Scorgo a non più di 3 metri di profondità un polpo. Mi avvicino e lui mi sente, o vede lo scintillio del vetro della mia maschera subacquea. Non un movimento. Ma con una magia mimetica diventa perfettamente uguale allo scoglio, su cui è adagiato. Per quanto sia straordinario il mantello che ora lo nasconde, continuo a vedere i contorni e avvicino la mano. Lui curioso la sfiora con un tentacolo. E io accenno una reazione imprevista. Sente il fremito. Si allerta. Io torno su a prendere aria e poi riscendo. Lui non si è mosso. Questa volta mi avvicino di più. Lui di nuovo mi sfiora. Lo lascio fare. Vicino a lui un paio di pesci di scoglio. Uno si avvicina a sua volta. Così, inaspettatamente, il polpo si contrae, caccia un urletto, una specie di pernacchia, uno sbuffo di nero e veloce scivola sullo scoglio e si infila in un anfratto dove scompare.
Ci metto gli occhi, è un buco stretto stretto. Lui c’è ma non si vede.
Torno in superficie e me ne vado.
La scena del polpo è la più forte dell’estate
Provo a capirci qualcosa.
Penso ai numerosi polpi che ho ucciso fin da piccolo cercando prede tra gli scogli dove sono cresciuto.
Erano sempre benvenuti in cucina e buonissimi da mangiare.
Penso a come ho insegnato a mio figlio ad ucciderli. Lui, diventato molto più bravo di me a scoprirli nelle tane. In certe isole lontane della Grecia ne prendeva molti e la sera finivano in pentola o arrostiti sulle griglie della taverna.
Penso ad un documentario di un signore in crisi che fa amicizia con una polpessa e per un anno intero scende a trovarla. E penso alla sua tristezza quando non la trova più.
Ricordo che il polpo è considerato uno degli animali più intelligenti, capace di risolvere problemi, di memorizzazione rapida, e ricordo pure che ha 3 cuori. Nell’immaginario sono accostati ai mostri marini, alle piovre giganti che divorano le navi. Per questo da sempre mal visti e temuti.
E penso ai nostri pazienti, quelli più delicati, fragili, quelli che sentono la propria vulnerabilità, che si mimetizzano e si sentono facili prede di chiunque riesca a vederli. Quelli che suscitano paure e violenza, solo per come sono e come si pongono nelle relazioni.
Come è avvenuto il mio cambiamento?
Non avrei mai creduto che a un certo punto potessi pensare che io e i polpi siamo sullo stesso piano, abbiamo gli stessi diritti. E per questo non posso permettermi di ammazzarli. È successo così, da prede a simpatici amici del mare, anche se vigliaccamente continuo a mangiarli al ristorante. Ed è successo anche a mio figlio, senza che ce lo siamo espressamente mai detto.
Vorrei credere che tante cose che facciamo ogni giorno in Salute Mentale possano diventare all’improvviso passato. Arrivare ad un uso ragionevole dei farmaci, un rapporto terapeutico umano basato sul rispetto, la tolleranza per chi si nasconde, spaventato (basta sapere che sta nella sua tana e ogni tanto passare a dare un occhio). Se il polpo non viene attaccato sarà lui stesso a venirci incontro. Per questo il concetto di cure “proattive” non mi è mai piaciuto. A parte il termine, che è francamente brutto.
E soprattutto imparare a stare con gli altri, a guardarli senza troppa insistenza, dando tempo e valore alla esistenza di chiunque.
Spero di ricordarmi l’urletto del polpo e di placare la mia ansia e l’onnipotenza del curare, splendida arte, ma anche una lontana parente dei più violenti appetiti dell’uomo.