Vaso di Pandora

Recensione del libro “Vite attese” di Silvia Rivolta

Vive, l’autrice. Vive e attende. Nel libro “Vite attese” lo fa circolando con attenzione nella vita dei suoi personaggi, figlie e madri, pazienti e medici, ”matti” e “dottori dei matti”. E dialoga con quelle vite che i personaggi raccontano ma anche con quelle che sono nascoste tra le parole dei loro racconti, e che non riescono a dire, o che semplicemente l’autrice ci offre come ipotesi di lettura, come possibili segreti.

Le tante storie di “Vite attese”

Così il lettore, me per esempio, attraversa vari e contemporanei luoghi, case, giardini, ambulatori, auto, e attraversa svariati tempi: quelli del presente di una donna che cerca maternità ,di un’altra che cerca cura, di un uomo che cerca perdono, di un altro che cerca il desiderio che ha smarrito. E poi attraversa i tempi del passato, di chi non può separarsi dalla sua infanzia, o dalle tragedie della sua storia, e ancora di chi ha bisogno di ritornare ad esso per poter continuare a vivere. Attraversa quei tempi che non hanno una collocazione lineare ma percorrono a spirale il senso delle loro (nostre) vite, in cui inconscio, destino, fato sembrano tracciare rotte ed approdi.

E noi viaggiamo con l’autrice, che certamente è dentro ogni storia, e con i personaggi che ci presenta, talvolta smarriti, talvolta increduli, talvolta in attesa con lei, verso il capitolo successivo, che curiosamente ci sorprende.

Sì perché ci sorprende la vita che c’è dentro e oltre la morte, ci sorprende il sollievo che si nasconde dentro il dolore, e ci sorprende ogni gioia che prende forma oltre oscure immagini oniriche e oltre quei fantasmi che i personaggi (e noi con loro) portiamo dentro.

Un viaggio nelle emozioni

Questo nostro viaggiare con lei, Silvia Rivolta, e i suoi personaggi, segue ritmi diversi: talvolta siamo spinti a contare con lei, uno, due, tre, quattro e ci sentiamo come i semi che butta nella terra. In attesa di margherite insperate. E il nostro vivere diventa ossessivo, impaurito, rituale.
Talvolta percorriamo lenti un pensare e sentire che vuole ricordare e ricordarci che non possiamo dimenticare, forse vorremmo, forse urleremmo al mondo il peso dei ricordi, del passato, ma siamo vicini ad esso più di quanto il presente sia capace di rappresentarci.

A volte c’è un rumore sordo e fondo che ci avvolge e noi siamo dentro il rumore, e siamo scomposti, spezzettati, come i fatti cui non diamo senso.
Talvolta il racconto si arresta e noi con esso.

Ci fermiamo perché l’emozione si arresta, alle volte il dolore o la paura ti obbliga a non procedere ed è già tanto se non scappi, da te stesso, dagli altri, dalla vita.
Così dopo un silenzio, una pausa senza la quale non esisterebbe musica, riprendiamo a suonare la melodia che l’autrice compone, moderna, antica, alle volte fatta di improvvisazioni jazz.

Siamo in attesa, anche noi come i personaggi, non tanto di conoscere cosa accadrà quanto che quell’emozione riprenda vita, di nuovo, ancora, nonostante, persino, oltre.
E così accade.

Insomma proprio un romanzo, un bel romanzo.
Da leggere.
Ma anche un invito a vivere.

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