Viviamo in un mondo in cui spesso si dà per scontato che tutto sia già stato scoperto, conosciuto e mappato. Come viaggiatore, la convinzione che esista una geografia nascosta mi ha sempre spinto a cercare luoghi e prospettive che sfuggono alle rappresentazioni convenzionali, dove la scoperta può ancora sorprendere.
Le carte geografiche ci restituiscono una rappresentazione completa e dettagliata del pianeta, ma i luoghi che non compaiono su di esse assumono improvvisamente un fascino particolare, quasi provocatorio. L’isola di North Sentinel, ad esempio, è una di quelle rare comunità rimaste genuine, prive di contatti con il mondo esterno. La sua esistenza ci invita a riflettere sull’importanza di preservare questi spazi incontaminati, lasciandoli al di fuori delle nostre interferenze, e sull’idea che l’epoca delle scoperte non sia del tutto conclusa.
Tutte le forme della geografia nascosta
La geografia nascosta si manifesta in molte forme, suggerendo che ci siano ancora territori inesplorati o mal compresi. Le strade sotterranee percorse dagli animali, le città abbandonate, i luoghi insoliti come il cimitero Nord di Manila, dove le persone vivono e lavorano tra le tombe, ci offrono ritratti intimi e inaspettati di un mondo che pensavamo di conoscere. Questi paesaggi raccontano storie di vita, sofferenza e resilienza, mostrando quanto il nostro pianeta sia ricco di significati stratificati.
Nel nostro tempo, l’esplorazione sembra essersi spostata prevalentemente verso mondi virtuali come il web e il dark web. Le nuove generazioni, cresciute in un mondo interconnesso, esplorano attraverso schermi e tecnologie, mappando universi digitali fatti di social network, piattaforme interattive e spazi virtuali. Questo nuovo modo di esplorare crea opportunità straordinarie per connettersi, apprendere e innovare, ma rischia anche di allontanare dalla dimensione fisica e sensoriale dell’esplorazione del mondo reale.
La curiosità
Non possiamo perdere la curiosità e la voglia di riscoprire i luoghi reali, vicini a noi, spesso così trascurati. Gli spazi della sofferenza, gli istituti di pena, le carceri, le REMS, le comunità psichiatriche, per disabili, per anziani, per minori e i reparti ospedalieri, i pronto soccorsi, sono territori che meritano attenzione. Non per voyeurismo, ma per comprendere e reinterpretare la nostra realtà, il nostro mondo.
Trovare il coraggio di dare ascolto alla sofferenza, accoglierla e occuparsene è fondamentale per non cadere nei meccanismi di difesa più noti, rifiutando di accettare la realtà, nascondendo il problema e allontanandolo dagli occhi e dai confini della società “per bene” o addirittura dal nostro stato.
Affrontare questi luoghi significa riconoscere l’umanità che vi risiede, abbattere barriere e costruire un mondo in cui la sofferenza non venga ignorata, ma trasformata in un’occasione di comprensione e cambiamento.
Come ho imparato da un mio maestro, il fotografo Gordon Matta Clark ci mostra in una foto in bianco e nero intitolata “Anarchitecture: The Space Between” come non è l’oggetto al centro della foto ma lo spazio in cui è calato a rappresentare l’importanza del vuoto, il luogo di possibile libertà, lì dove Philippe Petit, il funambolo francese nella sua performance “twin towers walk”, ci insegna come abitare lo spazio in modo originale.
È proprio lì, nel vuoto, nello spazio disfunzionale della gestione istituzionale, in cui è possibile inserirsi e creare qualcosa di nuovo.
L’esplorazione nell’era digitale
Rimanere in superficie può sembrare anacronistico in un’epoca dominata dal digitale, ma immergersi in queste geografie complesse è un atto di esplorazione che va ben oltre le mappe convenzionali. Plasmare il paesaggio su più livelli, andando in profondità, ci consente di scoprire nuovi significati e connessioni. Le mappe ci aiutano a rappresentare gli elementi visibili, ma è esplorando gli strati nascosti che possiamo davvero comprendere la complessità del mondo in cui viviamo.
Forse l’epoca delle grandi esplorazioni non è finita, ma si è solo trasformata. Ciò che resta da scoprire non è sempre lontano: è spesso sotto i nostri occhi, nei luoghi che crediamo di conoscere. La vera sfida è osservare con attenzione, reinterpretare e continuare a esplorare.