Ho lasciato una fiorente attività privata a 39 anni, per entrare nel SSN, vincitore di uno dei due concorsi a cui mi sono presentato. Avevo sistematicamente snobbato tutte le precedenti occasioni, dove gran parte dei miei amici colleghi psichiatri avevano invece iniziato, parecchi anni prima di me, il loro cammino nella salute mentale pubblica.
Accettai di lavorare in un SerT di provincia, fare il pendolare, vedere il mio stipendio ridursi del 70%, per inseguire l’ideale che la salute non potesse essere altro che pubblica.
Sono passati 26 anni.
Non tornerei indietro.
La mia esperienza nel privato
Sono in una bella sala di attesa nel cuore dei Parioli, avanti a me un acquario tropicale gigantesco.
Mi stanno per chiamare per un semplice prelievo. Sono le 11:15 del mattino. Un po’ tardi ma reggo bene il digiuno.
Ora vi spiego meglio.
Due anni fa non ho rinnovato la mia assicurazione sanitaria. Non mi era piaciuta una modalità burocratica rispetto ad un serio intervento chirurgico che ho dovuto fare. E in più passava attraverso l’ordine professionale di mia moglie.
Così da due anni non facevo controlli, a parte quelli scialbi e distratti del servizio medico per la idoneità professionale.
Mi sono deciso a fare tutto nel SSN, ma stamattina ho ceduto.
La mia esperienza col SSN
Due settimane fa mi sono recato al Cup al piano sotto del Centro di Salute Mentale di cui sono il direttore. Sono andato in borghese, non riconosciuto.
Appuntamento tiroide. Domani! Ci vuole andare?
Certo!
Prelievo prossima settimana, in questo poliambulatorio. Lo fissiamo?
Ottimo! A che ora?
Concordiamo per l’ultimo appuntamento possibile: ore 10:55.
E gli epiaortici?
Purtroppo il primo possibile a Roma è il 14 ottobre. Lo fissiamo?
Va bene!
Vado via pensieroso. Quel 14 ottobre ha rovinato tutto.
Il giorno dopo sono puntuale per la tiroide.
Ambulatorio sul lungotevere, una bella sede.
La segnaletica fuori è della ASL RME. È stata chiusa nel 2018! Conosco il problema.
Ho lottato per avere la segnaletica in tutti i servizi che ho diretto in questi anni. Li ho trovati tutti fermi a molti anni prima, indicazioni sbagliate, vecchie, inutili. I pazienti disorientati chiedono, e sono tutte risposte infastidite.
Dentro la struttura è cadente, la sala d’attesa satura, gente in piedi, nervosa. Devo soltanto pagare. Un signore mi dice che aspetta da 45 minuti, pare che funzioni solo una cassa e le altre siano occupate da persone che svolgono complicate pratiche.
Salgo al primo piano. 3 infermieri senza fare nulla. Mi chiedono che succede giù. Spiego. Mi dicono, se vuole fa l’eco e poi paga.
Ottimo. Aspetto.
La visita è molto breve, la dottoressa una signora di mezza età. Cupa, silenziosa, per niente affabile. Pare tuttavia competente, nel suo assetto veterofreudiano da ecografa stufa, probabilmente, di pazienti impazienti e di tiroidi disomogenee e nodulose.
Le chiedo, uscendo, come ha visto la mia ghiandola. La risposta è tutto: se non paga non può avere il referto!
Ma le ho chiesto solo una considerazione di massima!
Niente di grave, ma senza i precedenti, che vuole che le dica?
Lo so, devo ancora recuperare tutti i miei documenti. Ho una brutta separazione in corso.
La dottoressa non muove neppure un fascio muscolare della sua espressione facciale. Come si dice in francese? Figé!
Pago con il Pagopa e ritiro tutto nella stanza infermieri. Sempre gli stessi 3. Seduti. Sempre, apparentemente, inoperosi.
La settimana successiva
Sono tornato dalla mia analista. Ovviamente privata. Esco e mi precipito alla macchina.
Navigatore: 25 minuti.
Mannaggia, arrivo alle 11 per il prelievo.
Sono 5 minuti, penso tra me.
Ce la farò!
Alle 11 il piano terra del poliambulatorio è vuoto. Vado direttamente alla stanza prelievi.
Il numeretto? Mi chiede una probabile infermiera.
Le spiego del prelievo e del ritardo.
Ah, allora non c’è nulla da fare.
Il camminatore – espressione surreale che bene conosce chi lavora nelle istituzioni – è già partito.
Lei come si chiama?
Federico Russo.
Si, 10:55. Ha fatto tardi. Posso infilarla domani nei 10 posti liberi che ho. Ma deve venire alle 7.
Non ce la farò. Alle 8 devo stare al Santo Spirito.
E allora niente. Mi spiace. Torni a CUP e prenoti un nuovo appuntamento.
Mi chiama la cassa del poliambulatorio privato.
Mi chiede un documento. Ah, l’ho lasciato in macchina. Tessera sanitaria. Pure! Nome? Con un sorrisone tipo, questo almeno se lo è ricordato!
Dico.
Buongiorno dottore! (Il sistema informativo funziona alla grande). Ha le prescrizioni?
Si, nel telefono.
Vuole dare a me?
Magari.
Seleziona le impegnative e carica tutto.
Aspetti e la chiamano!
Torno davanti all’acquario.
Poco dopo tocca a me.
Giovane, gentile, sulla porta, mi guida con gioia al suo box, mi racconta di se e di sua mamma, mi chiede qualcosa, con discrezione. Le chiedo come si trovi a lavorare qui.
Bene. È uno dei diversi lavori che faccio, da infermiera. Mi piace l’organizzazione. E il contatto con i pazienti.
Mano leggera al prelievo.
Vado, con le mie solite, lievi, preoccupazioni ipocondriache.
Mentre vado via penso ai 200€ che ho speso per fare le analisi.
Il mio scopo è quello di verificare il mio stato di salute.
Se qualcosa non va mi farò visitare, magari cambierò abitudini, riprendo un po’ di regolarità nell’attività sportiva.
Insomma, faccio le analisi per evitare, se possibile, di arrivare al pronto soccorso malandato, occupare un posto letto, una camera operatoria.
Anche le statine sto pagandomi di tasca mia. Non brontolo per questo.
Prevenzione e SSN
Ma stamattina penso, mentre mi bevo il cappuccino sotto al laboratorio analisi: ma non dovrebbero incentivare il mio comportamento? Il SSN avrebbe tutto l’interesse a promuovere la prevenzione. Non dico che dovrebbe pagarmi per avere fatto le analisi, ma nemmeno chiedermi 200€ per analisi di routine e 30€ per una eco di 5 minuti alla mia povera e malconcia tiroide.
Marmot cities, gli otto punti del Dr. Marmot, per promuovere uguaglianza, equità, in una città ideale. L’istituto Superiore di Sanità li ha fatti propri. Ora inizia la sua azione di sorveglianza.
“È questo lo scopo della ‘Rete Italiana delle Città per l’Equità della Salute’, un network che si ispira ai principi delle cosiddette ‘Marmot cities’, nate in Inghilterra ma la cui pratica si sta diffondendo anche in altri paesi. L’Istituto Superiore di Sanità, coordinatore della nascente Rete, promuove da oggi la raccolta delle adesioni con la pubblicazione della Manifestazione di interesse.”
Ci possiamo ancora sperare?
Le mie analisi sono andate bene. Continuo il mio lavoro con vigore. I due pesci rossi, nel piccolo acquario che gli operatori hanno messo in sala d’attesa, nel CSM romano di via Boccea, stanno bene. Mi guardano curiosi. Piuttosto, devo ricordare di accendere sempre la filodiffusione. L’attesa, prima della visita, è un momento importante.
Ho trovato la riflessione molto interessante e di estrema attualità vista la scissione sempre più netta tra pubblico e privato. Anche nella medicina generale si assiste da anni al dibattito su diventare SSN o continuare una ibridazione convenzionata che talvolta assume ancora contorni feudali. Anche molti giovani sono dubbiosi sulla “dipendenza” che metterebbe i “propri” pazienti nelle mani di altri colleghi, a rotazione nelle case della salute. Molte colleghe e colleghi lasciano la medicina generale per eccessivo carico, burocrazia e difficoltà nel rapporto di fiducia con i pazienti. Non conoscevo l’esperinza della Rete Italiana delle citta per l’Equità della Salute , ma mi pare molto in linea, anche rispetto all’accostamento con le tue esperienze personali, con quanto la Società Italiana di Medicina Narrativa si propone di promuovere nell’ ambito della relazione di cura: Una vicinanza consapevole alla malattia e al concetto di salute che vede la relazione come protagonista. Bellissima l’attesa con la filodiffusione..
Queste storie di vita realmente vissuta vanno raccontate , chissà mai che abbia un ascolto! Il nostro povero ssn che dovrebbe assistere i pazienti e’ esso stesso un “impaziente” malato. La domanda , retorica ma sempre più necessaria, che sorge spontanea è :” ma i nostri soldi dove vanno a finire?” Finora ancora non l’ho capito e forse non lo capirò …tocca augurarsi di …morire sani!!