In “Il sole nudo” di Isaac Asimov, il protagonista interagisce con gli abitanti del pianeta Solaria, dove le persone vivono isolate a grande distanza l’una dall’altra e riducono i contatti umani al minimo, affidando le loro faccende quotidiane a robot umanoidi praticamente indistinguibili dagli esseri umani. Questa situazione, anziché migliorare la qualità della vita, provoca una progressiva paranoia verso gli estranei, spingendo gli abitanti a tagliare i ponti con gli altri esseri umani e a chiudersi in case-bunker, attaccando a vista chiunque osi visitare il loro pianeta.
L’uso compulsivo dei social media
Questa riflessione mi porta a notare come, in un certo senso, lo stesso stia accadendo agli adolescenti e ai giovani adulti con l’uso compulsivo dei social media. Strumenti che teoricamente dovevano collegarci di più e permetterci di comunicare con persone dall’altra parte del mondo si stanno rivelando potenti distanziatori sociali, creando legami che spesso non riescono a offrire la stessa gratificazione di un contatto umano reale e concreto. Anche durante la pandemia, i social sono diventati più che altro un luogo per diffondere complottismi o per ospitare conflitti tra personaggi famosi o tra persone comuni.
Il robot affettivi
A mio avviso, ciò che rende impossibile sostituire il contatto umano con robot affettivi o con qualsiasi forma di interazione digitale olografica è la mancanza degli aspetti non verbali e corporei che caratterizzano queste relazioni. Il semplice contenuto affettivo, anche se proveniente da un’intelligenza artificiale avanzatissima, non può in alcun modo sostituire la percezione interna di un rapporto autentico.
La teoria dell’Uncanny Valley
In una ricerca che ha suscitato dibattiti nella comunità scientifica, lo studioso giapponese di robotica Masahiro Mori ha proposto la teoria della “Uncanny Valley” – o Valle perturbante. Mori affermava che gli esseri umani reagiscono in modo sempre più ostile quanto più un robot assomiglia a un essere umano, mentre mostrano una maggiore predisposizione verso robot con fattezze non umane. In pratica, è più probabile che troviamo simpatico un robot a forma di macchina o di distributore di caffè rispetto a uno che parla, chiacchiera e ha una pelle simile alla nostra. Questo fenomeno evidenzia come il nostro substrato archetipico sia intimamente terrorizzato dall’idea di un robot che assomiglia a un essere umano.
Un esempio emblematico è il successo della serie “Terminator“, dove un killer venuto dal futuro, un cyborg con pelle, capelli, sudore e alito cattivo, terrorizza i protagonisti proprio perché riesce a mimetizzarsi perfettamente tra gli esseri umani. Credo che la nostra percezione naturale di considerare umano solo ciò che è veramente umano non possa mai essere del tutto ingannata da una costruzione artificiale, che ci fa sentire intimamente minacciati.
I robot possono essere un valido strumento di supporto per le difficoltà cognitive e pratiche della vita quotidiana di chi è svantaggiato o isolato, fornendo un sostegno che però deve inevitabilmente portare a un contatto con la propria cerchia sociale o con altri esseri umani.
Condivido le preoccupazioni ma ritengo che vadano pensate soluzioni, piuttosto che allarmi, perché siamo già entrati nell’era della robotica e presto gran parte del lavoro umano sarà sostituito da strumenti.
Interrogo la IA per un commento all’articolo:
Un robot affettivo è un tipo di robot progettato per interagire con gli esseri umani in modo da suscitare risposte emotive e affettive. Questi robot sono spesso utilizzati in ambiti come l’assistenza agli anziani, l’educazione dei bambini, e come compagni per persone sole o con bisogni speciali. Ecco alcune caratteristiche chiave dei robot affettivi:
1. **Interazione Umana**: Sono progettati per riconoscere e rispondere alle emozioni umane attraverso espressioni facciali, voce, e movimenti del corpo. Possono utilizzare tecnologie avanzate come il riconoscimento vocale e facciale per adattare le loro risposte alle emozioni degli utenti.
2. **Aspetto e Design**: Spesso hanno un aspetto e un design che li rende accattivanti e non minacciosi. Possono sembrare animali di peluche, personaggi dei cartoni animati o avere un aspetto umanoide.
3. **Apprendimento e Adattamento**: Alcuni robot affettivi possono apprendere dalle interazioni con gli utenti e adattare il loro comportamento nel tempo per migliorare l’esperienza utente.
4. **Funzionalità di Supporto**: Possono fornire promemoria per i farmaci, assistenza nelle attività quotidiane, e persino partecipare a semplici conversazioni per offrire compagnia.
Esempi di robot affettivi includono:
– **Paro**: Un robot a forma di foca utilizzato principalmente nelle terapie assistite per anziani e persone con demenza. È progettato per essere calmante e interattivo.
– **Pepper**: Un robot umanoide sviluppato da SoftBank Robotics che può riconoscere e rispondere alle emozioni umane, ed è utilizzato in contesti educativi, retail e di assistenza.
– **Jibo**: Un piccolo robot da compagnia che può comunicare, muoversi e esprimere emozioni.
I robot affettivi stanno diventando sempre più sofisticati con l’avanzamento delle tecnologie di intelligenza artificiale e sono considerati strumenti promettenti per migliorare la qualità della vita delle persone.
Parlare di perturbante ci rimanda direttamente a Freud: per lui perturbante è tale in quanto a un tempo noto e non familiare, e così fonte di angoscia. Egli faceva riferimento al ben più antico racconto di Hoffmann “L’uomo della sabbia”, in cui uno degli incubi materializzati che conducono alla follia è proprio un automa che raffigura perfettamente le fattezze di una bella ragazza, Olimpia.
Sembra proprio che oggi la tecnologia ci confronti molto concretamente con questo incubo già così delineato dagli scrittori. E, in termini più generali, pare che scienza e tecnica offrano i mezzi per realizzare in concreto ciò che era stato anticipato dalla fantasia (archetipica?) : a partire – tanto per fare un altro esempio – dal mito di Icaro.