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Teriantropia, una questione di “specie”: cos’è e come affrontarla

Con una forzatura la si potrebbe paragonare alle questioni sull’identità di genere, che in alcune persone non corrisponde all’idea che gli altri hanno del loro corpo. Anche la teriantropia infatti segue gli stessi meccanismi psicologici, ma per arrivare a posizioni molto più estreme, rivendicando la non appartenenza al genere “umano”, bensi ad un’altra “specie”, in questo caso animale. Si tratta di un disturbo che viene spesso associato a quei rari casi di depersonalizzazione, solitamente, sbrigativamente, ricondotti alla cosiddetta “licantropia clinica”. Eppure, le identità animali sono piuttosto conosciute all’interno delle comunità non umane cui appartengono gli individui NOHI, “Not Only Human identifying people“.

Teriantropia, origine e significato

Il termine “teriantropia” deriva dal greco “therion”, che significa “animale selvatico”, e “anthropos“, che significa “essere umano”. Il teriantropo è dunque uomo e belva allo stesso tempo. Rispetto al teriomorfismo e all’antropomorfismo, che fanno riferimento a rappresentazioni speculari di esseri immaginari in forma bestiale o umana, spesso con intento religioso o divinatorio, il teriantropismo prevede di tramutare l’uomo in animale e viceversa, per tornare alla condizione esistenziale autentica.

Con la definizione “therians” si dientificano allora tutti quegli individui che sentono dentro di sé un forte spirito animale, con il quale si identificano in parte o totalmente. Questa tipologia di persone si sente custode di una determinata specie, alla quale si sente legata per reincarnazione o elevata affinità. Il concetto è lo stesso dell’animale guida nello sciamanesimo, portatore di saggezza, coraggio e forza.

I teriantropi vivono spesso questa condizione con disagio, convinti di non poter essere capiti dagli altri, quindi costituiscono una sottocultura underground poco conosciuta e molto variegata. Il tratto comune è pero non sentirsi classificabili come totalmente umani.

All’interno delle comunità non umane si trovano anche:

  • gli otherkins, la cui connessione non è animale ma sovrannaturale e che dunque si possono identificare in esseri fantastici come elfi, fate, angeli, demoni, draghi o alieni, oppure sentirsi l’ibrido di più specie
  • gli skin walker, che rifacendosi addirittura ad una leggenda degli indiani Navajo credono che questi spiriti si trasformino in animali portatori di cattivi presagi
  • Furry fan, sono persone che tendono ad assumere le fattezze di animali antropomorfi dediti a varie discipline artistiche

Diagnostica e sintomi

Come accennato in apertura, la teriantropia si presenta come un disturbo psicologico associabile alla depersonalizzazione e in fase di diagnostica si può riconoscere da:

  • una marcata incongruenza tra l’immagine e identità di sè, che il paziente descrive come non-umana, ed il proprio corpo
  • un disagio clinicamente significativo o compromettente delle funzioni sociali e lavorative

Può però anche accadere che la teriantropia non si associ a nessuno stato psicotico o delirante e che il paziente resti pacificamente consapevole di avere un corpo fisico umano.

Dal punto di vista della sintomatologia, il teriantropo, può trovarsi a manifestare:

  • disforia di specie: depressione e stress legati alla sensazione di “essere nel corpo sbagliato“
  • arti fantasma: sensazioni dolorose legate ad arti che non possiede e che vorrebbe avere
  • pensieri e bisogni sociali differenti: desiderio di essere vicino socialmente alla propria specie, come vivere in branchi o in greggi o alimentarsi con carne cruda
  • ricordi della vita passata: convinzione che la propria identità sia connessa ad una vita passata
  • nostalgia di “casa”: impulso a tornare verso un luogo vissuto in una “vita passata”, percepito come la propria casa naturale

Come affrontare la teriantropia

I teriantropi sono perfettamente consapevoli dello “spostamento mentale” che hanno subito, ma spesso avvertono l’esigenza di sentirsi meno “umani” e più “animali”, così cercano posti sicuri dove poter “essere se stessi”, emettendo suoni anziché parlare, mutando il linguaggio del corpo, piuttosto che correndo a perdifiato in spazi aperti. Addirittura alcuni pazienti arrivano a raccontare di sentire di avere in quei momenti sensi più sviluppati e la sensazione di essere “nel presente”, senza avvertire preoccupazioni per il passato o il futuro.

Non si tratta dunque di una completa perdita di controllo e solitamente la persona è in grado di contrastarla da solo, anche se questa operazione è raccontata dai pazienti come estremamente faticosa e ansiogena, mentre coloro che sono riusciti a ritagliarsi degli spazi in cui poter dar sfogo al proprio “spirito animale” o che hanno trovato il modo di vivere in simbiosi con la specie in cui si identificano mostrano livelli di stress molto più bassi.

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