Il lavoro può diventare un’ossessione, e addirittura una dipendenza. Quando parliamo di lavorismo ci riferiamo proprio a questa deviazione. Quando la professione che svolgiamo non è più un ruolo da ricoprire per realizzarci e procurarci i mezzi necessari al mantenimento di una vita degna di questo nome, bensì diventa una gabbia dalla quale non riusciamo a uscire, fosse anche perché non lo vogliamo, la situazione si rende preoccupante. In questo focus, desideriamo approfondire il tema e spiegare di che cosa si parli quando si parla di lavorismo.
Il lavorismo
Con il termine lavorismo indichiamo una forma estrema di dedizione al lavoro, la quale si trasforma in una vera e propria dipendenza da cui liberarsi. L’impegno e la responsabilità professionale, come ben sappiamo, sono valori considerati positivi. Il lavorismo, però, rappresenta uno squilibrio che può influire negativamente su salute mentale, relazioni personali e qualità della vita in generale. Una persona colpita da lavorismo tende a dedicare al lavoro gran parte del proprio tempo, spesso sacrificando altre sfere fondamentali della vita. Si trascura la famiglia, le amicizie e ogni tipo di interesse personale.
La condizione si caratterizza attraverso un’ossessione verso il raggiungimento di obiettivi professionali. Il lavorismo porta chi ne soffre a ignorare i segnali di stress e stanchezza, con il rischio di sviluppare sintomi come ansia, insonnia e burnout. Dove gli altri lavoratori si fermano, concedendo il giusto riposo a corpo e psiche, il lavorista continua, imperterrito, a impegnarsi nella sua professione, facendosene assorbire completamente. Per chi sperimenta questa situazione, il lavoro diventa un rifugio o una fuga da insicurezze, paure o vuoti emotivi. In tal maniera, si trasforma da fonte di soddisfazione a prigione invisibile. La società moderna, contraddistinta da ritmi frenetici ed enfasi sul successo professionale, tende a normalizzare comportamenti associati al lavorismo. Tuttavia, è importante distinguere tra ambizione e dipendenza. Occorre riconoscere i segnali che indicano un rapporto malsano con il lavoro, prevenendo i danni, anche seri, che questo legame troppo forte con il proprio lavoro può causare.
Radici del lavorismo e cenni storici
La storia del lavorismo affonda le proprie radici nei profondi cambiamenti sociali ed economici avvenuti in seguito all’ultima rivoluzione industriale. L’introduzione di modelli produttivi basati sull’efficienza e sulla massimizzazione dei risultati ha contribuito a radicare nella cultura occidentale un forte senso di identità legato al lavoro. Diciamo pure troppo forte. Produttività è ora sinonimo di valore personale. Molte persone vedono la propria realizzazione quasi esclusivamente attraverso il successo professionale. È quel che riesco a produrre che definisce chi sono. Nel corso degli ultimi decenni, il fenomeno si è intensificato per effetto della globalizzazione, delle nuove tecnologie e dell’iperconnessione. I confini tra vita privata e professionale sono sempre più sfumati: gli strumenti digitali, come email e smartphone, hanno reso il lavoro accessibile in qualsiasi momento, aumentando la pressione a essere costantemente disponibili.
In questo contesto, il lavorismo trova terreno fertile. Le dinamiche moderne spingono le persone a vivere in una sorta di modalità produttiva perenne. Di fatto, non ci allontaniamo mai dalla scrivania, neppure quando ci troviamo fisicamente in un altro luogo. Un’altra causa del lavorismo è di natura psicologica. Spesso, questa dipendenza nasce come risposta a difficoltà relazionali e/o emotive. Alcune persone trovano nel lavoro una via per ottenere approvazione sociale, o sfuggire alle proprie insicurezze. Immergersi nel lavoro diviene la loro via di fuga, un modo per non pensare ad altro, tipicamente a qualcosa che fa male. Comprendere l’origine del lavorismo è essenziale, in terapia, al fine di consentire al terapista l’intavolazione di una adeguata strategia.
Si può dipendere dal proprio lavoro?
Sebbene possa apparire strano, è in realtà possibile sviluppare una vera e propria dipendenza dal lavoro. Non a caso, il lavorismo viene associato alle dipendenze comportamentali. Proprio come avviene con le sostanze stupefacenti, la dipendenza da lavoro si caratterizza per un comportamento compulsivo e incontrollato. La differenza principale sta nel fatto che, mentre l’alcol o altre sostanze sono notoriamente nocivi, il lavoro è invece percepito come positivo e il lavorismo viene addirittura incoraggiato. Questo può rendere più difficile identificare e affrontare il problema.
Tra i segnali che indicano il lavorismo troviamo la difficoltà a staccarsi, anche solo temporaneamente, dalle attività lavorative; il pensare costantemente al lavoro, anche fuori dall’ufficio, e il percepire un senso di colpa, o inutilità, durante i periodi di riposo. Chi ne soffre può isolarsi progressivamente dagli altri o trascurare i propri cari in favore di orari lavorativi sempre più lunghi. Questo atteggiamento, naturalmente, mina le relazioni sociali e interpersonali del lavorista. Altri effetti collaterali includono problemi fisici e mentali. Lo stress cronico associato al lavorismo contribuisce all’insorgenza di disturbi quali ipertensione, malattie cardiovascolari, depressione e ansia. Tuttavia, riconoscere che il rapporto con il lavoro è diventato insano rappresenta già il primo passo verso l’effettiva guarigione.
Come ci si libera da questa dipendenza
Liberarsi dal lavorismo è possibile. Per riuscirvi, occorre intraprendere un percorso che combini consapevolezza, cambiamenti e, se necessario, supporto psicologico. Il primo passo è accettare il problema, una volta riconosciuto. Non sempre vi si riesce da soli. Spesso, occorre farsi accompagnare dall’aiuto di professionisti come psicologi o coach specializzati in gestione del lavoro. Un percorso terapeutico aiuta a comprendere le cause profonde di questa dipendenza e consente l’individuazione di strategie adeguate per ristabilire un equilibrio tra lavoro e vita personale. È bene cominciare dall’adottare abitudini sane. Innanzitutto, fissiamo orari chiari e impariamo a rispettarli, dedicando momenti specifici alla famiglia, agli amici o al tempo libero.
In secondo luogo, iniziamo a cambiare prospettiva. Passiamo da una visione basata sui risultati a una che faccia leva sui valori personali, così da ridurre la pressione costante che alimenta il lavorismo. Non dobbiamo rinunciare alla dedizione, né alla passione per quel che facciamo. Il lavoro deve avere il giusto spazio nella nostra vita, non può prendersene altro. L’obiettivo da perseguire è il benessere psico-fisico globale della persona, non il successo professionale.