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Connettersi e disconnettersi: un viaggio tra etimologia, psicologia e modernità

Connettersi e disconnettersi. Nella frenesia del mondo moderno, la parola “connessione” ha acquisito un significato ricco e multiforme. Ci colleghiamo costantemente a dispositivi, reti e piattaforme digitali, ma ci fermiamo mai a riflettere su cosa significhi veramente connettersi?

E, ancora più importante, riusciamo a trovare un equilibrio tra la necessità di connetterci e il bisogno di disconnetterci? Durante il mio recente viaggio sono numerose le riflessioni che sono nate attorno al significato di connessione, al suo impatto su di noi e su come possiamo bilanciare questi due stati vitali che tenterò di esplorare attraverso la lente della scienza, della letteratura e della psicologia.

Etimologia del termine “Connessione”

Partiamo dall’inizio: il termine “connessione” deriva dal latino “connectere”, composto da “con-” (insieme) e “nectere” (legare). Significa dunque “legare insieme” e riflette l’idea di unire elementi separati per formare un “tutto”. Connessione come legame, come ponte tra parti separate. Questo concetto di legame è alla base di molte delle nostre interazioni, siano esse con noi stessi, con gli altri o con il mondo che ci circonda. Questa parola racchiuda in sé un mondo di significati.

Ma cosa succede quando questi legami diventano troppo stretti, troppo frequenti?

E quando, invece, ci sentiamo isolati, disconnessi dal mondo o da noi stessi?

Connessione con noi stessi e con la natura

Nel mio viaggio ho passato diversi momenti a stretto contatto con la natura. La natura offre una risposta antica e sempre attuale al bisogno di connessione. Passeggiare in un bosco, sentire il canto degli uccelli, respirare l’aria fresca: sono esperienze che sembrano riportarci a uno stato di equilibrio e benessere, quasi a farci vivere la sensazione di sentirci connessi, un tutt’uno con la natura. Studi scientifici, come quello condotto dall’Università di Stanford, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science, ha scoperto che le persone che camminavano per 90 minuti in un’area naturale, a differenza dei partecipanti che camminavano in un ambiente urbano molto trafficato, mostravano una riduzione dell’attività in una precisa regione del cervello, l’area della corteccia prefrontale subgenuale, associata a un fattore chiave nella depressione, dimostrando così che trascorrere del tempo nella natura può ridurre significativamente lo stress e migliorare l’umore.

Inoltre, ho avuto la fortuna di portare con me uno splendido libro, che ha mosso ulteriormente alcune di queste riflessioni: Henry David Thoreau, nel suo libro “Walden”, riflette su come la solitudine nella natura gli abbia permesso di connettersi profondamente con se stesso. La letteratura e l’arte spesso esplorano questo dualismo. Il romanzo “Into the Wild” di Jon Krakauer, ad esempio, racconta la storia di un uomo che sceglie di disconnettersi dalla società per trovare una connessione più autentica con la natura.

E noi, moderni viandanti digitali, siamo ancora capaci di trovare questi momenti di pace e introspezione? Quanto tempo dedichiamo veramente a queste connessioni essenziali?

Connessione digitale: web e cellulari

Appena atterrato ho cercato una SIM per potermi connettere, sentire i miei familiari, gli amici, avere notizie aggiornate sul mondo. Oggi siamo sempre connessi: internet, smartphone, social media.

Ma questa connessione ci avvicina davvero agli altri o crea una distanza insormontabile? Secondo il Pew Research Center, centro studi statunitense che si occupa di andamenti demografici e sociali nel mondo, i giovani passano in media circa 4 ore al giorno sui loro telefoni. Questa immersione costante nel mondo digitale porta a un aumento dello stress e a una diminuzione della qualità del sonno. Eppure, sembra quasi impossibile staccarsi da questa rete invisibile, così potente e ormai così indispensabile.

Rinunciare alla nostra connessione digitale ci arricchisce o ci impoverisce? Quanto tempo passato online ci sottrae alla vita reale, alle relazioni autentiche?

Connessione umano-emotiva: madre, utero e terapia amniotica

La connessione più profonda e primaria è quella tra madre e figlio, iniziata nel grembo materno. Questo legame forma la base del nostro sviluppo emotivo e psicologico. La terapia amniotica, che cerca di ricreare l’ambiente del grembo, viene utilizzata per aiutare le persone a riscoprire un senso di sicurezza e connessione emotiva. Ma come influiscono queste connessioni primordiali sul nostro modo di connetterci con il mondo da adulti?

Riflettendo su questo, possiamo capire quanto le nostre prime esperienze di connessione influenzino il nostro benessere psicologico a lungo termine.

Quanto siamo consapevoli di queste influenze nel nostro quotidiano?

L’Importanza di oscillare tra connettersi e disconnettersi

Trovare un equilibrio tra connettersi e disconnettersi è essenziale, ma esiste davvero un equilibrio perfetto?

Ogni individuo è diverso, e ciò che funziona per uno potrebbe non funzionare per un altro. Alcuni principi generali, come limitare l’uso dei dispositivi digitali, passare tempo all’aperto e praticare mindfulness, possono essere utili e, mi sento di poter dire, a tutti.

Ma come facciamo a sapere quando è il momento di connetterci e quando è il momento di disconnetterci? Forse la risposta sta nell’ascoltare i nostri bisogni interiori e riconoscere i segnali del nostro corpo e della nostra mente.

Disconnessione, scissione e psicopatologia

La disconnessione può anche diventare patologica. Freud, in continuità con le idee di Breuer e Janet, ha descritto la scissione come un meccanismo di difesa in cui una persona separa pensieri e sentimenti contrastanti per evitare il conflitto emotivo.

Karl Jaspers, nel suo lavoro “Allgemeine Psychopathologie”, ha approfondito il concetto di scissione descrivendola come una frattura nella continuità dell’esperienza di sé, che può portare a una disconnessione patologica dalla realtà e da se stessi.

Queste dinamiche e queste valutazioni, davanti ai nostri occhi, nella pratica clinica e nella nostra quotidianità, ci invitano a riflettere: quanto la nostra società moderna, con le sue richieste incessanti e la sua connessione costante, contribuisce a queste forme di disconnessione patologica? Come possiamo riconoscere e affrontare questi segnali prima che diventino problematici?

Conclusione

La connessione e la disconnessione sono due facce della stessa medaglia, influenzando profondamente il nostro benessere psicologico. Attraverso l’esplorazione dei vari aspetti – dalla connessione con la natura e il sé, alla connessione digitale, fino alle dinamiche più profonde delle relazioni umane e delle psicopatologie – possiamo comprendere meglio l’importanza di trovare un equilibrio.

Riconoscere quando connettersi e quando disconnettersi è essenziale per mantenere una salute mentale equilibrata e resiliente. Ma il vero equilibrio, forse, sta nel porci continuamente domande e riflettere su queste connessioni. In un mondo che non smette mai di correre, abbiamo il coraggio di fermarci e ascoltare noi stessi?

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