Pena, con diminuzione dei suicidi e atti eterolesivi ed anche gli interventi necessari per la salute mentale verrebbero migliorati. La creazione di alternative alla detenzione in comunità,  residenze o alloggi e percorsi con Budget di salute richiede adeguati investimenti.

Il risk management

La parte sulla sicurezza delle cure e il risk management deve essere declinata a livello delle singole aziende e servizi. In altre parole, ad esempio, la definizione dell’orientamento di un SPDC, restraint o no restraint ha molteplici conseguenze anche in merito alla sicurezza. Piani per la sicurezza delle cure e gestione del rischio dovrebbero essere presenti in ogni DSM prevedendo misure strutturali, organizzative/risorse, procedurali e formative nonché forme di collaborazione con Prefetture e Forze dell’Ordine (Comitato provinciale per la sicurezza).

L’integrazione sociosanitaria dovrebbe vedere linee nazionali, come quelle per il Budget di Salute e sancire la pienezza di diritti e doveri delle persone con disturbi mentali e delle loro famiglie.

Ma anche i nuovi strumenti senza risorse dedicate potranno fare ben poco.

Infine non è  previsto un sistema strutturale di partecipazione, di governo e monitoraggio.

In conclusione, come emerso dall’incontro del Collegio dei direttori di dipartimento, secondo calcoli preliminari ma circostanziati, vanno previsti oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica stimabile in 3,3 miliardi di euro (di cui 1 per il personale) e circa 1,8 miliardi per investimenti strutturali. Un investimento rilevante ma comunque entro il 5% (6,8 miliardi per il 2025) della spesa sanitaria nazionale.

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