Vaso di Pandora

Liberarsi dalla necessità del carcere?

All’Università degli studi di Parma, dal 30 novembre al 2 dicembre del 1984, si era tenuto un convegno dal titolo “Liberarsi dalla necessità del carcere?” promosso da Mario Tommasini, allora assessore ai servizi sociali del Comune di Parma, con una relazione introduttiva di Franco Rotelli dal titolo emblematico: “Tagliare ancora la testa al re”. Dopo 40 anni, dal 18 al 21 novembre 2024, l’Università di Parma ha promosso un analogo convegno “Liberarsi dalla necessità del carcere? L’attualità del pensiero di Mario Tommasini”.

Un’occasione per riflettere sulla situazione di oggi, prendendo atto che in quarant’anni l’Italia è cambiata sul piano politico, culturale e sociale. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata ma occorre ricordare come ancora negli anni 80 vi erano significativi problemi connessi al terrorismo oggi quasi scomparsi e alla criminalità mafiosa, ancora presente ma in altre forme più infiltrate nell’economia. Non è semplice un confronto ma per tracciare alcune linee di tendenza alcuni numeri possono essere di aiuto.

La situazione nelle carceri tra il 1984 e il 2024

Nel 1984 i detenuti erano 42.795 di cui 3.612 stranieri (pari a circa l’8%) mentre era molto scarsa la presenza di persone detenute per problemi connessi alle droghe. Alle misure alternative erano assegnate 5.706 persone.

Dopo venti anni, nel 2004 i detenuti salgono a 56.068 con una presenza di stranieri del 25% circa e quasi trentamila le persone afferenti all’Area penale esterna. Circa un terzo della popolazione è detenuta per reati a vario livello connessi con le droghe.

Al 31 ottobre 2024 in carcere vi erano 62.110 detenuti di cui 19.792 stranieri (31,8%) e il 34 ,1% persone detenute per droghe. L’area penale esterna al 15 novembre 2024 ha in carico 93.780 persone. I c.d. “Liberi sospesi” sono circa 90 mila persone.

Bastano questi pochi dati per costatare come si sia realizzata una grande espansione dell’azione penale la quale sembra avere vicariato politiche sociali e di comunità. In particolare, per la detenzione due sembrano i problemi da prendere in considerazione: quello degli stranieri e delle droghe.

La legge 189/2002 (Bossi Fini) e la “politica dei respingimenti” ha generato una situazione di violazioni, d’irregolarità e di mancanza/perdita di permessi di soggiorno, documenti essenziali per l’inclusione lavorativa e sociale.

La legge sulle droghe 309/1990 e l’approccio di “guerra alla droga” stanno portando in ambito detentivo persone che fanno uso di droghe in particolare per violazione dell’art. 73.

Liberarsi dalla necessità del carcere

Questi problemi sociali vanno affrontati con strumenti diversi dal carcere. È pertanto ancora molto avvincente quanto scrive Franco Rotelli[1]:  ”Stato, regioni, comuni, forze “attive” nel sociale, intellettuali, operatori e tecnici, non hanno mai su tali questioni fatto il loro dovere, non hanno risposto ai loro compiti istituzionali e di costituzionale origine, hanno circolarmente avvalorato la rimozione, contribuito alla mostruosità del prodotto; il primo, lo Stato per eccesso dei poteri, gli altri per omissione, astensione e assenza”.  “È essenziale che delle voci degli internati si riempia la quotidianità del sociale.” Bisogna parlare delle vittime e prestare loro attenzione mediante la riparazione possibile.

Andare al prima del reato vuol dire occuparsi di percorsi evolutivi, traumi infantili, neglect, crisi familiari, scolastiche e sociali, abbandono scolastico, NEET, disagi di vario tipo, povertà economiche, educative, relazionali e culturali che correlano con devianza, reati, uso di sostanze e disagio mentale.

È nel sociale che, in chiave preventiva, vanno affrontati questi problemi e non tramite logiche securitarie che li lasciano invariati e talora li aggravano senza produrre sicurezza per i cittadini.

La proposta di Rotelli

Rotelli fa poi una proposta concreta che “l’ente locale giunga a gestire quella parte di sua cittadinanza che si trova reclusa; ma il vero obiettivo è che l’ente locale restituisca a quei cittadini quell’insieme di strutture, di servizi, di cultura, in una parola quella cittadinanza piena che in verità anche attraverso questa operazione deve essere reinventata per gli stessi non reclusi.”

Propone una cultura di prendersi cura, nella complessità della comunità, di persone titolari di diritti e doveri. A partire dal superamento del doppio binario assicurando l’imputabilità a tutti, comprese le persone con disturbi mentali.

“Il recupero delle persone può avvenire solamente se a esse viene riconosciuta una capacità. Una capacità, anche residuale, ridotta, a volte fortemente ridotta ma sempre presente e che su questa capacità si possa lavorare per immaginare un trattamento, una cura, un’emancipazione, un futuro che tenga conto del reato ma anche della possibilità di una vita che deve continuare”.[2]

Persone da riconoscere, accogliere, incontrare e accompagnare perché “nessuno è irrecuperabile”, diceva Mario Tommasini dando ogni giorno una testimonianza della forza del suo pensiero, del suo impegno sociale e culturale a tutela dei diritti delle persone più fragili ed emarginate della società.

La collocazione del detenuto

Il lungo cammino per liberarsi dalla necessità del carcere si può realizzare se il carcere perde la connotazione di istituzione totale chiusa, extracomunitaria, autoreferenziale. Ciò può avvenire mediante un’apertura, una reciproca permeabilità. Un incontro tra chi in carcere vive compreso chi vi lavora e i cittadini, creando alternative e progetti di vita. Per questo la collocazione del detenuto deve essere in prossimità e sempre nell’ambito regionale. La persona deve avere documenti e riferimenti, non perdere la cittadinanza e diventare apolide o al più avere residenze fittizie.

Educazione, prevenzione ed emancipazione in una situazione sociale accogliente, creativo e che si prende cura vanno posti in primo piano rispetto alla punizione, all’esclusione e al disimpegno di società abbandoniche. L’isolamento e la solitudine portano alla perdita di senso e speranza. Se molti anni fa si poneva il tema del conflitto sociale, oggi prevale la disperazione solitaria, l’assenza di prospettive.

Educare alle relazioni per liberarsi dalla necessità del carcere

La comunità è sempre più globale ma sempre meno universale, frammentata in tanti sottogruppi e monadi. Educare alle relazioni, all’affettività e sessualità nel momento in cui non sembrano esservi più modelli tradizionali è essenziale per prevenire relazioni “tossiche”, linguaggi di odio che poi correlano con vari tipi di reati. L’esempio su come si mediano i conflitti, si costruiscono nella dialettica, soluzioni può aiutare ad evitare le contrapposizioni frontali. Le convivenze e le coesistenze vanno costruite con pazienza e tolleranza affinché le microcomunità siano in grado di vivere nel benessere e in armonia tra le persone e con l’ambiente. Il degrado e il disagio vanno spesso di pari passo.

La ripresa delle politiche sociali, dei diritti è la via da percorrere per superare la paura e la solitudine con percorsi e progetti evolutivi evitando l’espansione dell’area penale e la criminalizzazione delle periferie. Serve cultura e dialogo per raggiungere l’obiettivo di decostruire i tanti pregiudizi sociali sulla condizione delle persone ristrette che ne rendono impraticabile il rinserimento sociale. In un periodo nel quale si propone di abolire il carcere[3], di porre il numero chiuso negli istituti di pena e di realizzare il diritto “penale minimo”, di approvare l’indulto, la via indicata da Mario Tommasini e Franco Rotelli è ancora molto attuale e può portare sia a ridurre significativamente il numero dei detenuti sia a migliorare la vita di


[1] Rotelli F. Tagliare ancora la testa al re. In Quale psichiatria?  Taccuino e lezioni. Alphabeta Verlag, 2021, 33-40

[2] Rotelli F. Sul doppio binario “il treno all’incontrario va” di Franco Rotelli, La terra è blu, 24 febbraio 2024, https://www.news-forumsalutementale.it/sul-doppio-binario-il-treno-allincontrario-va-di-franco-rotelli/

[3] Manconi L.  Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, Chiarelettere 2022

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Commenti su "Liberarsi dalla necessità del carcere?"

  1. Mi manca la preparazione per valutare nel suo insieme la realizzabilità della affascinante proposta di Rotelli. Mi soffermo invece, fra i dati offerti da Pietro Pellegrini, sul continuo aumento, assoluto e in percentuale, dei detenuti di origine straniera; dato del tutto sproporzionato alla percentuale di tali persone presenti in Italia, e che contribuisce al sovraffollamento delle carceri, una delle fonti di crescenti criticità .
    Purtroppo, ciò non sorprende: la condizione di immigrato – fatta eccezione per la ristretta fascia di immigrati “di lusso” – predispone alla violazione di legge. Egli viene nel nostro paese per necessità di sopravvivenza: ha dolorosamente lasciato il paese d’origine, la famiglia, amici e compagni, la possibile compagna; giunge qui amareggiato e presumibilmente incollerito, poichè la sua non è stata una scelta ma una ingrata necessità di sopravvivenza. Qui si trova isolato, o al massimo sostenuto da gruppi di connazionali a loro volta isolati dal contesto sociale generale del paese ospitante; difficilmente ha una vita sessuale. E’ inevitabilmente carico di invidia per il nostro benessere. Se trova lavoro, di solito è sottopagato e non tutelato. E’ oggetto di diffidenza più o meno pronunciata, anche se non viene incatenato.
    Mi sembra evidente che tutto ciò richiede un intervento a monte. Legittimo arginare e controllare l’immigrazione illegale; ma bisognerebbe agevolare, anzichè ostacolare, quella legale, creando specifici canali e favorendo condizioni di vita almeno simili a quelle della popolazione generale. Ciò a partire dalla applicazione dello ius soli o dello ius scholae; attualmente nella scuola molti allievi stranieri sono giuridicamente non italiani: una spinta a sentirsi diversi ed emarginati.

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