Piacere e potere sono da sempre in una relazione complicata. Molti di noi ne fanno esperienza nel corso della vita. Fin dai primi vagiti si sperimentano piacere, potere e il controllo sull’altro. In tale contesto, la visione del film Babygirl, uscito sul grande schermo qualche mese fa, ha suscitato in me diverse riflessioni.
La trama di Babygirl
La protagonista Romy, interpretata da Nicole Kidman, è la CEO di successo di una grande azienda. Un giorno incontra sulla strada verso l’ufficio una scena emblematica e spiazzante: un giovane riesce ad ammansire un cane che sta aggredendo una persona. Quello stesso ragazzo, Samuel, diventerà un suo stagista ed in seguito amante. Fino a quel momento la vita coniugale e familiare di Romy cammina su binari di efficacia ed efficenza, mentre il suo piacere sessuale è, come evidente dalla prima scena, affidato a scene porno dal contenuto di sottomissione ricercate al riparo da occhi indiscreti.
Mi è sembrato di rintracciare nel film il legame tra il potere e i suoi significati nel corso della vita. Nelle nostre scelte e in quelle che evitiamo. “ E’ questo che vuoi?” chiede Samuel alla protagonista.
Il potere si manifesta nel lavoro di Romy, in cui l’ efficienza di donna glaciale rende tutti dipendenti da lei. Si ritrova nella vita coniugale, nella scelta di un regista teatrale poco appassionato. Esplode nella vita sessuale, che la vede abdicare al piacere fingendo di godere, soggiacendo al potere dei video erotici.
Piacere e potere
Il potere è azione, non fantasia. Si distingue irrimediabilmente dall’amore che considera l’altro e i suoi bisogni e dalla mera ricerca del piacere per il suo soddisfacimento. In psicologia, tra le altre cose, il potere rimanda al Super-Io, l’istanza genitoriale derivante dall’introiezione di chi comanda. Originariamente legata alla figura paterna, oggi nella ridefinizione dei ruoli è ridistribuita o spostata verso quella materna. Molto spesso diventa anzi difficile rintracciare in ambito familiare una figura di riferimento in tal senso, rendendo tale autorità fluttuante od instabile. Occorre considerare che in assenza di “padri” il soggetto non ha la possibilità di sperimentare quell’impotenza e la conseguente depressione che placano l’angoscia derivante dalla mancanza di controllo. In altre parole, in una famiglia dove non c’è controllo può dilagare l’angoscia.
M.Klein, in “Amore odio e riparazione”, parla di amore del potere come il “tentativo di controllare i pericoli interni più direttamente di quanto non sia possibile con i metodi della proiezione e della fuga”
La protagonista di Babygirl
Dunque il potere ha a che fare con l’onnipotenza e il controllo dell’angoscia. Il piacere della protagonista si serve del potere per manifestarsi. Continua la Klein: “ una via per raggiungere la sicurezza è mirare al potere onnipotente, allo scopo di controllare tutte le situazioni potenzialmente dolorose”. A tal proposito nel film si intravvede sullo sfondo la natura traumatica di tale perversione: Romy avrebbe passato la sua infanzia in uno stato di segregazione, all’interno di una setta. L’anima della protagonista dunque è soffocata finché con Samuel la fantasia non irrompe nella sua realtà. Accettando il gioco di potere che ne consegue Romy non si sottrae alla sfida dell’accettazione della sua frustrazione. Esercitare il potere l’ha protetta dal timore della dipendenza e dell’impotenza, che rivive nelle sue fantasie.
Tornando alla scena del cane, Romy chiede a Samuel come abbia fatto ad ammansire il cane. Il tentatore afferma di avere sempre con se un biscotto. C’è sempre qualcuno da sottomettere per proteggersi dal dolore. In conclusione, il piacere trova il suo soddisfacimento in innumerevoli modi ed è spesso in relazione con il potere. L’esercizio dello stesso potere nel gioco delle relazioni consente di rendere via via sopportabile l’angoscia della mancanza di controllo senza portare alla distruzione dell’oggetto, così come direbbe Winnicott. Alla fine, secondo le parole della Klein, “ ciò che soprattutto si teme è la natura incontrollabile del desiderio e dell’aggressività e la mancanza di difesa di fronte a questi impulsi”.
Può esser divertente notare che una cinquantina di anni fa Alberto Moravia trattava questo tema a suo modo, nel provocatorio romanzo “Io e lui”. Parla il protagonista, “afflitto” da un enorme pene che si fa quasi un soggetto autonomo e che da motivo di orgoglio diviene un ostacolo alla affermazione sociale:
“La vita per me è sublimazione, la morte desublimazione. Se sublimerò, vivrò, cioè sarò un uomo degno di questo nome. Altrimenti, morrò alla mia umanità. Sarò un desublimato, cioè un disgraziato, un inferiore, un incapace, un impotente, tutto sesso e niente creazione. Farò parte, irrimediabilmente, della razza inferiore, soggetta, che esiste in tutto il mondo, nei paesi ricchi come nei poveri, e non è caratterizzato dal colore della pelle o dai tratti somatici, ma dalla congenita incapacità di sublime” .
Un po’ datato, ma interessante…