Vaso di Pandora

Virtuale è reale? Gli adolescenti connessi a Matrix

Che cos’è reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a ciò che percepiamo, a ciò che possiamo odorare, toccare e vedere, sappi che quel “reale” è soltanto un insieme di segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che conosci… e che ora esiste solo in quanto parte di una neuro-simulazione interattiva che chiamiamo Matrix, un mondo virtuale elaborato al computer.

Con queste parole, Morpheus, il capo della resistenza contro le macchine nel celebre film Matrix – diretto dalle sorelle Wachowski nel 1999 – spiega a un disorientato Neo, appena risvegliato dal collegamento con la realtà virtuale che tiene intrappolata l’umanità, che ciò che ha sempre considerato reale prima della sua disconnessione dal server non era altro che una delle molteplici forme che la realtà stessa può assumere. Il mondo che ha sempre visto e vissuto era semplicemente tale perchè validato dalle sue percezioni sensoriali.

Sono trascorsi molti anni dall’uscita di quel film, che all’epoca fece scalpore e che, in qualche modo, si è rivelato profetico rispetto alla nostra epoca. Sebbene, fortunatamente, il futuro distopico di Matrix sia ancora lontano e nessuna intelligenza artificiale minacci di ridurci in schiavitù per alimentare i propri processi vitali, è innegabile che nel XXI secolo non esista più una sola realtà. Oggi possiamo identificarne almeno tre: fisica, psichica e virtuale.

Cosa percepiamo come reale

Per comodità e abitudine, tendiamo a considerare reale solo ciò che possiamo percepire direttamente—ciò contro cui, se camminiamo distrattamente, possiamo sbattere. Tuttavia, osservando la società contemporanea, non possiamo ignorare il fatto che esistano contesti in cui la dimensione materiale è minima, ma che a tutti gli effetti rientrano tra le realtà possibili.

Carl Gustav Jung, già all’inizio del secolo scorso, evidenziava che, oltre alla realtà fisica, esiste anche una realtà psichica: quella dell’inconscio. Questa è costituita da contenuti sia personali che collettivi, che, sebbene non tangibili, esercitano un’influenza straordinaria sul nostro comportamento. Questa forma di realtà interna non è semplicemente lo specchio riflesso dei nostri processi coscienti, ma possiede una propria autonomia e regole specifiche. Il sogno ne è l’esempio più chiaro: al suo interno possiamo vivere esperienze lontane dalla nostra quotidianità e persino percepirle con i sensi. La realtà psichica è, dunque, un luogo con leggi proprie, spesso in conflitto con la volontà cosciente, come dimostrano numerose psicopatologie o semplicemente tante piccole sfumature del nostro comportamento che sfuggono a una spiegazione razionale, come i lapsus o quelle piccole omissioni definite da Sigmund Freud atti mancati nel suo saggio sulla psicopatologia della vita quotidiana.

La realtà virtuale

Alla dualità virtuale e reale, tuttavia, dobbiamo ormai aggiungere una terza dimensione: la realtà virtuale. Che piaccia o no, la complessità della rete e le interazioni che essa permette hanno creato un ulteriore livello di esistenza, dove si manifesta, per citare ancora Matrix, «la proiezione mentale del nostro io digitale». In questo senso, il film ha davvero aperto una finestra sul futuro: quando Morpheus pronuncia questa frase, si riferisce proprio al fatto che la nostra identità digitale è una proiezione della nostra psiche, con tutte le implicazioni che ciò comporta, in particolare nell’ambito dei social network.

Nessuno di noi è immune a questo meccanismo, ma il suo impatto è ancora più significativo nella psiche adolescenziale. Gli adolescenti, infatti, essendo in fase di sviluppo e maggiormente immersi in questa nuova dimensione fin dalla nascita, assorbono in misura maggiore le caratteristiche di questa realtà.

Se adottiamo questo paradigma, non possiamo più sorprenderci vedendo gruppi di adolescenti seduti insieme in silenzio, ognuno assorto nel proprio smartphone: probabilmente stanno comunicando proprio attraverso quello strumento. Allo stesso modo, non possiamo minimizzare l’impatto del cyberbullismo, poiché gli attacchi subiti online hanno conseguenze reali sulla psiche di chi ne è vittima. Dire a un adolescente di “spegnere il computer” e “pensare alla vita reale” non è sufficiente, perché le offese ricevute in rete sono reali, così come lo è la dimensione digitale, ormai parte integrante della nostra esistenza, parallela e complementare alla realtà fisica e psichica.

L’interconnessione tra virtuale e reale

Questa interconnessione tra le tre realtà spiega perché il virtuale possa infiltrarsi nella psiche, colpendo le fragilità dell’individuo, ma anche nella vita fisica, con ripercussioni tangibili. Un esempio concreto? Una mia paziente, vittima di cyberbullismo, ha dovuto sporgere denuncia dopo che degli sconosciuti, totalmente estranei alla vicenda nata online, avevano iniziato a minacciarla anche nella vita reale.

Tuttavia, non esiste solo il lato negativo della rete. L’interconnessione virtuale permette anche ai professionisti della salute mentale di raggiungere adolescenti che tendono all’isolamento, come nel caso degli hikikomori, per i quali il mondo digitale rappresenta una finestra di contatto più sicura e meno minacciosa rispetto alle altre due realtà. I social e i giochi di ruolo online offrono uno spazio in cui questi ragazzi si sentono più a loro agio, consentendo un primo aggancio terapeutico che altrimenti sarebbe difficile da ottenere. A questo proposito mi viene in mente una scena finale di un altro film, ovvero inception, dove il protagonista cerca di raggiungere un uomo incastrato in un mondo onirico virtuale e che per essere svegliato dal suo torpore deve essere necessariamente ritrovato all’interno del suo sogno, affinché gli si possa far tornare a mente che la sua identità virtuale non è per forza sovrapponibile alla sua identità reale.

In conclusione, possiamo dire che esiste un’intimità fisica e un’intimità psichica, come quella che si sviluppa nel rapporto terapeutico, allora può esistere anche un’intimità digitale. Ed è proprio su questo livello che possiamo lavorare per raggiungere e aiutare gli adolescenti che soffrono, quando gli altri due canali si rivelano insufficienti.

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Commenti su "Virtuale è reale? Gli adolescenti connessi a Matrix"

  1. Ho letto con interesse l’articolo perchè sono molto attenta ai giovani e al loro mondo. Sono in pensione da tre anni, e i miei ultimi anni di insegnamento hanno coinciso con il covid e con la nessità di apprendere a fare le lezioni online. Insegnavo sociologia politica all’Università al corso di laurea magistrale in Servizio Sociale e utilizzavo il primo quarto d’ora per raccogliere le sensazioni dei miei studenti su questo modo dicomunicare solo virtuale. Allora mi fece pensare molto laloro risposta, in linea col suo articolo, in quanto sostenevano che per loro il mondo fisico e ilmondo virtuale erano due aspetti ugualmente importanti dellaloro vita. Anzi ricordo uno studente che mi disse di aver subito episodi di bullismo virtuale al liceo e di sostenere che il bullismo virtuale era peggio di quello fisico perchè in nessun modo ci si poteva sottrarre, non serviva cambiare scuola o altri modi per sfuggire.

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  2. Sono importanti queste considerazioni poiché mettono l’accento sulla conoscenza di un nuovo mondo e nuove “realtà” che la società odierna preferisce spesso negare o demonizzare tout court. L’occhio di bue poi sull’adolescenza è fondamentale e terapeutico per l’intera popolazione considerando che proprio in quella delicata fase si gioca nella plasticità neuronale molto della salute di quello che sarà l’adulto.

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  3. Il Morpheus citato da Giuseppe Caserta ci dà un compito impossibile: “dammi una definizione di reale”. Si può, è vero, considerare ciò profetico, rispetto a quanto accade nella nostra era digitale: eppure è anche un quesito di sempre. Come oggi il digitale, anche la lettura ha avuto ed ha la doppia faccia di potente strumento di conoscenza ma anche di possibile alienazione. Il protagonista di “Mondo di carta” di Pirandello, divenuto quasi per nemesi cieco, ha dovuto assumere una lettrice, ma la contestava quando lei contrapponeva le proprie esperienze vissute a quelle libresche di lui.
    Ben più radicalmente affrontava la questione Immanuel Kant: inaccessibile la “cosa in sè”, il noumeno. Solo fenomenico, dunque, il rapporto di conoscenza: le sue stesse categorie fondamentali, spazio e tempo. sono proprietà del nostro apparato conoscitivo. non di un noumeno che è solo pensabile, mai conoscibile. Incidentalmente, questo è un attacco radicale a ogni religione positiva.
    A questo punto, si può ritenere il digitale come momento di crisi che non crea un problema nuovo ma ne ri-attualizza uno di sempre.

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