Commento all’articolo “Madri disperate di figli violenti: Botte, Tso, dovrebbero essere curati ma noi siamo lasciate sole e loro solo imbottiti di farmaci” apparso su La Repubblica l’8 ottobre 2023
Il tumulto adolescenziale di passioni perturbanti non è certo una novità dei nostri giorni. Ce ne offre, nel 1906 – anni dello sviluppo della psicanalisi – un Robert Musil ventiseienne nel romanzo breve “I turbamenti del giovane Torless”, forse di ispirazione autobiografica. Certo non c’erano i social: le chat, a tratti francamente torbide, si svolgevano per contatto diretto nella obbligata promiscuità – che poteva sfiorare la fisicità, violenta o erotica o entrambe – imposta dalla convivenza nel ristretto ambiente di un collegio militare. Questa istituzione, ovviamente, imponeva la segretezza e un ordine apparente. E’ solo questo che è cambiato da allora? Nel bene, nel male o in entrambi?
Torniamo all’articolo.
Oggi la violenza, a tratti francamente perversa, non trova più sufficienti ostacoli esteriori. E colpisce, in questa odissea di madri che si sentono sole e poco aiutate da risposte di Servizi spesso poco adeguati, la sostanziale assenza di riferimenti a figure paterne, citate di striscio e solo come partecipanti a richieste di aiuto che non raramente cadono nel vuoto.
Si ripropone, qui in forma drammatica, il discorso sulla assenza del padre già propostoci, fra gli altri, da Massimo Recalcati. Il declino della figura paterna viene da lontano.
Albert Camus ne “L’homme revoltè” del 1951 tracciava un percorso antiautoritario, personale ma anche storico in quanto specifico del nostro tempo. Il suo discorso ha portata generale, universalmente umana; ma forse non è un caso che provenga da un francese “pied noir” nato e abitante in Algeria, crocevia del lungo e sanguinoso conflitto identitario e liberatorio che ben conosciamo.
Di fatto, mi pare che un rifiuto dell’Autorità si possa tracciare già a partire dalla Riforma protestante (non a caso così denominata), e che si sia imposto con la guerra di indipendenza americana e con la rivoluzione francese (pur con le ambiguità e le retroazioni che hanno posto la Francia nelle mani di un Imperatore). A dire il vero, gli inglesi già più di un secolo prima avevano decapitato il loro re Carlo primo, ma secondo il loro costume non avevano fatto di ciò una ideologia: hanno tuttora una monarchia, sia pure alimento dei tabloid.
La parentesi autoritaria dei fascismi ha, dopo la loro sconfitta, sollecitato in reazione una ulteriore accentuazione del rifiuto di una autorità sentita – con ogni ragione – come arbitraria, violenta, pericolosa. Non dimentichiamo come ciò ha alimentato anche il doveroso cambiamento dell’intervento psichiatrico pubblico.
Su un piano non politico ma microsociale, la psicanalisi – o piuttosto un suo fraintendimento – sottolineando il fondamentale ruolo di un background istintuale inconscio e il suo ruolo nello strutturarsi delle istanze etiche poteva aver contribuito a depotenziarle, certo ben al di là delle intenzioni di un Freud sostanzialmente rispettoso dell’ordine (a differenza di un Reich).
Sul piano della divulgazione e dell’impatto sul pubblico, è stato poi importante Benjamin Spock, pediatra americano operante nei decenni 50- 60 e sostenitore di una educazione molto permissiva e antiautoritaria; orientamento che ebbe grande successo nell’atmosfera politico-sociale di quegli anni, anche al di là degli intendimenti dell’autore che successivamente corresse alquanto il tiro. Si può pensare che tale successo fosse favorito anche dalla conseguente rasserenante deresponsabilizzazione della figura paterna, tradizionalmente portatrice di regole e norme: bastava lasciar fare al bambino e all’adolescente, che non turbati da divieti e imposizioni avrebbero trovato da soli la loro strada (sto estremizzando questo orientamento). Ciò consentiva di eludere la componente drammatica di un rapporto padre –figlio, da sempre fatto di conflitto ma anche di spinta evolutiva, come esemplarmente narrato nel mito di Edipo ( nonché in un mito parallelo o quasi della mitologia indù su Shiva e suo figlio Ganesh, intriso di crudeltà ma anche di importanti spinte riparative).
Sempre negli anni ’60, va ricordato l’importante ruolo sostenuto dall’esperienza della scuola di Barbiana di Don Milani. Essa fra l’altro ha giustamente messo in crisi il concetto di merito, facendo rilevare come il rendimento negli studi era funzione, più della capacità e impegno individuale dell’allievo, del background culturale offerto dalla sua famiglia. Ciò portava necessariamente a depotenziare – anche se non a escludere – la funzione disciplinare.
Di recente, Zigmunt Bauman ci ha parlato di società liquida, priva di linee guida ampiamente condivise e di strutturazioni psicologiche, sociali, ideologiche definite una volta per tutte. Certo, muoversi nel liquido può dare una sensazione di libertà appagante e confortevole: ma ogni tanto porta ad agitarsi presi dal panico, e allora il potersi aggrappare a un salvagente o a uno scoglio può esser profondamente rassicurante.
Il complicato insieme di movimenti perseguenti la liberazione è stato ed è importante, probabilmente imposto dalla ragione storica e dal corso degli eventi; ma forse si può dire che qualche volta si è buttato il bambino insieme all’acqua sporca.
Credo che in questo contesto alcuni dei padri non abbiano più capito quale era il loro ruolo, e se ne aveva uno; non sono stati capaci di distinguere fra sopraffazione e necessaria funzione di guida. Non sono riusciti a passare da una posizione di autorità assoluta – tutto sommato comoda – al ruolo, ben più complesso e delicato, di chi offre sostegno e orientamento, sicurezza e flessibilità. Nell’incertezza, hanno pensato bene di eclissarsi? Credo valga la pena cercar di ritrovarli.
Può essere, in linea generale, rassicurante il pensare – e ritengo verosimile – che i padri dei ragazzi difficili di cui – di striscio – parla l’articolo non siano un campione rappresentativo dell’intera popolazione dei padri, ma persone particolarmente inclini a eludere le proprie responsabilità. Ma ciò non aiuta una madre lasciata sola con le sue difficoltà.
Il problema ci riporta alla necessità di ridefinire il valore della coppia genitoriale, ammesso che esista ancora.
Ma anche quando c’è la coppia genitoriale il problema è molto difficile perché i servizi sono lenti, scarsi, intermittenti, territoriali, mancano le piccole comunità riabilitative nel vero senso della parola con attività necessarie per la restituzione sociale e non per la cronicizzazione e l’esclusione sociale! Cliniche, case di cure grandi comunità non riescono nella riabilitazione.