Vaso di Pandora

Riflessioni sul femminicidio

Bisogna riconoscere in via preliminare una certa tendenza, soprattutto da parte dei mass media, a semplificare fenomeni complessi (come sono i femminicidi), con spiegazioni “generiche” inerenti ora l’omicida (il “raptus”, un momento di “follia”), ora aspetti socio-culturali (il “machismo” che ritiene la donna un “possesso”), che spesso fanno solo da sfondo a queste vicende; appare chiaro che in realtà stiano parlando di fenomeni plurideterminati, che come tali meriterebbero certamente analisi più approfondite.

Intendo dire che accomunare fenomeni differenti sulla base unicamente di aspetti comportamentali (in questo caso l’omicidio di una donna), richiederebbe come minimo un accordo sulla definizione del fenomeno in questione (parliamo dell’uccisione di qualsiasi donna?, solo di quelle compiute dal partner o ex partner?, da qualsiasi aggressore? etc.) e soprattutto non rende evidentemente giustizia all’estrema varietà delle storie, dei percorsi personali e in alcuni casi delle derive patologiche che sottendono a questi fenomeni. In questo senso sarebbe più appropriato parlare di diversi tipi di “femminicidio”, escludendo la possibilità che possa esserci una sola tipologia di tale fenomeno.

D’altro canto di fronte a episodi di perseverante e talvolta inaudita violenza è difficile non pensare che esistano alla base di questi fenomeni motivazioni più profonde di semplici condizionamenti culturali.

Per cercare di comprendere, in un’ottica clinica, questi avvenimenti appare quindi opportuno allargare l’orizzonte spostando l’attenzione dal “raptus” (concetto che per altro non trova spazio in nessun trattato di psicopatologia) alla vittima e a tutte le persone che a qualche titolo ruotano intorno a queste storie, cercando di ricostruire quindi scenari più ampi.

Nei giorni scorsi hanno trovato spazio sui mass media ampi stralci dell’interrogatorio di Filippo Turetta alla prima udienza del procedimento a suo carico presso il Tribunale di Venezia per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Si tratta come è noto di un recente femminicidio che per la sua efferatezza, per le caratteristiche dell’omicida e per l’atteggiamento composto dei familiari della vittima ha avuto ampia risonanza nei mesi scorsi nell’opinione
pubblica. Penso in particolare che abbia colpito il fatto che Turetta non corrisponda al prototipo del “mostro”, del “folle” e neppure della persona emarginata cresciuta in un contesto socioeconomico sfavorevole o violento. Viene piuttosto descritto come un normale giovane di 23 anni, di buona famiglia, senza precedenti antisociali: come si dice il “ragazzo della porta accanto”. Che un ragazzo apparentemente “normale” possa uccidere la fidanzata con 75 coltellate sembra mettere in discussione molti preconcetti e obbliga tutti a riflettere su concetti come “normalità” e “follia”.

Appare utile per il nostro ragionamento, pur nella frammentarietà delle informazioni riportate sui quotidiani o nella rete, riportare alcune delle affermazioni espresse da Turetta durante l’interrogatorio in aula; innanzitutto è opportuno sottolineare che lo stesso afferma a inizio interrogatorio, pur avendo già presentato una memoria difensiva, di “voler raccontare tutto quello che è successo” con intento “liberatorio”; afferma di aver voluto uccidere Giulia perché “non voleva tornare con lui e per questo (lui) provava risentimento, rabbia, non lo so…”. Esprime tutta l’ambivalenza del
suo stato d’animo al momento del fatto dicendo che in questo ultimo appuntamento era sua intenzione “stare ancora un po’ insieme e farle del male…”, in una sorta di tragica fusione tra sentimenti di odio e amore.

È utile ricordare che nella storia della loro relazione non si fa menzione di tradimenti, gelosia o di altre relazioni sentimentali; all’apparenza ci sarebbe solo l’incapacità di Turetta di accettare l’interruzione del rapporto con Giulia, la quale afferma di non sopportare più una relazione così esclusiva, soffocante e vorrebbe trasferirsi per studiare in altra città. Quando all’imputato viene contestata la premeditazione, che sembrerebbe
confermata dagli oggetti trovati nella sua auto (coltelli, scotch, forbici, teli, etc.) e dai siti della rete da lui visitati i giorni prima dell’omicidio, Turetta riconosce di aver preparato una lista di oggetti utili per il suo intento criminale e che “ipotizzare questa lista lo tranquillizzava…”; incalzato dall’accusa riconosce di essere stato “troppo dipendente, ossessivo nei confronti della ragazza…

Lei era meravigliosa, splendida veramente e tante altre cose belle”.

Durante tutto l’interrogatorio Turetta non nomina mai Giulia per nome; a tal proposito dice: “alcune volte la nomino, altre non riesco. Non so perché, non ce la faccio proprio”. Non è dato di capire dalle parole di Turetta che cosa pensasse realmente Giulia e per quale motivo abbia accettato un ultimo incontro; è possibile immaginare che ci fosse in lei il desiderio di spiegare a Filippo per un’ultima volta i motivi della sua scelta, cercando di fargli accettare con ragionevolezza ciò che Filippo non voleva o forse non poteva accettare. Di certo la sua scelta si rivelerà fatale.

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