Recentemente sono stato invitato a presentare i Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) in un gruppo di Comunità Terapeutiche che operano in Veneto, nei dintorni di Treviso.
Un collega romano, che da tanti anni si era trasferito lì, avendo lavorato, a suo tempo, in una Comunità Terapeutica dove si faceva regolarmente uso di questo strumento ed avendone serbato un buon ricordo, mi ha chiamato e mi ha chiesto una giornata di presentazione e confronto.
Nel corso della giornata, mi ha raccontato di avere, ad un certo punto, sentito il bisogno di usare il GPMF nella CT che coordina.
I Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare nelle Comunità Terapeutiche
Il bisogno di usare i Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare nelle Comunità Terapeutiche era nato dalla necessità di contattare i parenti delle persone ricoverate in una forma stabile e non occasionale. Di qui, l’idea di invitarmi per avviare una riflessione corale con tutti i suoi colleghi che, evidentemente, si erano posti lo stesso problema e, perciò, si erano dichiarati disponibili all’incontro.
In effetti il problema emerso nel corso della discussione non riguardava soltanto la CT del collega richiedente: per contratto le CT appartenenti a questo gruppo vengono incaricate di occuparsi soltanto dei pazienti, mentre gli operatori dei Servizi Pubblici sono tenuti a contattare i familiari.
Mi sembra che siano emersi due problemi:
- Il numero di operatori in servizio nei Dipartimenti di Salute Mentale, dell’area a cui afferiscono le CT in questione, è in continua diminuzione, per cui agli operatori risulta sempre più difficile occuparsi dei genitori di pazienti di cui, per loro fortuna, non si devono occupare;
- Ha un senso pensare che una categoria di operatori, che fa capo ad una struttura privata convenzionata, si occupi dei pazienti e un’altra categoria di operatori, che presta la sua opera nei Servizi Pubblici, mantenga i contatti con i familiari di quei pazienti? Si tratta di un’organizzazione del lavoro o, meglio, di una suddivisione del lavoro che ha un senso?
Coinvolgere i famigliari degli ospiti delle Comunità Terapeutiche
Evidentemente c’è un problema contingente, che si è aggravato con la crisi del Sistema Sanitario Nazionale, per cui gli operatori dei Sevizi Pubblici faticano più di prima a mantenere i contatti con i familiari dei pazienti ospiti delle CT, rispetto al passato.
L’attuale carenza rende, però, evidente un problema organizzativo di fondo: è ragionevole pensare che le due funzioni, di curare i pazienti e di lavorare con i familiari per preparare l’uscita dei pazienti dalla CT e il rientro dei pazienti a casa o l’entrata dei pazienti in un’abitazione protetta, siano affidate a categorie di operatori che fanno parte di organizzazioni distinte?
Questa suddivisione fa pensare che si tratti di due funzioni che possono essere pensate separatamente, come se non facessero parte di un unico problema.
Tale suddivisione sembra ricalcare quella che veniva usata negli Ospedali Psichiatrici, in cui dei pazienti si occupavano medici e infermieri e dei familiari gli assistenti sociali.
La situazione che si è venuta a determinare ha portato il coordinatore di una CT ad iniziare a convocare i familiari dei pazienti, visto che nessun altro lo faceva e a cominciare a vederli insieme ai pazienti.
L’idea è quella di riaprire un discorso momentaneamente interrotto tra pazienti e familiari.
Un ragionamento condiviso sui Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare
A questo punto il collega si è chiesto: ma lo starò facendo bene, mi starò muovendo nella maniera più collaudata? Di qui è nata la richiesta di consulenza nei miei confronti.
Ben presto, però, nel corso della discussione, altri operatori hanno iniziato a porsi la stessa domanda. Il che, probabilmente, era il fine che il collega si proponeva di raggiungere quando mi ha invitato. Per poi rispondersi che, probabilmente, l’unica risposta sensata sarebbe costituita dall’invito, rivolto agli operatori dei Servizi Pubblici, a partecipare ai Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare insieme agli operatori delle CT, in maniera di riunificare le due funzioni artificialmente e/o artatamente separate.
Nel viaggio di ritorno, mi sono fermato a riflettere su quanto accaduto in Redancia, sul fatto che alcuni anni fa, Giovanni Giusto si è posto lo stesso problema: di fronte alla insufficienza della collaborazione che giungeva sistematicamente agli operatori delle CT, da parte degli operatori dei Servizi Pubblici, che avevano inviato i pazienti in CT ma che, in seguito, non si preoccupavano abbastanza di curarne l’uscita, non ha esitato ad imbarcarsi in un’operazione che si poteva sperare che avesse un senso ma di cui, certamente, non poteva avere la certezza che andasse a buon fine: che fossero gli operatori delle CT a farsi progressivamente carico di ricominciare a tessere la tela dei rapporti tra pazienti e familiari attraverso l’introduzione dei Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare in ogni CT del Gruppo Redancia.
L’innovazione nel Gruppo Redancia
Finché viviamo nelle realtà che funzionano, non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo a lavorare in un posto in cui i dirigenti, sempre in contatto con gli operatori di base, si prendono la responsabilità di prendere una decisione che, sulle prime, può non risultare gradita alla maggior parte degli operatori. D’altronde, perché avrebbe dovuto risultarlo?
Gli operatori delle CT già lavoravano molto intensamente con i pazienti all’interno delle Comunità Terapeutiche. Per quale motivo avrebbero dovuto farsi carico del “dopo CT”?
Io credo che la risposta che si sia dato Gianni a quel punto, sia stata prima di tutto etica: possiamo distinguere tra il dentro la CT e il fuori? Possiamo fare bene il dentro la CT e non preoccuparci del dopo? Io penso che la risposta abbia poggiato sulla considerazione del paziente come di una persona, che vive momenti diversi, ma che è sempre una persona e che se ci si prende cura della sua salute non si può decidere di arrivare fino ad un certo punto, perché da quel punto in poi se ne deve occupare un altro, l’operatore a cui spetta quel compito.
Io penso che la storia di Gianni sia una storia esemplare: ha lasciato il Servizio Pubblico perché non faceva fino in fondo il Servizio Pubblico, perché non svolgeva fino in fondo le funzioni che era suo dovere svolgere. Tra queste, la prima regola del SSN è di occuparsi di tutti, la seconda di farlo perbene, fino in fondo.
La possibilità di condividere il proprio lavoro
Così ci siamo lanciati in un’operazione straordinaria: introdurre, non perché qualcuno ve lo chiedesse ma perché il dirigente lo riteneva giusto, un modo di fare il Gruppo che, in realtà, introduceva una prospettiva di intervento che si saldava a e sviluppava tutto quello che già facevate in CT. Anzi che faceva capire meglio a tutti: pazienti, familiari e operatori, il valore di quello che già veniva fatto all’interno delle CT.
A me è stata data un’opportunità unica: sottoporre ad un formidabile stress-test la validità o meno di un modo di lavorare di cui ero già fermamente convinto, ma che non avevo mai sperimentato su larga scala, come in questo caso.
È, ogni volta, per me, di grande soddisfazione non soltanto avere la possibilità di condividere il lavoro con gli operatori delle CT in cui si svolgono i Gruppi di PM a cui partecipo ma, ancor di più, tornare a confrontarmi con il grande gruppo di discussione che facciamo una volta al mese tutti insieme. A riprova che questo non è un lavoro che si può fare da soli: che va condiviso e, per quanto possibile, amato.
Un’ultima considerazione: io penso che le CT che sanno riflettere su quello che fanno, cioè che imbastiscono dei meccanismi che evitino di rendere sé stesse autoreferenziali e che si dotino di apparati che rendano possibile l’uscita dei pazienti o, quanto meno attenuino le difficoltà dell’uscita dei pazienti dalla CT stessa, hanno avuto un merito storico: di rendere praticabile su larga scala la cura psicoterapica dei malati psichici gravi.
Facendo ciò, hanno precorso i tempi: hanno dimostrato, in tempi in cui nessuno lo pensava, che i malati psicotici potevano esser curati come i malati nevrotici, attraverso una cura psicoterapica che, nel caso dei malati psicotici, viene fornita da tutta la Comunità.