In questi giorni ha suscitato scandalo all’interno della comunità degli psicologi italiani la promozione di una nota piattaforma di psicoterapia online, che offriva due sedute gratuite a chiunque avesse acquistato almeno un paio di flaconi di detergente intimo. Confesso che, quando ho visto il volantino con l’offerta di psicoterapia al supermercato, la mia prima reazione è stata di sentirmi catapultato in un racconto di Dino Buzzati o di Italo Calvino. Tuttavia, la realtà si è fatta strada e mi ha costretto a riflettere.
La vergogna di vedere la psicoterapia al supermercato
Nel vocabolario, tra le varie definizioni, “orgoglio” è descritto come la legittima e giustificata consapevolezza dei propri meriti, motivo di vanto. Ho sempre creduto che la psicologia, e soprattutto la psicoterapia, avessero un orgoglio da difendere: la consapevolezza di essere uno degli strumenti più importanti per fare un discorso attorno alla sofferenza dell’anima, parafrasando quanto dice Hillman quando parla di “patologizzazione”. Vedere un trattamento così intimo e significativo associato a un marchio di detergente intimo mi ha provocato un profondo senso di vergogna, seguito da una lucida rabbia che mi ha spinto a riflettere su come siamo arrivati a questo punto.
I cambiamenti post Covid
È innegabile che il mondo sia cambiato dopo il COVID, così come è del tutto normale che la nostra progressiva digitalizzazione stia trasformando anche le modalità della psicoterapia e del sostegno alla salute mentale. Le piattaforme online che stanno nascendo rispondono in parte al bisogno di una psicoterapia più accessibile, capace di raggiungere chiunque, anche chi non può permettersela o chi ha difficoltà a muoversi. Tuttavia, il problema si pone dal punto di vista etico: associare un percorso così importante a un’offerta “tre per due” significa svalutarlo fin dall’inizio. Significa ridurre una seduta di psicoterapia a una simpatica chiacchierata tra amici, un vezzo paragonabile a un trattamento di benessere. E, con tutto il rispetto per coloro che lavorano nel campo dell’estetica, i quali sono ben consapevoli di avere obiettivi diversi da quelli della cura della sofferenza umana, non possiamo suggerire che una sessione di psicoterapia sia come un massaggio decontratturante.
La svalutazione del lavoro degli psicoterapeuti
Questa modalità di promozione svaluta non solo il lavoro degli psicoterapeuti, che devono affrontare costi esorbitanti per le loro specializzazioni (unico caso in cui si deve pagare invece di ricevere una borsa di studio), ma anche il paziente. A quest’ultimo viene suggerito che la sua sofferenza può essere risolta banalmente acquistando qualche confezione di sapone in più.
Chiaramente, il problema è a monte: servirebbe un intervento per garantire rispetto e decoro alla professione, ma questo spetta agli organi istituzionali, che a mio avviso sono spesso troppo lenti o poco attenti su queste questioni. Inoltre, se la domanda di psicoterapia è così alta da giustificare una simile promozione, è evidente che dobbiamo investire maggiormente, a livello pubblico, in questo settore, rendendolo accessibile al maggior numero possibile di persone. Certamente, il misero “bonus psicologo” è del tutto insufficiente e troppo complesso da ottenere.
La psicoterapia non è una moda
Molto spesso vedo la psicologia cercare di rendersi simpatica e accattivante, come se fosse necessario convincere le persone che fare terapia sia interessante e alla moda. Ma la psicoterapia non è una moda né un prodotto da supermercato: è un supporto all’anima, e spesso è l’unico strumento che permette al paziente di trasformare i fatti in esperienze. Quando ho visto il volantino che banalizzava tutto questo, associando la psicoterapia alle offerte sui saponi, perdonatemi, ma proprio non ho potuto “lavarmene le mani”.
Ci sono già dei movimenti in questa direzione: non solo si sviluppa, nei paesi anglosassoni ma non soltanto, una offerta di psicoterapia messa in atto dall’intelligenza artificiale, ma si chiede a questa modalità quella che potrei chiamare una meta-prestazione: quella di verificare i risultati offerti da vari strumenti di IA, come Chat GPT e altri. Si giunge a proporre scale come la ESHCC, Empathy Scale for Human – Computer Communication, che evidentemente puntano a misurare quel che a torto o ragione abbiamo considerato non misurabile: attuare una verifica anche quantitativa dell’intersoggettivo. Compito improbo: affascinante o inquietante?
Una psichiatria basata sulla relazione – ispirata dalla psicanalisi e dal pensiero fenomenologico – aveva superato le posizioni ingenuamente scientistiche della psichiatria classificatoria ottocentesca: ora deve confrontarsi con questa nuova sfida oggettivante, ben diversamente attrezzata. Come la affronterà una psichiatria che fondamentalmente ricerca l’autenticità dell’incontro fra persone? e come conciliare ciò con l’esigenza di valutare il rapporto costi – benefici di interventi che comunque hanno necessariamente un costo economico – sociale?