Vaso di Pandora

Centri estivi: tra sostegno e lacune

È un tiepido mattino di aprile 2024 (torrenziale, se vi trovate al Nord Italia quest’anno), con lo sguardo rivolto più al Natale precedente che all’estate in arrivo, quando l’attenzione cade su una comunicazione di non poca importanza: le iscrizioni dei centri estivi apriranno nel weekend. E si satureranno anche, nello stesso weekend.

Intendiamoci, non tutti i centri estivi, ma alcuni, piuttosto gettonati, sì. Allora via di promemoria, sveglie, documenti preparati anzitempo, tanto già si sa quelli che servono, e speranza di arrivare in tempo. Ma da dove deriva tutta questa paura di rimanere esclusi? Dalle nostre aspettative riflesse in quelle dei nostri figli, che sperano di frequentare un luogo sconosciuto con qualche amico di riferimento? Forse. Perché in fondo gli stiamo chiedendo, per altre 4,5,6, 8 settimane estive di adattarsi nuovamente a un contesto che non conoscono, fatto di adulti, bambini, regole, tempi e luoghi che non sono, ancora, i loro. Allora quel centro estivo, in quel periodo, magari fatto di settimane spezzate, può diventare piuttosto importante nelle aspettative di agenda di una famiglia.

Cosa sono i centri estivi

I centri estivi sono la forma più attuale e post moderna del termine colonia, nato a fine Ottocento e dedicato ai bambini malati, o con patologie associate alla malnutrizione e/o a cattive condizioni igienico-sanitarie, che fotografavano una  Nazione povera e in stato di bisogno e venivano portati in villeggiatura a fare “i bagni di sole”, per migliorare le loro  condizioni di salute.

Il fenomeno delle colonie divenne maggiormente strutturato durante il Fascismo, per le note necessità del regime di avere un popolo sano e all’altezza delle aspettative di propaganda, che poi nel periodo del dopoguerra assunsero una nuova forma: le trasformazioni sociali chiedevano un riadattamento dal punto di vista anche del supporto delle famiglie, motivo per cui le associazioni a stampo religioso e le grandi aziende, nazionali o locali, cominciarono a proporre alle famiglie soluzioni per poter garantire ai figli dei lavoratori vacanze fuori città, quelle che nel gergo di chi è nato tra il 1980 e il 2000 ha ancora il profumo del nome “colonia estiva”.

Tra qualche esempio Olivetti, ATM Milano, TIM fornivano alle famiglie luoghi di villeggiatura assistita a prezzo assolutamente calmierato per i loro figlioletti mentre i genitori dovevano assolvere al loro contratto lavorativo e rimanere in città a lavorare. E per tutti gli altri? c’erano i nonni, ancora giovani e in forze per farsi carico dell’energia travolgente di un’infanzia in vacanza.

La situazione odierna

Ad oggi la situazione sociale e familiare è molto cambiata nella forma osservabile: non è una novità che si parli ormai da anni di genitorialità in età avanzata e quindi di nonni sempre più anziani e con meno forze da poter dispensare alla cura dei cuccioli d’uomo, nonché di un cambio radicale nella forma stessa del lavoro; non è quindi raro trovare nonni che diventano tali in età ancora lavorativa, per il fenomeno dello slittamento sempre più in avanti dell’età pensionabile e di genitori che abbiano forme contrattuali libero professionali e che siano quindi molto meno provvisti di grandi aziende alle spalle che si occupino nel loro piccolo di welfare sociale e familiare.

Da questa prospettiva è allora intuibile la nascita e diffusione a macchia d’olio del fenomeno dei centri estivi per venire in soccorso alle famiglie alla prese con un limite invalicabile per la maggior parte di loro: le ferie estive non sono mai maggiori di 2-3 settimane in un periodo di tempo scoperto dalla scuola che, se va bene, è di almeno 2 mesi per i bambini della scuola dell’infanzia, e di 3 per i bambini in età scolare.

I centri aggregativi legati alla Diocesi sono ancora un grande capofila della realtà, ma non tutti gli oratori forniscono copertura durante l’intero periodo estivo; le scuole stesse allora si sono organizzate, attraverso bandi consortili, per creare, negli stessi luoghi in cui i bambini hanno trascorso i mesi scolastici, la propria offerta di centro estivo; infine, associazioni diverse, disseminate sul territorio, hanno fatto di un’esigenza sociale la possibilità di un’ampia offerta per accogliere bambini e ragazzi.

Il costo dei centri estivi

Laddove non arriva la famiglia, arriva il territorio, il privato sociale, la Chiesa. “Benissimo!”, pensiamo tutti. “Urca!”, esclamano le famiglie conti alla mano. Perchè se è vero che l’offerta si è amplificata e variata, i centri estivi hanno comunque un costo da sostenere a carico delle famiglie; questione questa che, senza desiderio di affermazioni populiste, si fa sentire e per molte famiglie va inserito in un budget dove le corde sono sempre un po’ più strette.

Un altro aspetto sicuramente meritevole di attenzione è quello inerente alla formazione e preparazione del personale che si occupa dei bambini durante i centri estivi.

Negli ultimi anni è diventato centrale, giustamente a mio avviso, il tema della prevenzione degli incidenti e del primo soccorso, pediatrico ed adulto, tanto che ad oggi in alcune scuole è diventato obbligatorio per il personale docente. Ma durante l’estate, a chi affidiamo i nostri bambini? alla Sorte? al buon senso? al buon cuore?

Le lacune presenti

La realtà è che il fenomeno dei centri estivi mostra ancora diverse lacune strutturali che si scontrano con l’annoso problema del denaro: come fa una diocesi a formare 50 ragazzi, magari non ancora maggiorenni, che avranno la responsabilità di portare magari 100 bambini in piscina, a sorvegliare il momento del pasto, rientrando dei costi? Di chi dovrebbe essere la priorità, in termini economici, di tutelare il bene che dicono essere il più prezioso che abbiamo? e chi si occupa della formazione minimamente pedagogica per insegnare che un bambino di 6 anni non è uguale a un bambino di 10? Che la sua mente, le sue emozioni e i suoi pensieri non viaggiano sugli stessi binari? E chi si occupa di bambini con bisogni speciali? Chi affianca nella preparazione i famosi “educatori” (che educatori non sono sempre) che si occuperanno di bambini con disabilità fisica o intellettiva?

La mia intenzione non vuole essere polemica ma aprire una riflessione su un tema che è ancora poco discusso, ma che ben si sposa con le necessità che le famiglie di oggi hanno; per riassumere: molti i bisogni e (come al solito) poche le risorse. Se da un lato trovo molto utile che giovani si mettano alla prova e facciano esperienze lavorative estive che siano formative e di crescita personale, non è loro responsabilità pensare agli strumenti che gli servono per affrontare la cura dei bambini; dovrebbero trovare nell’offerta formativa, che non sempre esiste (a volte sì, ed è necessaria e lodevole) ciò che li prepara.

Conclusioni

Per concludere senza angosce: i nostri figli sono per lo più felici di spazi aggregativi alternativi alla calda noia estiva trascorsa a casa. Si divertono, socializzano, fanno nuove esperienze e crescono sempre un po’ di più, com’è giusto che sia. La possibilità di fare affidamento su aiuti esterni è confortante da un lato ma lascia aperte le domande di cui sopra, di cui le famiglie possono essere consapevoli nella scelta di un campo estivo per i figli.

Rimane il grande tema di chi sia la responsabilità ultima per determinare non solo i confini burocratici ma anche di funzionamento delle singole realtà, con l’obiettivo ideale, che non può essere utopico, di uniformare le realtà a standard di qualità minimi determinati su formazione, gestione delle emergenze e pedagogia.

E per quanto mi riguarda: sì, mia figlia frequenterà diversi centri estivi e sì, di tutti mi sono accertata che siano in grado di gestire le più comuni emergenze con bambini. Del resto, faccio i conti anche io come madre con le più comuni istanze suscitate dal processo di delega e controllo: esattamente al pari delle scelte che operiamo nell’ambito scolastico istituzionale, così facciamo anche d’estate. Consapevoli che oltre un certo limite le cose non siano più sotto il nostro controllo (ed è inutile provare a farlo) scegliamo con il criterio più congruente con le nostre idee, fino alla domanda fatale che apre di nuovo il cerchio: “mamma, mi mandi al centro estivo con Giulia?”…

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