Vaso di Pandora

Vermeer visto in chiave neurofisiologica

Un articolo apparso qualche giorno fa su Repubblica dal titolo Vermeer ci ipnotizza con la sua “Ragazza con l’orecchino di perla”, ora lo dice la scienza” parla del celebre dipinto, cercando di offrire una chiave neurofisiologica al fascino che il quadro emana: ha sottoposto venti volontari ad opportuni esami mentre guardavano l’opera.

I movimenti oculari guardando un quadro di Vermeer

I ricercatori hanno rilevato i movimenti oculari, le immagini RMN, i tracciati EEG. I movimenti oculari hanno mostrato che lo sguardo si muoveva ripetutamente fra i tre vertici del  triangolo virtuale costituito dall’orecchino, dall’occhio sinistro, dalla bocca. Contemporaneamente, RMN ed EEG evidenziavano una iperattivazione nella regione del precuneo, situata nella faccia mediale dell’emisfero, al confine fra il lobo occipitale e il parietale: come sappiamo, aree interessate rispettivamente all’elaborazione della visione e dell’esperienza propriocettiva, che ci informa fra l’altro su posizione e movimenti dei nostri organi e arti, comportando anche un contributo allo strutturarsi dello stato di coscienza che anche di questi dati percettivi si nutre.

L’integrazione di queste attività sarebbe fondamento dell’esperienza estetica, fino a quell’estremo della cosiddetta sindrome di Stendhal con turbamento dello stato di coscienza. Non ho la preparazione tecnica per valutare la validità di questa ricerca (potrei solo rilevare che, se la RMN ci fornisce fedeli immagini dell’encefalo, per i dati sul suo funzionamento sarebbero forse più indicati esami come la PET  e la SPECT, peraltro più impegnativi). All’esperienza estetica più intensa viene attribuito uno status che ricorda quello ipnotico, o magari quello che si ricerca nella EMDR.

Empatia e intelligenza artificiale

Cambiando argomento: una ricerca vuol misurare l’empatia con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, ricavando spunti dalla dermatologia e fornendo implicazioni per la pratica medica. Si impiega la ESHCC – Scala per l’empatia per la comunicazione uomo-computer – con pazienti affetti da sindrome di Ekbom (parassitosi immaginaria). Essi vengono trattati tramite vari chatbots – da ChatGPT a  Google, Bard, Google: si misura la risposta empatica ai vari trattamenti.

Argomenti diversi ma sfondo comune: è un  tentativo, non nuovo ma mai del tutto riuscito,  di superare il divario epistemologico fra la realtà esterna e quello che chiamiamo o chiamavamo mondo interno: ambiti che ininterrottamente esploriamo con modalità e risultati diversi.

Già parecchi secoli prima Eraclito scriveva “Unico e comune è il mondo per coloro che sono desti”; mentre nel sogno ognuno ha il proprio, personale e meno affidabilmente  comunicabile. 

Il rilevamento dei dati di base

Più di recente  – ma non molto – Karl Jaspers nella parte del suo “Psicopatologia Generale” dedicato al rilevamento dei dati mentali di base faceva notare che non abbiamo accesso diretto ai contenuti mentali dell’altro: li desumiamo tramite una serie di indicatori, da quelli espressi col linguaggio fino alla mimica e alle risposte neurovegetative. Credo si ispirasse a Wilhelm Dilthey, con la distinzione fra scienze dello spirito e scienze della natura.

Non sono mancati, da sempre, i tentativi di estendere alle prime le metodiche delle seconde con le loro caratteristiche, in primo luogo la misurabilità che è indispensabile fonte delle elaborazioni quantitative: vedi i test mentali e le scale come la Hamilton, con ricadute utili ma sempre parziali.

Oggi il tentativo si rinnova, sostenuto dai progressi delle neuroscienze e quelli non meno importanti del digitale fino all’intelligenza artificiale: tentativo ambizioso ma ancora molto impegnativo, che preannuncia sviluppi importanti ma anche il rischio di false vie. Ma questo è sempre stato il rischio di tutte le esplorazioni.  L’importante è che, nel nostro mestiere ma non soltanto, non si smarrisca la dimensione del rapporto fra persone.

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