Ognuno si cura da solo, ognuno può scoprire il suo personale metodo per uscire fuori dalle situazioni, anche dalle più complicate. Come? Pensando a sopravvivere.
Mi sono immersa nella lettura del libro “Tre ciotole” di Michela Murgia e nella visione del relativo film di Isabel Coixet. Nel film ho ravvisato un accento più drammatico (ma non melodrammatico) rispetto al libro, scanzonato e profondo nella scrittura arguta, asciutta e lucida di Murgia.
La strategia di sopravvivenza di Marta
Marta, la protagonista, escogita una strategia di sopravvivenza.
Attraversa la rottura del rapporto con il compagno accettando la mancanza di appetito e destrutturando i suoi pasti per reazione alle regole familiari e di coppia. Dopo aver cercato le cause di un vomito serale doloroso ed incoercibile, decide di non voler smettere quel dolore legato alla separazione e seguirne invece il decorso. Aspettando che passi.
Per assicurarsi una nutrizione giornaliera sufficiente alle funzioni vitali, organizza i pasti in tre ciotole. Alla fine della giornata dovranno essere in qualche modo consumate. Le tre ciotole per sopravvivere, quel minimo indispensabile che consente di attraversare il vuoto della separazione e del dolore. Nel nome di una sofferenza controllata anziché di uno strazio senza controllo.
Il partner di Marta invece, grazie all’alleanza di un amico, si cimenta nella riconquista dei luoghi della relazione, quelli che nella separazione si cerca di evitare. Un ricalcolo del percorso in una mappa cartacea, volto ad elaborare la paura-desiderio di reincontrare la ex amata.
Un episodio successivo mostra come una madre sopravvive alla sindrome del nido vuoto attraverso il cartonato di un giovane cantante coreano che nasconde gelosamente nell’armadio come un amante.
In un’altro stralcio di vita una coppia di lunga data attraversa il tempo insieme indenne grazie all’astuzia della moglie che gestisce il marito controllandone la salute e gratificandolo a fin di bene.
Ogni storia ha il suo significato
Anche nella psicoterapia, ogni storia di vita ha il suo significato, e la relazione con ognuno dei pazienti è come una tela che si mostra nei suoi dettagli rivelando delle trame spesso inaspettate. Piano piano si uniscono i puntini di quella storia e viene fuori un disegno che è sempre unico ancorchè soggetto a rimaneggiamenti.
La terapia ricostruisce nel tempo l’indispensabile kit di sopravvivenza interiore, carboidrati proteine, lipidi e vitamine della vita. Il motore psicofisico che per svariati motivi perde il suo valore energetico in relazione a traumi relazionali ripetuti od eventi destrutturanti. Dalla ricostituzione di quel minimo può realizzarsi molto di più: crescita , gratitudine, gratificazione, serenità.
Proprio nella giornata di oggi, cercando un simbolo per questo articolo, ho ricevuto un regalo che una mia paziente mi ha consentito di usare in questo spazio. Negli anni del suo recente cammino psicoterapeutico, ha attraversato momenti di profonda prostrazione depressiva convertita somaticamente in episodi di dolori addominali persistenti. Le sue tre ciotole sono state una restrizione-selettività alimentare controllata clinicamente attraverso le indicazioni di nutrizionisti ed esperti e che lei ha descritto più volte come il suo “svezzamento”. Parallelamente la sua vita si è arricchita grazie al lavoro analitico e alla sua fatica di introdurre nuovi alimenti psicofisici vitali. Oggi mi ha svelato di essersi commossa per un piatto che da tempo non riusciva a concedersi. Una zuppa di patate e ceci è stata la sua felicità, attendendo il giorno dopo dolori che sorprendentemente non si sono presentati. Ha convenuto che dopo le sue tre ciotole, zuppa compresa, ora possa ricercare il suo personale piacere oltreché la sopravvivenza.
Le tre ciotole dell’analista
Quante vite si incontrano nello studio di un terapeuta! E se è vero che di ogni contatto rimane un legame nel tempo purché sia avvenuto, che effetto hanno nell’animo del terapeuta questa somma di relazioni vissute per anni, per mesi o anche solo per un incontro? Tanti nuovi inizi e molteplici distacchi si susseguono nella vita professionale. Come si sopravvive? Per la Murgia ci sono molteplici e personali vie. E noi siamo chiamati a percorrerle, vivendole. Molti di noi si chiudono alla socialità, sviluppando una sorta di ritiro schizoide nelle vite altrui; altri si reinventano continuamente per alimentarsi di nuovi stimoli. Altri ancora sperimentano occupazioni lavorative alternative più pratiche ed operative, cercando di allentare la riflessione. Le tre ciotole dell’analista non possono prescindere dall’analisi personale, quella nostra spesso interminabile, nelle sue declinazioni e periodi di vita. È però decisamente auspicabile e raccomandato che un buon terapeuta sperimenti diversi servizi di piatti, stoviglie di varia foggia e stile, in mise en place sempre nuove, che aumentino la sua capienza di vita.
Ognuno si cura da solo, purché siano assicurate le tre ciotole, l’indispensabile. La nostra zuppa di patate e ceci, quello che un tempo non potevamo permetterci e che la terapia aiuta a mettere in tavola.



