Vaso di Pandora

La formazione sulla terapia amniotica nel DSM della ASL ROMA 1 ha avuto inizio a settembre 2016. Il gruppo iniziale era composto da 10 tra tecnici della riabilitazione psichiatrica e educatori professionali. La formazione è stata condotta da Maurizio Peciccia e dal suo gruppo di lavoro specializzato sulla terapia amniotica, ed è stata quasi interamente autofinanziata dagli operatori. Si è svolta tra Perugia e Roma nell’arco di 2 anni. Ha previsto soprattutto sessioni in acqua, alcuni incontri di amniovisione, alcune sedute di tecnica di “disegno speculare progressivo” e una formazione teorica. L’obiettivo che il corso si è posto è stato quello di formare un gruppo di operatori capaci di utilizzare la terapia amniotica per introdurre l’innovativo trattamento riabilitativo nel DSM.

È stata un’esperienza impegnativa, emotivamente coinvolgente e trasformativa. Senza avere troppe indicazioni teoriche e tecniche ci siamo immersi fin da subito nell’acqua così come nell’esperienza amniotica; nel corso della formazione 4 operatori hanno interrotto il percorso ma si è sedimentato un gruppo di sei operatori che si mantiene nel tempo, fortemente coeso anche nella quotidianità fuori dall’acqua e motivato a proseguire nell’esperienza “amniotica”.

I criteri di inclusione per il reclutamento dei pazienti previsti dalla ricerca “Sense of self Treatment. Integrazione multisensoriale –motoria e simulazione incarnata per il trattamento di pazienti psicotici con alterazione del senso del Sé”, in collaborazione con l’Università di Perugia e con l’Università degli Studi di Parma – Dipartimento di Neuroscienze, riguardavano la diagnosi di schizofrenia, l’età inferiore ai 40 anni, la terapia farmacologica con non più di due neurolettici, l’assenza di comorbilità, no ritardo mentale, no patologie organiche; sebbene l’ordine di grandezza dell’utenza in carico al DSM sia ampio e le informazioni sulla metodica siano state, in più occasioni, diffuse, si è arrivati all’individuazione del gruppo dei pazienti con una certa difficoltà, probabilmente a causa di una resistenza da parte delle équipe invianti, legata alla novità della linea di trattamento proposta.

Dopo le valutazioni, a partire dal 25 settembre 2019, è iniziato il trattamento con i pazienti (4 uomini e 1 donna), presso il Centro Adelphi, sito all’interno del Santa Maria della Pietà  ASL ROMA 1.Nel frattempo, al gruppo di lavoro, si è aggiunta una operatrice del centro Adelphi.

È stato possibile svolgere 39 incontri a cadenza bisettimanale nell’arco di 5 mesi, regolarità bruscamente interrotta a marzo 2020 a causa della pandemia Covid.

Gli incontri prevedevano sessioni della durata di 1 ora e 30 minuti in acqua, ad una temperatura di 36 gradi, durante le quali il contatto corporeo e cinetico si costruiva progressivamente nel rispetto dei tempi di ciascun utente;  contemporaneamente veniva facilitata la costruzione o ri-costruzione di uno schema corporeo. La creazione di un ambiente caldo e protettivo ha permesso lo sviluppo di una comunicazione emotivamente coinvolgente all’interno del gruppo.

Il gruppo dei pazienti è risultato fin da subito molto motivato ad impegnarsi nell’esperienza, tanto che raggiungevano il servizio in autonomia dai diversi punti della città; tuttavia un uomo e una donna hanno interrotto il trattamento dopo circa 2 mesi. In generale i pazienti, fin dal primo incontro, si sono affidati e abbandonati al contatto molto più di quanto ci saremmo aspettati. Abbiamo cercato di garantire una continuità con le figure di riferimento (equipe terapeutiche di CSM), nonostante questo abbia comportato un impegno significativo da parte del gruppo degli operatori (difficoltà logistiche e legate alle funzioni svolte nei diversi presidi del DSM).

All’incontro in acqua seguiva un momento di restituzione verbale volontaria.

Ci sembra utile riportare alcune delle frasi più significative che gli utenti hanno condiviso nel gruppo:

Ho avuto un ricordo di un episodio di quando ero bambina. L’ho rivissuto durante la seduta in acqua anche se lo avevo dimenticato” (Marianna)

“Ho sentito il battito del mio cuore” (Michele)

“Mi sono rilassato, abbiamo dondolato, mi ha ricordato i bambini. Siamo stati come 2 gemelli” (Giuseppe) Da notare che questo utente era tenuto in acqua da una sola operatrice insieme ad un altro paziente.

Di Daniel non abbiamo molte tracce verbali, è un paziente giovane mutacico, con forte ritiro sociale e costanti allucinazioni uditive e visive. È stato però il più costante, malgrado il lungo tragitto che doveva fare. Da quanto riferito dagli operatori della comunità in cui risiede, i suoi cambiamenti sono stati sempre più visibili nel tempo.

Oggi Daniel ha cambiato struttura residenziale, è molto più aperto, disponibile all’interazione e curioso del mondo che lo circonda. È in corso un’ulteriore evoluzione del suo progetto terapeutico riabilitativo.

“Come operatrice della riabilitazione sono abituata ad avere a che fare con la prossimità, con i tempi prolungati, con la concretezza e con una gestualità “parlante”; l’esperienza amniotica però mi ha portato in uno spazio nel quale il gesto, oltre che comunicare o suggerire, lavora per creare un argine, un confine intorno a me e all’altro, fino ad arrivare a poterci guardare con meno timore e più fiducia; l’esperienza riporta al centro le sensazioni, le emozioni e fa sentire più coesi e quieti ”. (Claudia)

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