Vaso di Pandora

PANSM 2025-2030, Legge Zaffini, e il grande sogno della salute mentale italiana, tra evidenze e incertezze

Il Piano di Azioni Salute Mentale (PANSM) 2025-2030 e il Disegno di Legge Zaffini 1179 aprono una stagione di novità, espressione di tentativi di modernizzare e razionalizzare gli interventi nei Dipartimenti di Salute Mentale.

Cosa accadrà, come cambierà la organizzazione dei Servizi italiani? Per chi vive, come me, tutti i giorni da psichiatra di un servizio pubblico di una grande città quali novità concrete dovrà aspettarsi?

Devo riconoscere che il precedente PANSM metteva ordine su una questione importante. Definiva la durata dei trattamenti e la diversità degli interventi in rapporto non solo alla gravità, ma anche alla complessità dei casi.

Rispetto agli approcci più classici, suddivisi per categorie diagnostiche, il PANSM assumeva una ottica totalmente dimensionale e definiva una sacrosanta necessità, seppure limitata ai casi meno gravi: il termine di un trattamento.

Il PANSM 2025-2030

Il nuovo PANSM si attiene a queste indicazioni, su cui ancora i DSM stanno tentando di allinearsi, e introduce un’altra grande novità. Su questo anche il DdL Zaffini è univoco: i Dipartimenti di Salute Mentale italiani devono essere integrati. Vale a dire, si organizzano intorno alle 3 polarità della sofferenza psichica: la Neuropsichiatria infantile, le Dipendenze e la Salute Mentale territoriale ed ospedaliera.

 A parte una stranezza derivata dalla reintroduzione del concetto di psichiatria, riservata alla infanzia, rispetto al termine salute mentale, ritengo che questa integrazione sia quanto mai opportuna vista la espressione sintomatologica della sofferenza psichica attuale.

Sul passaggio dalla psichiatria alla salute mentale confesso che ho capito la importanza solo dopo una trentina d’anni di lavoro sul campo e di studi connessi. Ero e sono affezionato alla vecchia psichiatria, ai Bleuler, Minkowski, Jaspers, persino al più antipatico Kraepelin. E andavo con gioia a sentire i seminari di Bollas e di Kernberg alla Neuropsichiatria Infantile di via dei Sabelli, dove oltretutto lavorava la mia fidanzata e dove avevo molti amici. Ma la salute mentale è un concetto poetico, contiene il noi e il voi, l’io e il loro. Contiene il mondo, gli odori e il rumore delle nostre città, lo stile di vita, la scuola, il lavoro. Insomma, nella salute mentale c’è tutto. Nella psichiatria qualcosa, non da poco per curare bene, ma inevitabilmente una visione più scientifica, polarizzata, focale.

Dice Zaffini: “valorizzazione dell’attività di prevenzione al fine di evitare che il disturbo mentale assuma il carattere della cronicità, nonché di assicurare alle persone affette da disagio e disturbo mentale l’accesso a una assistenza sanitaria e sociosanitaria che tenga conto delle loro specifiche esigenze…”.

Prevenire per evitare la cronicità

Ecco, questa è salute mentale, dove per evitare cronicità si deve prevenire, agire subito, prima, bene. Agire sull’infanzia, ad esempio. Mettere in campo tutti quegli interventi che possano individuare precocemente segni di sofferenza (conosciamo ormai molto sui segni precoci), e intervenire sull’ambiente di crescita: la famiglia, la scuola, l’ambiente-quartiere, lo sport, la socializzazione. Nessuno oggi pensa di potere curare la salute mentale di un bambino senza intervenire sul suo mondo di relazione, senza indagare a fondo la natura dei legami familiari di cui invariabilmente il disturbo è, almeno in parte, espressione.

Questa serie di interventi identificabili, programmabili, ma che devono anche essere adeguatamente finanziati e inclusi tra le priorità, non capisco come possano rientrare nelle maglie strette del PANSM 2025-2030. Qui infatti traspare un ottica decisa, dove si può fare solo ciò che ha evidenze scientifiche. Quanto più gli interventi si allontanano dal tecnicismo, scendono in strada, avvicinano l’uomo e la sua complessità, tanto più sappiamo che diventano difficili da misurare. Su questo terreno dell’incertezza, dell’unicità, che pure ha permeato a fondo il pensiero psicopatologico, il nuovo PANSM mi sembra assumere una posizione troppo distante dal mondo reale, dal territorio su cui si svolge la scena quotidiana della cura dei disturbi mentali gravi. Importante la riabilitazione evidence Based, ma la inclusione sociale può essere misurata? E La capacità di vivere in un mondo di relazioni?

Tornando alla questione della prevenzione anche il Collegio Nazionale dei DSM italiani, a cui mi pregio di appartenere, ha notato in una sintesi puntuale recente la mancanza di indicazioni chiare. Più precisamente ha osservato il rapporto tra PANSM e stigma, che tuttavia è solo una piccola parte di un problema più ampio di relazione tra individui fragili e contesti. Ma anche il Collegio cerca riparo tra la Evidence Based Medicine. Prezioso riferimento, quando si parla di interventi tecnici, di misurazioni degli esiti, di interventi farmacologici o psicosociali puntuali. Ma quando il campo si allarga inveitabilmente bisogna confrontarsi con i propri limiti. Se la salute mentale vuole continuare ad occuparsi del mondo, delle variabili psicogenetiche e psicosociali, deve a mio parere venire a patti con la pretesa di misurare e quantificare tutto.

Il DSM integrato

Ma torniamo alla questione della integrazione, del DSM integrato, che mi sta particolarmente a cuore. A mio parere manca nel nuovo DSM integrato il cuore della organizzazione.

Il modello della 833 prevedeva che la centrale clinica dei DSM fosse il CSM, non a caso: il Centro di Salute Mentale. Quello è il polo dove tutti i casi vengono conosciuti, seguiti sul territorio, sostenuti, talvolta più che seguiti, “inseguiti”. Ancora oggi molti infermieri con cui lavoro conoscono tutte le storie dei pazienti, delle famiglie, dei loro averi, vicissitudini, traumi e successi. Credo che ugualmente accada al consultorio (fuori dal DSM), nel SerD, al TSMREE.

Ma, come spesso accade, ognuno conosce solo un pezzetto. Come e dove mettiamo insieme le storie e costruiamo un pensiero di cura che includa la biologia dei disturbi, la psicogenesi (traumi, lutti, abusi…) e la sociogenesi (vulnerabilità sociali, degrado, marginalità, migrazioni forzate,…).

Il PANSM insiste sulle equipe di transizione. Per curare i passaggi tra servizi, fasi della vita, espressioni sintomatologiche diverse.

Ma se esistesse un CSM dove, basta che si è residenti in quella zona, tutte le condizioni di salute mentale, dico tutte, vengono accolte, valutate, e trattate? Ovviamente ci si può avvalere di servizi dedicati, consultori, serD, Residenziali, Riabilitativi, per l’infanzia, SPDC per l’emergenza.

Ma la guida, l’equipe di percorso (così la chiamerei, più che di transizione), coloro che conoscono la storia e che costruiscono la relazione, stanno in un solo posto, sempre lo stesso.

Immaginate una o uno che telefona: ho questo, ho quello, sono questo, sono quello. Basta che abiti in questo quadrante del mondo e ti sarà risposto: ha chiamato nel posto giusto. Venga e vedremo di aiutarla. Oppure se non può, veniamo noi a trovarla. Ecco. Questa è salute mentale, secondo me. E bene integrata.

Per lavorare questa grande mole di casi, il CSM integrato avrebbe bisogno di luoghi poco stigmatizzati, nel cuore delle case di comunità. Avrebbe bisogno di strumenti informatici moderni, con una cartella unica su cui vengono annotati tutti gli interventi relativi al percorso di cura.

Le nuove condizioni del DSM

Tanto per riflettere, nella recente adozione di una cartella clinica informatizzata, nel DSM integrato in cui lavoro, attesa da anni, sono state introdotte queste condizioni:

  1. In ciascun servizio si apre una cartella diversa. Quindi il signor X ha una cartella al CSM, una al Centro Diurno, una nella struttura residenziale dove eventualmente trascorre una parte della sua vita, una in SPDC…
  2. L’area delle Dipendenze, vale a dire il SerD, ha una cartella diversa, a cui la salute mentale non accede.
  3. Interventi dedicati alla sua famiglia, eventualmente condotti presso il consultorio, finiscono in un altro sistema di annotazione, nel nostro caso cartaceo.
  4. Infine i figli del signor X, nel caso in cui debbano essere assistiti, supponiamo per un disturbo dell’attenzione, ne avranno una ciascuno alla Neuropsichiatria infantile, rigorosamente esclusiva.

Così l’integrazione delle 3 aree, Salute Mentale, Dipendenze, Neuropsichiatria infantile, si realizza esclusivamente nella mente degli operatori. Una mente che presto si satura di informazioni e che rischia di affollarsi, confondersi, andare in sofferenza.

E le 3 aree eziologiche, come si integra la psicobiologia, psicologia e psicosociologia? Come si costruisce un linguaggio condiviso se non scriviamo tutti sullo stesso foglio?

La distanza tra Piani e Disegni di Legge e realtà

Quella della cartella è un esempio grossolano della distanza tra Piani e Disegni di Legge e realtà.

Ma veniamo all’ultima e più evidente delle distanze.

Il DdL Zaffini è stato accolto da molti con favore proprio perché prevede un piano di stanziamenti aggiuntivi, si parla di 80 milioni di Euro. Suddivisi per Regioni, quota pro-capite, servizi, mi aspetto che nella UOC che dirigo possano arrivare, facendo i conti a spanne, un centinaio di migliaia di euro. Due progetti residenziali di due pazienti. Ne abbiamo in carico circa 1000, gravi e un centinaio gravi complessi.

Se si vogliono i DSM integrati, e si realizzasse il mio sogno del CSM integrato si dovrebbe arrivare almeno allo stanziamento del 5% del fondo sanitario nazionale, rispetto all’attuale 3%. L’incremento finanziario in questo caso vedrebbe l’assegnazione alla salute mentale di almeno 2,5 miliardi di euro all’anno in più.

Con una bella somma in più cosa farei?

Mi aspetterei di avere un budget unificato e integrato per pianificare da una centrale operativa (il CSM integrato) tutti gli interventi.

Vorrei avere un budget visibile, dove se riduco gli interventi residenziali a favore di interventi domiciliari, di case assistite, posso spostare le risorse. Sembra strano? Se riesco a dimettere un paziente da una residenza e riesco a farlo vivere in una casa, spendo probabilmente la metà dei soldi. Anche molto meno. Ma non posso usare i soldi risparmiati in residenzialità a favore dell’abitare assistito. Le due aree di spesa, così come accade per la cartella clinica, sono strettamente divise, separate.

Con queste risorse poi assumerei nuovi operatori, in misura equilibrata tra le diverse aree, a sostegno delle eziologie integrate. Un numero consistente di case manager veri (TerP, Infermieri, Assistenti Sociali), di medici e di psicologi. E rialimenterei di personale tutte le aree specialistiche della NPI e delle Dipendenze.

Mi darei molto da fare per avere luoghi accoglienti, puliti, bene organizzati e spazi ampi. Oggi abbiamo molti centri suddivisi in piccoli ambulatori. Nella salute mentale che vorrei preferisco avere stanze grandi, per includere i familiari, la equipe, l’ambiente. 

Doterei ogni CSM di uno o più gruppi multifamiliari settimanali, dove operatori, familiari e utenti lavorano sulla normalizzazione dei legami di interdipendenza. Perché forse la normalità è una utopia, ma avere relazioni normali e sane ritengo che sia un diritto da perseguire. E tutto sommato, realizzabile. A volte con fatica, dolore, separazioni, cambiamenti. Ma penso sulla base della esperienza che sia possibile normalizzare le interdipendenze patologiche nelle famiglie che curiamo. I gruppi multifamiliari, quelli fatti bene e condotti da equipe formate e specializzate in psicoanalisi multifamiliare, funzionano da pace maker rispetto alla complessità degli interventi integrati. Sono luoghi e spazi terapeutici inclusivi dove si possono verificare sul campo gli andamenti clinici.

E infine attiverei equipe h24 di dialogo aperto per tutti i nuovi casi di psicosi acuta. Sarebbe una sorta di CSM a 24 ore flessibile, personalizzato, sul territorio, dedicato alla popolazione giovane e incidente, affetta da disturbi gravi.

Su queste metodologie innovative di coordinamento ed integrazione mi aspetterei dalle Università un grande sforzo per valutare, misurare quanto possibile, con parametri quantitativi e qualitativi, la efficacia degli interventi.

Stanotte ho dormito bene, e ho fatto un sogno. Arrivavo al lavoro e c’era una grande festa. La musica, alcuni ballavano tra operatori e pazienti noti, quelli che conosco bene, tra i più difficili. La terrazza era piena di fiori. Pensavo che era il 10 ottobre, la giornata della salute mentale, quando con tante altre piazze italiane ci incontreremo, come lo scorso anno. E pensavo con gioia al posto in cui lavoro. Mi dicevo esattamente: ma che meraviglia, non ho dovuto fare nulla eppure guarda che bella festa che c’è.

Alle 7 ha suonato la sveglia. Appena arrivato al CSM mi sono chiuso nella stanza e ho deciso di finire questo benedetto articolo sulla Salute Mentale. In fondo ancora ci credo, ancora amo profondamente questo lavoro. E’ su questo amore, di cui i nostri servizi sono pieni, che bisogna investire.

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