Vaso di Pandora

Gerardo, senza dimora che non accetta alcun aiuto

È una storia di comune vita di un senza dimora, di quelle che in una grande città ce ne sono molte, ma nessuno se ne accorge proprio perché ti vivono a fianco. Sono quei soggetti che si insediano in luoghi molto frequentati, ma si muovono in una dimensione autistica per cui difficile contattarli. Peraltro nessuno ci prova visto che non invadono il tuo spazio, ma si collocano sempre ai margini e il tuo spazio ne sente l’eco, ma non ne viene toccato.

I senza dimora a Roma

Per metterli in evidenza servono dei numeri. I Senza Dimora (SD) a Roma sono oltre 16 mila e di questi circa il 3% non accede, per gravi motivi psichiatrici alla comune assistenza per SD. Quindi, in questo momento per Roma si aggirano – prevalentemente in luoghi centrali e di alta visibilità – circa 500 soggetti che versano in gravi condizioni psicofisiche che non possono essere aiutati perché “non vogliono”. Per quanto terribile, la sola soluzione che ciascuno di noi ipocritamente  attende è che, in qualche modo, in modo “fatale” muoiano.

Lo scorso anno ne sono morti 415 che è un numero impressionante se si pensa che, ad esempio, si tratta di un terzo delle morti per lavoro che rappresenta una tragedia per la quale i tempi e le modalità di intervento sono molto complesse, mentre per questo tipo di dramma, le soluzioni sarebbero più immediate e semplici se solo ci si organizzasse per rispondere non tanto ai bisogni immediati (che loro, per definizione, non accettano…) ma ad intervenire sul quadro psicopatologico di base. Solo, bisognerebbe accettare che si tratta di sofferenza grave. Il punto è questo!

La storia di Gerardo

Gerardo è un senza dimora di circa 55 anni e la diagnosi, per lui è immediata. Vive tra piazza Colonna e la galleria Sordi all’interno di un sacco della spazzatura che porta addosso come un abito. Quindi: inutile chiedergli come si senta o di cosa possa aver bisogno! Quel sacco è l’unico indumento che usa. I volontari della SOS e Francesco della Croce Rossa gli portano pantaloni e felpe nuove, ma lui, educatamente, li accetta ma li trovi impilati, intonsi, a fianco del suo giaciglio nei pressi di piazza S. Silvestro, in pieno centro a Roma. Per quanto voglia essere invisibile, alcuni parlamentari lo notano e si chiedono perché non possa essere aiutato! (qualcuno in questi casi parlerebbe di “dissociazione debole”!).

In questi casi, però i progetti di aiuto sono solo quelli che riguardano noi. Ci si chiede perché non sia lavato, nutrito e vestito in modo più “umano”. In realtà Gerardo visibilmente ci segnala come si sente e che quello, per ora, è il suo solo modo di presentare come si sente.

I senza dimora sorprendono

È strano, ma dalle prime volte che l’ho incontrato a piazza S. Silvestro mi ha colpito che nel degrado della sua figura spiccassero in modo netto dei denti bianchissimi e le unghie ben curate.

Con i senza dimora sono abituato a farmi sorprendere da piccole aree sane in un arcipelago di aree frammentate per contenere un dolore altrimenti indicibile. È gradevole intrattenersi a parlare con lui perché “attraverso i televisori dei negozi e le notizie che strisciano sui visori degli autobus lui è informato su tutto!”. Ci siamo uniti a Claudio e Daniela, due operatori della SOS, che da anni, senza poter organizzare alcun percorso di recupero lo seguono, incontrandolo per strada. 

Alla fine dobbiamo dolorosamente riconoscere e partire da un dato che lui ci segnala in modo evidente: lui esiste e si sente il contenuto di una sacco di spazzatura, ma spera che ci esista una madre che quando ti cambia il pannolino sia felice di vederti sporco! Non è una posizione solo di Gerardo, ma è la sfida che ti pongono puntualmente tutti i senza dimora che possiamo chiamare non collaborativi. Ti impongono una posizione di delicata prescrittività, ovvero che loro la fanno nel pannolino, ma qualcuno deve occuparsi di intervenire assumendosene la responsabilità psichica (Meltzer, 1971).

Da avvocato a senza dimora

So che è un avvocato e che viveva in un paesino del casertano. Ha un gruppo di vecchi amici che in modo episodico lo incontrano, ma sentono di non poter fare nulla per lui. Anche un prete di una vicina parrocchia.  “Area 95” è un piccolo presidio che funziona solo il giovedì pomeriggio dove SMES-Italia e Binario 95 collaborano per offrire una base di incontro per situazioni o ambulatoriali oppure offrire coordinamento per situazioni complesse come quelle di Gerardo. Dopo i primi incontri mi faccio promettere che verrà giovedì prossimo a via Marsala 95, il nostro presidio. Mi dice che verrà “…solo che da quella strada ci passavo sempre quando andavo all’università: Non so ce ci riesco!” Ho sperato che ci riuscisse, ma mi aveva rispettosamente annunciato di non aspettarlo.

Il nostro intervento si fonda sulla convinzione che non servono gli interventi di semplice “assistenza”, ma che la domanda di questi soggetti è quella di recuperare nessi in una dimensione di vita frammentata in un arcipelago dove ti puoi concentrare solo sulle piccole isole dove i denti sono bianchissimi e le unghie curate oltre che sulla sua simpatia.  Si attivano incontri con un fratello e gli amici che sono interessati a “fare qualcosa” per lui. Colpisce che tutti lo ricordano “simpatico, intelligente anche se introverso”. Viene fuori la storia di una ragazza all’università che poi si interrompe e la morte della madre quando era giovane. Lui ha mantenuto un fragile equilibrio finché ha vissuto col padre, ma dopo il padre ha cominciato a girare fino a Roma “dove lui andava all’università ed ora non sa se riesce a tornarci!”

Un percorso per i senza dimora

Si coinvolge il Centro di Salute Mentale (CSM)di Via Palestro e col dott. Savoretti si decide un TSO, ovvero un intervento in cui ci si assume per lui la responsabilità che lui non tollera. Il progetto è quello già realizzato in altri casi andati bene: un ricovero in ospedale, poi un trasferimento in clinica e poi trovare una situazione residenziale sperando che le cure e l’esperienza del ricovero riattivino un processo dissociativo sospeso. Ora non vogliamo “lamentarci” (non ci riguarda…) ma riflettere sulle assurdità di alcune condizioni che sostanzialmente impediscono che un percorso semplice diventi invece impossibile. Si scopre che è residente dalle parti di Formia e, quindi dal S. Spirito dove viene ricoverato deve essere trasferito a Formia.

La dott.ssa Gerace e gli amici si va a trovarlo e, a Formia, si appassionano al suo caso (puntualmente, soprattutto nei ricoveri, si verifica che gli operatori – soprattutto i più giovani – attivino una particolare e insolita passione per questi casi estremi. Penso che uno dei motivi sia che un senza dimora per le condizioni fisiche e l’estrema impotenza che presenta evochi molto la dimensione neonatale che sollecita negli operatori una condizione di onnipotenza. Infatti, poi, sul piano concreto, questa posizione di onnipotenza puntualmente fallisce di fronte alle esigenze “adulte” della realtà…).

Gerardo inizialmente risponde molto bene

Gerardo risponde subito molto bene al ricovero. Il trasferimento in una clinica può essere solo effettuato se vi è la richiesta del servizio psichiatrico di Formia che in sostanza non lo conosce e, quindi, non può fare richiesta. Gli operatori SOS riescono a fargli spostare la residenza in Modesta Valenti 1 e il CSM di via Palestro può fare la richiesta (ovvio: perché un servizio deve assumersi questa responsabilità a cui non è tenuto? Alla fine devono “farti un favore”!). Il ricovero in clinica può durare al massimo due mesi durante i quali però Gerardo non accetta di dormire in stanza con altri e sceglie di dormire su alcuni cuscini messi sul pavimento nella sala d’aspetto.

Si procede, ma anche per questa sua particolarità, è difficile trovare una soluzione residenziale dove possa avere una stanza per sé. Intanto Claudio e Daniela, la dott.ssa Gerace, io, gli amici di un tempo si va a trovarlo in clinica. Lui è gentile con tutti.

La paranoia

Sappiamo che la paranoia è un tono leggero che piano piano nella tua vita ha levigato le emozioni e tu puoi passare, gentile ed assente, attraverso ogni emozione: non ti sconvolge nulla e puoi solo sentire che gli altri esistono perché vogliono incrinare il tuo piano ben levigato dove tutto scivola. Io qualche volta sono stato troppo “concreto” con lui. Mi ha sorriso, ma poi pare si sia risentito ed ha insistito perché si finisse il ricovero (peraltro volontario e lui è un avvocato che queste cose le sa…).

Scadono i due mesi è deve essere dimesso. Gli amici si autotassano per pagargli una permanenza a proprie spese finché non si trovi una soluzione: che però ci sia un letto singolo… Scavalcati i nodi formali, può essere ricoverato una seconda volta, ma questa volta dopo un mese i colleghi della clinica decidono che non abbia senso continuare il ricovero e lo dimettono e lui tornerà per strada! A noi sembra un gran lavoro, finito male. Perché i senza dimora devono per forza essere “costretti” nei percorsi della comune psicosi? Ricoveri, CSM, farmaci e soprattutto, necessità di documenti, residenza e competenza territoriale: parametri su cui si fonda la psichiatria territoriale, ma che è praticamente tutto l’esatto opposto di ciò che serve ad un senza dimora con gravi problemi psichiatrici.

I costi del percorso di Gerardo

Un altro appunto. Se si facessero i conti su quanto sia costato economicamente il percorso “inutile” di Gerardo (come anche in altri casi…)! Suggerisco di calcolare che un ricovero in SPDC (qui: S. Spirito e poi trasferimento a Formia) costa circa mille euro al giorno e lui c’è stato circa 20 giorni. Poi le cliniche convenzionate percepiscono circa 130 euro al giorno e lui c’è stato oltre 3 mesi. Poi per circa 20 giorni gli amici hanno pagato 60 euro al giorno perché fosse ospitato in una struttura residenziale compatibile.

Per non parlare poi dei costi degli operatori del CSM di via Palestro, ambulanze che effettuano il TSO; operatori della SOS, oltre, ovviamente alle “energie” del volontariato che potrebbero essere spese in modo più fertile. Io sono una brava persona, ma se serve frequento il sospetto. Penso che tutti questi soldi, spesi inutilmente, lo siano perché nessuno è “concretamente responsabile” dei costi e degli esiti dei processi.

Delineare un percorso per i senza dimora

Da tempo proponiamo che ci siano servizi specifici per i senza dimora con un coordinamento di interventi (nessun servizio in questi casi può risolvere il bisogno…) dove si delinei un percorso che possa anche iniziare da un ricovero presso “reparti infermieristici” (reparti ospedalieri a bassa specializzazione medica e ad alta capacità di assistenza fisica), per poi continuare presso strutture residenziali cliniche, convenzionate, comunque a bassa specializzazione medica.

L’intervento sia finalizzato sempre ai “ricongiungimenti” verso i contesti di appartenenza, e non ai respingimenti a cui sono violentemente orientati attualmente. Qualcuno alcune volte ci ha accusato di voler “psichiatrizzare l’emarginazione”.  Ovviamente pensiamo che quando ci sia un problema psichiatrico di base, negarlo è violenta omissione di soccorso. Però il rischio c’è, ma tutto si gioca nel governo del coordinamento degli interventi. Sicuramente la soluzione non è nella negazione ipocrita che deroga la soluzione perché in qualche modo un SD poi muore e tutti potranno dire che lui non voleva essere aiutato (c’è persino chi aggiunge: “per sua scelta”)

Gerardo, non lo dice, ma riprende a vivere…

Io sono uno psicoanalista e, nei servizi psichiatrici, per anni mi sono occupato di pazienti psicotici gravi. So per certo che le persone, nonostante ciò che può sembrare, vogliono vivere! Il problema che pongono è che bisogna parlare la loro lingua, altrimenti nel nostro codice Gerardo “non vuole” essere aiutato. Gerardo, nonostante gli sforzi degli operatori che si sono attivati, per motivi burocratici violenti, alla  fine è dovuto tornare dalle parti di piazza Colonna, ma ha accettato di andare dalle suore di Calcutta per la terapia quotidiana e al CSM di via Palestro per la terapia depot mensile.

Sta molto meglio e collabora con gli operatori, il fratello e gli amici che vanno a trovarlo. Ha chiesto di avere la carta di “identità” (!) e accetta di effettuare le pratiche per la pensione di invalidità (con cui si potrebbe pensare ad un progetto di Housing First…). Un sabato mattina che sono andato a trovarlo, non c’era presso la galleria Sordi, ma poi ho saputo che era in ospedale per mettere 5 punti al sopracciglio perché dei balordi lo avevano aggredito. Due giorni fa ha chiesto di poter essere ospitato dalle suore di Calcutta perché ricorda che “il buono della clinica era che si pranzava tre volte al giorno e si poteva dormire sui cuscini per terra….”.

La sua situazione attuale

Negli ultimi giorni (siamo al 13 agosto) collabora molto con le suore. Ha accettato un cellulare e ci chiede come mai ci siano difficoltà nell’attivare la SIM (è vero, ma ci riusciremo…). La scorsa settimana è stato in circoscrizione per la Carta di identità ed ha il medico di base. Era contento della permanenza alle suore di Calcutta perché ha incontrato un ex calciatore della Roma che dalle suore fa il volontario. Lui lo ricorda bene, com’era bravo circa 20 anni fa! Un pezzo di vita che ritorna. Ieri ha chiesto a Daniela come mai non era stato già prima dalle suore.

Attenzione. Se questo percorso va bene, non è perché qualcuno è buono: non sempre essere buoni significa fare la cosa più buona! In questi casi bisogna rimettere in moto un processo traumaticamente sospeso che ti impediva di godere della vicinanza degli altri, del poterti occupare dei tuoi bisogni, del sapere chi sei e di aver perso la capacità di eccitarti perché incontri un tuo idolo di quando eri un tifoso romanista. Procediamo.

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