1990 esce in Italia “Ragazzi Fuori” film diretto da Marco Risi. Il film è il seguito diretto di “Mary per sempre”, dello stesso regista, e che racconta la storia di diversi ragazzi palermitani da poco usciti dopo un periodo di detenzione all’interno di un carcere minorile.
All’inizio del 1990 la Sicilia è una terra dove i nomi di Giovanni e di Paolo sono due nomi tra i tanti, dove Peppino è ancora quel ragazzo che si è ammazzato spaccandosi la testa e si è fatto esplodere sui binari della ferrovia, dove la mafia non esiste e dove l’importante è stare ognuno al proprio posto.
Nel 1990 ho poco più di tre anni, un poppante che a malapena cammina e parla, al limite si lamenta, ma che casualmente si trova a vivere di fronte a un carcere, un carcere omonimo a quello dei protagonisti. Il “Malaspina”.
Il palazzo in cui vivo ha il balcone che da dirimpetto alle celle dei detenuti. Così come lo hanno i palazzi dei miei amici, il fornaio, la ferramenta, la strada in cui mi ritrovo a passare interi pomeriggi e sere, giocare e la scuola. Quell’edificio è una parte organica del quartiere, è un elemento distintivo e identificativo; “dove vivi?”, “dove ci vediamo?” “davanti al carcere.”
Più crescevo e più cresceva in me una diversa percezione e una nuova sensibilità, come se a dividere noi e loro, il “fuori e il dentro” non ci fossero solo sbarre o muri ma Altro. Due realtà, due mondi, due società che si scrutano una verso l’altra con sospetto, diffidenza e in alcuni casi ammirazione.
Dentro
2018, da quel manto dorato siciliano che i più sagaci hanno denominato come il Granaio d’Italia mi ritrovo catapultato sugli appennini emiliani, assolutamente non pronto e totalmente inesperto per la prima esperienza all’interno di una Comunità.
La comunità in cui lavoro è una comunità integrata al cui interno sono ospitati ragazzi e ragazze adolescenti in misura cautelare e con diagnosi psichiatrica, o la comunità o il carcere; questo è il diktat. O dentro oppure dentro. Solo dopo essere passati dalla misura cautelare alla messa alla prova e aver scontato quest’ultima è possibile per questi ragazzi e ragazze tornare fuori, vivere fuori.
Molti di loro però “hanno fallito” il percorso in comunità, scontando il resto della pena in carcere, scappando e altri ancora hanno concluso il percorso.
Ho ancora impresso nella mente le chiacchierate con i colleghi e con i ragazzi rispetto al fuori, al loro e nostro mondo fuori da quelle mure. Il senso di alienazione e smarrimento che spesso li colpiva e le parole che gli ospiti pronunciavano, “Voglio andarmene”, “Voi potete uscire, noi no” “Voi siete liberi di andare” “Io qui non ci sto più”.
Queste erano le frasi che più comunemente venivano rivolte agli operatori e molto spesso a queste frasi seguivano agiti di fuga, agiti che noi operatori descrivevamo con un secco e arido “auto-sabotarsi”. Ma c’erano dei momenti, fugaci e istintivi, in cui tra una frase e un agito era possibile domandare: “Vuoi andare? Ma andare dove?”. La nostra domanda veniva seguita da risposte, spesso accompagnate da urla, pianti, e oggetti lanciati: “voglio andare a casa”, “voglio tornare dalla mia famiglia”, “voglio andare dalla mia ragazza”. Dopo aver fatto il giro dell’intero repertorio a loro disposizione concludevano, in modo ineluttabile, con “Non lo so, fuori.”
Poi c’erano quegli altri casi in cui il percorso andava bene, dove venivano rispettati gli obbiettivi e lì, in egual misura a chi scappava, c’era il mondo che loro aspettavano e il dubbio se quello stesso mondo stesse aspettando loro.
Ho sempre vivida nei miei ricordi l’immagine dei loro volti, volti con su intriso un misto di felicità e timore di non sapere, dopo un lungo percorso, cosa aspettarsi e se ce la ci farà. Non sapere, al di là delle 1000 rassicurazioni, se li fuori ci sia qualcuno pronto ad spettarli, se li fuori qualcuno riconoscerà il loro lavoro e fatica, se lì fuori ci sarà speranza, se li fuori ci sia un posto per loro.
Fuori
Nel film di Marco Risi i protagonisti sono “fuori” dal carcere in quanto hanno scontato la pena. Se nel film precedente, “Mary per sempre”, si narrava la vita all’interno del carcere. Vita fatta di soprusi, violenza, “rispetto”, amore. In questo film si parla della vita che li attende fuori, dove il fuori non li vuole e li rigetta Una volta fuori quello che incontrano è ancora il carcere, non il carcere fisico e reale ma il loro fantasma. Il fantasma di essere ancora dentro le mura, di essere colpevoli, il fantasma di dover scontare, come in un tempo infinito, la loro colpa.
Durante l’intera pellicola a ogni piccolo gesto di redenzione l’Altro fuori gli ricorda che loro sono stati li dentro. L’Altro personificato dal capomastro che canzona con una risata grassa di disprezzo “E bravo Natale, bravo”, il poliziotto che rincorre uno dei ragazzi per i mercati di Palermo finché non gli spara alla nuca, il giudice che emette la sentenza di reclusione, uno dei ragazzi ritrovato carbonizzato dentro una discarica, sono tutte tracce del loro fantasma.
Annodamento
Da quella prima volta in comunità sono passati alcuni anni, ho visitato altre regioni, altre città, altre comunità, ho conosciuto altri ospiti, altre persone. Ma ancora oggi quando gli ospiti varcano il cancello e da fuori si ritrovano dentro esclamano le stesse parole di allora, le stesse parole che altri hanno detto e che altri diranno. Parole che stanno a ricordare a tutti noi che esiste un confine tra il fuori e il dentro.
Un confine che non si limita a essere reale e demarcato da muri e cancelli, ma un confine psichico e sociale. Così come esiste un fuori per chi è dentro, esiste un dentro per chi è fuori. Dentro e fuori si annusano e si scrutano, si costruiscono idee e pensieri l’uno dell’altro. Affinché ogni azione, ogni parola, ogni dialogo sia realizzato con un fine di cura, dentro e fuori devono lavorare insieme annodando l’altro del singolare con l’Altro del sociale.
Famiglie, servizi, territorio ecco chi è l’Altro, quest’Altro che si spera getti lo sguardo al di là del fantasma.
“Perché non nuoti?”
All’inizio del film uno dei protagonisti, in un atto di nuova speranza e libertà, scommette con i piciotti di riuscire a rimanere per sessanta secondi, in pieno inverno, in bagno a Mondello. Mentre gli amici sono sulla spiaggia, fermi e divertiti, Natale si spoglia, rimane in mutande e si tuffa. Subito dentro l’acqua inizia a sentire freddo, trema, batte i denti, esclama imprecazioni ma non esce, non demorde dalla scommessa che ha fatto a se stesso prima ancora che agli altri. Nell’acqua gelida e tremante, Natale sente gli amici gridare “Nuota, Natale…nuota!”, “Non posso farlo” risponde lui “Perché no? Perché non nuoti?” “Non so nuotare!!”



