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Commento all’articolo “Cognetti, depressione e Chat Gpt”

Un commento all’articolo di Concita De Gregorio “Cognetti, depressione e Chat Gpt” pubblicato da La Repubblica il 22 dicembre 2024.

Non si può dubitare della capacità di Chat Gpt di offrire consigli pratici e operativi per affrontare problemi concreti. Ben più complesso il discorso quando si tratta di emozioni, di sofferenza mentale (psicopatologica o meno) da supportare. Qui è lecito lo scetticismo sulla validità del ricorso all’aiuto di questo strumento, credo necessariamente superficiale, e che potrei addirittura definire ingannevole.

Difficile credere che una macchina sia capace di empatia, necessaria in ogni relazione di aiuto professionale o meno. La comprensione  di  gioia,  sofferenza, speranze, delusioni, timori,  richiederebbe  una qualche forma di reale condivisione, e pertanto la capacità di vivere tali stati d’animo; difficile attribuirla a una macchina, anche perché le emozioni hanno corrispettivi somatici – fisiologici, biochimici-  che presuppongono un organismo simile al nostro.

Se per lontana ipotesi ciò un giorno accadesse – previa una radicale ristrutturazione degli hardware –  allora si che potremmo temere che la situazione sfugga di mano.

Quel genio di Kubrik oltre vent’anni fa preconizzava questi ipotetici sviluppi, con HAL, il computer di bordo, che si ribella mettendo in pericolo la vita degli astronauti…     

Ci sono già proposte di psicoterapia gestita dalla AI, ma di indirizzo cognitivo comportamentale, che pare riduttivo, rinunciando a occuparsi del vissuto, del mondo interno. C’è una storiella: un tale sta cercando la sua chiave alla luce del lampione. Gli chiedono se e certo che sia lì, e risponde: no, affatto, ma la luce è qui.

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