Il vecchio
Un uomo ha 62 anni portati non male, malissimo. Nonostante sia in Rems per un crimine violento, ha l’apparenza di quel nonno sicuramente un po’ burbero, ma in fondo buono. Una chioma canuta e disordinata, lunghi ciuffi di peli che spuntano dalle orecchie. A volte si perde all’interno della struttura, pare non riconoscere le poche mura in cui è ristretto. Qualcuno dice di averlo sentito dietro una porta chiusa carico di insulti e imprecazioni.
Durante e alla fine di una lunga carcerazione è stato sistemato su una sedia a rotelle, per questo è stato risparmiato dalle dure dinamiche carcerarie… eppure deambula autonomamente.
Il maratoneta
In carcere camminava in continuazione, non si fermava mai a parlare con un altro detenuto e se qualcuno voleva parlare con lui doveva tenere il suo passo. Un giorno, un terribile diluvio si abbatte sulla prigione, ma lui, scende comunque nel cortile, perchè deve camminare. E’ l’unico, da sopra gli altri lo chiamano, gli consigliano di rientrare. Lui non ne vuole sapere, quasi arriva al congelamento. Sotto la doccia calda è soddisfatto, perché quando gli altri stanno fermi, lui cammina.
Il Don
Gli anni di carcerazione si accumulano, si contano, e chi ne ha di più ha un compito difficile e gravoso, quello della leadership. Perché la struttura va amministrata, i ragazzi vanno gestiti e gli sforzi vanno diretti. In uno spazio chiuso la libertà è un concetto difficile da afferrare, eppure va cercata.
L’ultras
La tifoseria è qualcosa di più del semplice andare allo stadio e sostenere la propria squadra. Allo stadio bisogna entrare già organizzati, dare ascolto a chi è più grande di te, chi ha più esperienza, altrimenti te ne stai a casa, a fare la calzetta. Per l’ultras è fondamentale un gruppo solido, formato da menti e da braccia. E in una struttura psichiatrica lui decide chi fa l’uno e chi fa l’altro.
“Ad una prima lettura salta agli occhi che la mancanza di un’idea problematica, o se si vuole di una premessa filosofica, rende il film una suite di episodi assolutamente gratuiti, può anche darsi divertenti nella misura del loro realismo ambiguo. Ci si domanda: cosa vogliono realmente gli autori? Ci vogliono far pensare? Vogliono farci paura? Il gioco rivela fin dall’inizio una povertà d’ispirazione poetica…”
L’intellettuale in 8 e ½ di F. Fellini
Negli ultimi tempi si registra un progressivo aumento, all’interno della REMS, di ospiti provenienti dal carcere. La carcerazione costituisce per questi soggetti un tratto identitario molto marcato, che spesso si traduce nella formazione di un sottogruppo coeso e strutturato, dotato di propri codici relazionali mutuati dal contesto detentivo. I membri di questo sottogruppo presentano frequentemente disturbi di personalità – in particolare tratti antisociali e borderline – associati a disturbi da uso di sostanze.
La crescente presenza di ospiti con queste caratteristiche rende il sottogruppo sempre più numeroso e influente, portando con sé – in modo più o meno consapevole – valori, disvalori e dinamiche proprie del carcere: relazioni improntate alla sfida dell’autorità, logiche di potere interne al gruppo, modalità comunicative aggressive o manipolative. Tali dinamiche rischiano di entrare in conflitto con l’impostazione comunitaria e riabilitativa che dovrebbe caratterizzare la nostra REMS.
Il profilo dei nuovi ingressi è spesso rappresentato da persone di nazionalità italiana, con diagnosi di disturbo da uso di sostanze e, in alcuni casi, disturbi di personalità. Questi soggetti provengono dal carcere o hanno avuto esperienze detentive pregresse, talvolta senza alcun passaggio intermedio in contesti comunitari. La condivisione dell’esperienza carceraria rafforza il senso di appartenenza reciproca e conferisce a questo gruppo una posizione dominante all’interno della struttura.
Ciò avviene spesso a scapito degli ospiti con gravi disturbi psichiatrici, più fragili sul piano relazionale e meno attrezzati per affrontare dinamiche di gruppo così marcate. Questi pazienti, sempre più marginalizzati, tendono a ritirarsi nelle proprie stanze, evitando gli spazi comuni e riducendo la partecipazione alle attività terapeutiche. Si assiste così a una progressiva esclusione dei soggetti più vulnerabili, con un impatto significativo sul clima comunitario e sull’efficacia complessiva del progetto riabilitativo.
La convivenza tra profili così eterogenei comporta rilevanti difficoltà nella gestione quotidiana e nei percorsi di cura, richiedendo un costante impegno nel mantenere un equilibrio tra contenimento e trattamento. In questo scenario, risulta fondamentale una valutazione attenta e multidimensionale degli ingressi, una formazione mirata dello staff sulle dinamiche di gruppo e sui profili borderline e antisociali, nonché l’attivazione regolare di momenti di supervisione clinica, per supportare l’équipe nella lettura e nella gestione delle dinamiche più complesse.