In un’epoca in cui sembra difficile sottrarsi ad un ostentato “sessocentrismo”, appare difficile credere che ci sia una fetta di popolazione mondiale che al sesso non è “naturamente” interessata. Eppure l’asessualità esiste e, dopo essere stata trattata alla stregua di un disturbo mentale, si è caratterizzata come un vero e proprio orientamento sessuale.
Cosa si intende per asessualità?
Con il termine “asessualità” si intende “l’orientamento sessuale proprio di chi non prova attrazione sessuale per altri individui e non è interessato al sesso”. Il che, però, non implica necessariamente anche una mancanza di attrazione affettiva o romantica, né la totale assenza di libido. Il desiderio può infatti essere presente anche nelle persone asessuali, perché può scaturire da aspetti meramente ormonali, oltre che psicologici. La costante resta però la mancanza di attrazione per uno specifico soggetto. Peraltro, la soddisfazione dei bisogni sessuali non richiede necessariamente l’interazione con qualcun altro e l’asessuale può sentire il bisogno di soddisfare la propria libido.
Breve storia dell’asessualità
L’asessualità è nota dal 1948, anno in cui il biologo e sessuologo Alfred Kinsey pubblicò il famoso rapporto sulle abitudini sessuali dell’uomo. Con esso crea una scala in cui inserisce la “categoria X”, della quale fanno parte le persone che non provano desiderio sessuale.
Nel 1980 Michael D. Storms modifica la scala di Kinsey ponendo tutta l’attenzione sui temi di fantasie sessuali ed erotismo, e poter così tracciare una distinzione tra bisessualità e asessualità. Pochi anni dopo, Paola Nurius indaga la relazione tra i diversi orientamenti sessuali e problematiche psicologiche come depressione e bassa autostima.
Solamente nel 2015, Anthony Bogaert porrà l’accento sulla definizione di asessuale in relazione all’orientamento sessuale. Il suo contributo risulterà fondamentale per distinguere l’asessualità dalla mancanza di libido, dimostrando che gli aspetti biologici dell’asessualità non interessano le funzioni fisiologiche sessuali, e soprattutto per non interpretare più come una patologia l’essere asessuali.
Cosa vuole dire essere una persona asessuale?
L’asessualità, come accennato, non significa in senso assoluto non praticare sesso. Né è da escludere che si provi una forma di desiderio o di attrazione diversa da quella di tipo sessuale nei confronti delle altre persone. A prescindere dalle proprie pulsioni, infatti, una persona asessuale può avere un’attività sessuale per motivazioni che possono essere psicologiche e fisiologiche, come ad esempio:
- soddisfare la propria libido
- procreare
- assecondare il partner
- curiosità
Distinguendo, poi, l’orientamento sessuale da quello romantico, una persona asessuale può provare interesse verso altri individui di qualsiasi genere. E le inclinazioni possono essere molteplici:
- eteroromantiche: quando l’attrazione affettiva è rivolta al genere opposto al proprio
- biromantiche: quando l’interesse è verso entrambi i generi
- omoromantiche: quando l’attrazione è nei confronti del genere uguale al proprio
- aromantiche: quando oltre al desiderio sessuale, è assente anche un’attrazione di tipo affettivo
L’asessualità è una patologia?
Si è a lungo dibattuto se l’asessualità fosse un disturbo mentale o meno, ma dal 2013 è stata ufficialmente esclusa dal DSM-V, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali. Distinta dai disturbi che interessano la sfera sessuale, è stata riconosciuta come uno degli orientamenti sessuali, nello specifico, quello di chi non prova attrazione sessuale, abbandonando la precedente accezione di patologia. Per orientamento sessuale, infatti, si intende l’attrazione emozionale, romantica o sessuale che una persona può provare verso individui di qualunque genere, dunque non si può parlare di sintomi o cause di asessualità. Le persone asessuali non soffrono di bassa libido e non provano disagio per il loro disinteresse per il sesso, come invece è il caso delle persone iposessuali, a causa di probelmi di carattere medico o psicologico.