Che l’atto riproduttivo sia fonte di immediato piacere è stata da sempre una necessità evolutiva, volta alla conservazione della specie. Nei mammiferi, è regola che l’incontro sessuale tra femminile e maschile abbia luogo solo nei momenti di fecondità, durante l’estro o “calore”. Nell’uomo (e nel nostro gemello bonobo) questa regola è venuta meno: tutti i giorni – un po’ meno quelli del periodo mestruale – vanno bene. Questo è un primo svincolarsi del sesso dalle esigenze riproduttive; c’è chi, come Desmond Morris, ritiene che ciò abbia a che fare con l’esigenza di tenere viva a lungo la coppia, condizione necessaria per offrire al piccolo uomo, dallo sviluppo notoriamente lentissimo, la prolungata ed efficace protezione di cui necessita. Naturalmente, non possiamo dimenticare altri importanti ruoli non riproduttivi del sesso: da quello nell’intrattenimento fino a quello che riveste nel facilitare (o ostacolare) rilevanti interazioni di tipo socioeconomico.
Femminile e maschile: il desiderio sessuale
Tuttavia, il desiderio sessuale e la figura femminile hanno sempre ispirato agli uomini, insieme alla attrazione, una certa diffidenza come possibile fonte di disordine destrutturante, fin dalla figura di Eva. Essa è presente, certo, nel cristianesimo, ispirata dal sessuofobo S. Paolo e culminata nell’immagine della Vergine Madre; ma il Cristianesimo non ne ha affatto l’esclusiva. Troviamo nella mitologia norrena, ricca di riferimenti a divinità pre-cristiane, l’invito a diffidare della donna strega, inebriante spinta all’inosservanza dei doveri; e in una antica (leggendaria?) storia cinese il Generale Sun Zu, incaricato di addestrare alla disciplina bellica un gruppo di donne chiacchierone e irriverenti, ci riesce soltanto ricorrendo alla pena di morte. L’angoscia suscitata dal desiderio femminile e da quello reciprocamente suscitato nel maschio è plasticamente espressa nella Sonata a Kreutzer di Tolstoi (per parte sua, tutt’altro che votato all’astinenza, anche se razionalizzava il proprio comportamento considerando le donne come remedium concupiscientiae)
Il rapporto organico, quasi obbligato, fra piacere e riproduzione si è molto incrinato, gradualmente ma inarrestabilmente. Circa un secolo fa Aldous Huxley profeticamente annunziava che nel suo “Brave new world” la parola “mamma” sarebbe divenuta una parolaccia. Ci siamo quasi. Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha messo a disposizione strumenti – dalla diffusissima pillola anticoncezionale al ben più raro trapianto dell’embrione – che hanno fortemente contribuito alla dissociazione fra piacere e riproduzione.
Il progresso socioeconomico
Del resto questa è stata imposta dai fatti già da tempo nel mondo occidentale e negli altri paesi di adeguato progresso socioeconomico: la drastica riduzione della mortalità infantile rendeva ormai insostenibile l’equazione “sesso = riproduzione”. Benvenuta la pillola!
E su un altro piano: la libertà sessuale odierna fa parte della forte generale spinta liberatoria, con insofferenza di vincoli e divieti, inaugurata con le rivoluzioni americana e francese, e ben evidenziata in “L’homme revoltè” di Albert Camus.
Sulla spinta dell’insofferenza per ciò che è definito e indiscutibile, si è delineato oggi un ulteriore sviluppo: la tendenza a mettere in discussione le posizioni tradizionali sul rapporto maschio – femmina e la stessa consistenza di tale differenziazione. Certi attuali orientamenti tendono a sfumare se non ad annullare le differenze fra le due entità: senza negare la possibile legittimità di tale posizione, si può ipotizzare che esso abbia un po’ i caratteri della formazione reattiva: mentre si rifiuta l’indifendibile posizione che vede una radicale contrapposizione fra i sessi con la donna in condizione inferiore, forse si sente il bisogno di rafforzare il rifiuto assumendo una posizione diametralmente opposta. Si pensava un tempo che biologia e anatomia fossero “tutto”: oggi qualcuno arriva a pensare che sono “nulla”.
La contrapposizione tra femminile e maschile
Infatti, è dell’altro ieri la contrapposizione assoluta fra maschio e femmina, con enfasi pressoché esclusiva sulle differenze somatiche e rifiuto delle componenti sociali, politiche, psicologiche che portavano il maschio a radicalizzarla. E forse in reazione a ciò, oggi qualcuno radicalizza la posizione opposta, che anche se non giunge a negare la differenza la vede quanto meno molto fluida e reversibile: per le teorie del gender quel che conta è solo il vissuto, cui il soma deve adattarsi magari anche (e paradossalmente) ricorrendo a mezzi intrusivi e violenti come una operazione chirurgica demolitrice; posizione opposta e simmetrica a quella di un tempo, quando in presenza di un “genere” mentale non corrispondente a quello somatico, si parlava di malattia: “disforia di genere”.
Ma certo non si può liquidare così questo movimento: la riflessione che impone riguarda il complesso problema del rapporto maschio – femmina e dei suoi equilibri: (mutevoli? O fondamentalmente no?). Lo affrontava a modo suo Lao Tse (o chi per lui) nel Tao – Te – Ching: “Ciò che è debole e flessibile, è seguace della vita”: esprimeva la visione del femminile che tuttora tradizionalmente sopravvive, ma vi riconosceva un punto di forza, nell’ambito di una armoniosa integrazione con il maschile.
Si può collegare a ciò la sua diffidenza per la definizione classificatoria e verbalizzata (maschile?): “Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno TAO”. Opposto l’incipit di Giovanni, “In principio era la parola”, di cui noi occidentali siamo eredi, che sia di matrice ebraica o ellenica. Certo, non mi risulta che ciò abbia propiziato una miglior condizione della donna cinese in confronto a quella occidentale… Ma il discorso si farebbe lungo e fuori della mia portata
L’attuale cambiamento
Un più recente punto di partenza può offrirlo il pensiero del Jean Francois Lyotard di ”Rudimenti pagani”. Con qualche riferimento ad esso, si può essere tentati di delineare un qualche collegamento fra due aspetti dell’attuale cambiamento: da un lato il crescere del femminismo, dall’altro i vari movimenti che vogliono cambiare il nostro modo di vedere la sessualità e il rapporto uomo – donna: dallo sdoganamento della omosessualità fino alla fluidità del genere e dell’identità connessa, con radicale critica al concetto medico di disforia di genere, fino a giungere a un prospettato uni-sessismo in cui la dimensione c.d. maschile e quella c.d. femminile traversano ciascuno di noi. Esso è presente in alcune specie animali, ma non nei mammiferi.
L’ipotesi di un collegamento con il femminismo potrebbe sorgere dalla constatazione che le costruzioni rivolte alla creazione e mantenimento di un Ordine – con la O maiuscola – sono da sempre opera di maschi: dal sistema giuridico a quello politico, all’esercito, fino al tema che qui ci interessa: le strutture sociali – matrimonio in primis – volte al contenimento del desiderio ottenuto anche e soprattutto con la sottomissione della donna; e le connesse ideologie che le sostengono.
Questo tipo di prevalenza maschile è un dato di fatto ontologico inerente al genere oppure un accidente storico dovuto al prolungato predominio del maschio? Non sappiamo che tipo di cultura e società avrebbero costruito le donne se fossero state dominanti (ammesso che il concetto di dominio faccia parte del femminile). Si è parlato di un primitivo matriarcato: se è esistito, non ne sappiamo gran che. Anche se, a dire il vero, ho avuto una qualche conoscenza diretta di quel che ne potrebbe essere un residuato, in una vacanza in Marocco: in certi nuclei di Tuareg le donne hanno un ruolo dominante che include anche forme di libera iniziativa sessuale.
Femminile e maschile: l’incertezza definitoria
La stessa incertezza definitoria – dati storicamente determinati oppure metastorici? – investe una serie di aspetti divenuti luoghi comuni: prevalenti nella donna la seduzione e la capacità di accogliere, nell’uomo la ricerca di un ordine razionale e la capacità di costruire sistemi – ideologici, organizzativi, materiali – nonché quella di disciplinare, di punire, di competere. La competitività non manca neppure nella donna, ma classicamente spesso fa ( o faceva) leva più sulla seduzione che sulla capacità di imporsi grazie alla maggior forza fisica e-o mentale.
Comunque oggi si tende a considerare storicamente determinate – e non sempre rilevabili – queste differenze. Sicuramente già in passato donne come la Grande Caterina di Russia ed Elisabetta Prima, avendo ampiamente superata grazie al privilegio dinastico la barriera di una inferiorità socialmente imposta, hanno dimostrato di muoversi con capacità e determinazione non inferiore a quella dei maschi. Analoga la dimostrazione offerta da certe donne impegnate nella Resistenza partigiana; anche loro si erano inserite più che validamente in una conflittuale realtà sociale costruita, nel bene e nel male, da maschi. E soprattutto, quotidianamente le donne ci offrono dimostrazione di grandi capacità tecnico – professionali e della necessaria grinta.
Ma questo introduce a un dilemma fondamentale: per le donne, conseguire la parità è un successo tanto più meritorio perché dimostra la capacità di inserirsi, rafforzandola, in una realtà costruita da maschi a loro immagine e somiglianza? O ciò costituisce una limitazione di tale parità? O un po’ l’uno e l’altro? L’esempio più chiaro di questa ambivalenza è la partecipazione (ottenuta? imposta?) al servizio militare.
Questo, almeno oggi: in futuro, chissà… forse si delineeranno una cultura e una società dai tratti fondamentali costruiti a immagine e somiglianza non solo dei maschi.