Vaso di Pandora

Trauma e disturbi dissociativi

Oggi assistiamo alla ripresa di un grande interesse per i problemi legati al trauma, all’abuso e ai disturbi dissociativi. Incontriamo, sull’argomento, sempre più saggi scientifici e clinici, convegni e congressi, associazioni e siti web, scale di misura e interviste semi-strutturate per la ricerca empirica sistematica, tecniche terapeutiche. La caratteristica essenziale dei Disturbi Dissociativi è la sconnessione delle funzioni, solitamente integrate, della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente” (A.P.A., 1994).

Nella maggior parte dei casi di dissociazione, diversi schemi e rappresentazioni del Sé devono essere mantenuti in compartimenti mentali separati, poiché essi sono in conflitto l’uno con l’altro. I ricordi del Sé traumatizzato devono essere dissociati poiché non possono coesistere con il Sé della vita quotidiana che appare in possesso di pieno controllo. Sembrerebbe  che la dissociazione abbia un valore adattivo come risposta a gravi traumi, e soprattutto nei bambini, consentirebbe una via di fuga da una situazione altamente conflittuale.

L’importanza della formazione sui disturbi dissociativi

Negli ultimi anni, la ricerca e l’esperienza clinica hanno riconosciuto in modo crescente l’importanza dei fenomeni dissociativi nella formazione dei disturbi psicopatologici conseguenti a gravi traumi psicologici. La dissociazione viene da più parti vista non più solo come un sintomo associato ai disturbi post-traumatici più gravi, ma come la manifestazione di una organizzazione psicopatologica della personalità. Sia la rimozione che la dissociazione sono meccanismi di difesa e, in entrambi, i contenuti della mente sono banditi dalla consapevolezza. Essi differiscono comunque per le specifiche modalità attraverso le quali sono trattati i contenuti mentali.

Con la rimozione, per definizione, il materiale è relegato nell’inconscio, quell’area della vita mentale che non può essere resa consapevole, nemmeno per scelta volontaria” e ciò implica una divisione orizzontale, in cui “ciò che è conscio si trova sopra e ciò che è inconscio è messo sotto; in mezzo vi è una barriera che separa le due parti”. Nella dissociazione i contenuti non sono relegati nell’inconscio ma “si suppone possano esistere in parallelo, in una specie di co-consapevolezza, oppure si può pensare che siano accessibili alla consapevolezza considerandoli localizzati nel preconscio. La divisione qui non è orizzontale come nella rimozione, ma piuttosto verticale, tra settori dell’esperienza conscia, separati da quella che Hillgard definisce una barriera dissociativa” (Lerner, 2000).

La dissociazione non può esser sempre considerata patologica

Sul piano descrittivo, la dissociazione non è un processo che può essere sempre considerato patologico e brevi esperienze di stati alterati della coscienza e del senso di Sé sono rintracciabili in alcuni ambiti della nostra quotidianità. I processi dissociativi concorrono ad organizzare la soggettività in ambiti di significato distinti; se i confini tra questi ambiti si irrigidiscono, i processi dissociativi possono dare vita a sintomi o a psicopatologia severa, sia, ad un primo livello, creando un’impossibilità di comunicazione tra diversi significati della propria esperienza di sé e delle relazioni, sia, ad un secondo livello, nel rendere impossibile l’accesso ad alcuni significati troppo angoscianti e mortificanti che quindi, oltre a non essere in comunicazione con altri aspetti del funzionamento mentale, rimangono primitivi e grezzi.

Studiando i pazienti vittime di abuso parentale, Davies (DAVIES, J. M. 1996pp. 189-218.1996, pp. 553-577.) propone di definire come traumatica la dissociazione patologica, che dipende da esperienze fortemente traumatiche. La dissociazione traumatica nasce da un’alterazione della struttura psichica, determinata dall’esigenza di integrare rappresentazioni inconciliabili e contraddittorie di Sé e dei genitori (per esempio Sé come buono e Sé come abusato, e i genitori come accudenti e come abusanti).

Teoria di Bromberg: la relazione come possibilità di integrazione

Tra i più importanti autori che si sono occupati in modo sistematico del tema della dissociazione spicca Bromberg (1998). Egli presenta una teoria clinica che fa del concetto di dissociazione il pilastro portante. Nella sua ipotesi la mente all’origine non è unitaria ma nasce come una molteplicità di stati discontinui e discreti. Nel funzionamento sano della psiche vi è una dialettica continua tra separatezza e unità di questi stati, che permette ad ogni versione di sé di funzionare in maniera ottimale senza precludere comunicazione e negoziazione tra di essi. L’individuo non è consapevole dell’esistenza di stati multipli e separati del sé, in quanto,  ciascuno di essi funziona come parte di una sana illusione di identità personale, uno stato esperienziale e cognitivo sovrastante, esperito come “me”.

La dissociazione è un mezzo attraverso il quale un essere umano mantiene la continuità personale, la coerenza e l’integrità del senso del sé

È solo quando questa illusione di continuità diviene troppo pericolosa per essere mantenuta, nel momento in cui emozioni e percezioni tra di loro incompatibili richiedono di essere elaborate all’interno di una stessa relazione e questo processo va oltre le capacità dell’individuo di contenerle in un’esperienza unitaria, allora ad una di esse viene negato l’accesso alla coscienza. L’esperienza che ha generato l’emozione o la percezione incompatibile viene dissociata e rimane semplicemente presente come dato crudo, che non può essere elaborato cognitivamente all’interno della rappresentazione di sé con l’altro, essa non può essere processata simbolicamente e affrontata come uno stato di conflitto.

I disturbi dissociativi per auto difesa

Bromberg pensa che la dissociazione protegge l’individuo dalla frammentazione e reintegra un senso di coesione staccando gli stati incompatibili del sé e permettendo loro di accedere alla coscienza solo come esperienze mentali discontinue e non narrate consapevolmente.

Il modello dell’apparato psichico proposto da Bromberg, non si organizza in senso psicoanalitico classico, grazie all’opera della rimozione, ma sulla base di processi dissociativi. Infatti la prospettiva relazionale di Bromberg non concepisce un modello della mente caratterizzato da tre istanze (Conscio, Inconscio, Preconscio), ma organizzato da configurazioni di stati del Sé molteplici e discontinui, ciascuno con un proprio grado di accesso alla consapevolezza. La visione dell’inconscio presente nella teoria di Bromberg è differente dall’inconscio della teoria classica, luogo delle pulsioni libidiche e aggressive organizzate dai processi mentali al fine di non irrompere nella coscienza personale.

L’idea della molteplicità del Sé caratterizza la visione di un inconscio relazionale organizzato in modo fluido intorno a molteplici configurazioni Sé-altro , in una dialettica continua tra processi associativi e dissociativi. In tal modo non è la rimozione ma la dissociazione a rappresentare il processo difensivo determinante il funzionamento mentale. Secondo Bromberg, l’obiettivo della psicoanalisi non è tanto la ricostruzione del passato del paziente per mezzo delle interpretazioni dell’analista, ma la costruzione delle interconnessioni fra le multiple rappresentazioni del sé, tra la realtà interna ed esterna. Vi è uno spostamento dell’interesse dalla ricostruzione della storia personale del paziente, alle interazioni tra lui e il terapeuta. La psicoanalisi può essere vista come un’opportunità di crescita psicologica. Nella situazione analitica ciò che facilita la crescita del paziente è la possibilità di fare emergere stati regrediti di esperienza in un ambiente relazionale in cui il soggetto si senta abbastanza sicuro.

Le relazioni interpersonali e le esperienze dissociate

Nella concezione di Bromberg le esperienze dissociate non vengono comunicate a parole, ma possono essere osservate nei patterns di comportamento delle relazioni interpersonali. Egli suggerisce che la relazione tra analista e paziente funzioni da “matrice terapeutica” senza la quale il sé non potrebbe emergere. L’analista deve essere attento perciò a cogliere gli stati dissociati del sé che compaiono nella seduta cercando di vedere oltre le parole del paziente, la voce dissociata che cerca di farsi sentire. In questo spazio relazionale si realizzano due narrazioni: una viene raccontata, mentre l’altra, discrepante rispetto alla prima, viene drammatizzata. È a questo punto che la parte dissociata può cominciare ad essere elaborata sempre all’interno dello spazio relazionale.

Il trattamento delle reazioni dissociative acute a un trauma deve tenere in considerazione la difficoltà di integrazione del Sé traumatizzato con il concetto di Sé già costituito e deve muovere cautamente nella direzione della integrazione dei ricordi traumatici, cosi ché l’immagine precostituita possa lentamente assimilare il Sé traumatizzato senza sentirsi schiacciato da esso.

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Commenti su "Trauma e disturbi dissociativi"

  1. Tanti complimenti a Giulia Onori per l’articolo. Vorrei soltanto fare presente che Freud stesso faceva, nei suoi primi lavori (fino al 1892), riferimento ai traumi reali e alla scissione, con conseguente dissociazione come meccanismo di difesa prevalente.
    Di fronte alle rimostranze della società, che non riusciva ad accettare che i comportamenti impropri dei “grandi”nei confronti dei più “piccoli” si fossero verificati nella realtà ( a parte Ferenczi), ipotizzo’ che si fossero verificati in fantasia e che il meccanismo difensivo fosse costituito dalla rimozione. La psicoanalisi piu’ recente, di cui il citato Bromberg è uno degli esponenti più significativi, ha rivalutato e sviluppato le riflessioni originarie di Freud che già in lui erano riemerse con i lavori degli ultimi anni di vita (Analisi terminabile è interminabile etc. etc.)
    Di tutto ciò è molto importante parlare oggi perché Freud e tutti noi, in seguito, abbiamo teso a considerare del tutto diversi i pazienti nevrotici (che rimuovono) dagli psicotici (che scindono). I primi possono essere curati con la psicoterapia, gli altri con le medicine. Alla luce di queste considerazioni, la differenza fra nevrotici e psicotici è legata ad una differenza quantitativa dell’entità del trauma e del conseguente uso della scissione, evidentemente minore nei nevrotici e maggiore negli psicotici. Questo conferma quanto elaborato nelle esperienze in CT: che anche gli psicotici risentono positivamente del modo in cui vengono trattati dagli altri. (Psicoterapia di comunità o istituzionale)

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