Ho proposto al Vaso di Pandora una passeggiata, una piccola passeggiata in quel grande giardino che è il linguaggio, per guardare un po’ da vicino la metafora. Niente di impegnativo, certo, ma con la speranza di aprirci a un cammino più aperto e avventuroso. Ma per ora ci basterebbe arrivare, nella nostra passeggiata, a un punto un po’ più fermo, a partire dalla metafora, anzi dalle metafore.
La definizione di metafora
Partiamo da una prima definizione che Aristotele propone della metafora nella Poetica: «La metafora è il trasferimento a una cosa di un nome proprio di un’altra o dal genere alla specie o dalla specie al genere o dalla specie alla specie o per analogia».
Ok, ci siamo, questa definizione è ancora quella prevalente oggi, se ci chiedono una definizione di metafora questa è quella da dare, e se insistono la definiamo in relazione alla sineddoche e la metonimia, coi loro confini non così definiti.
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A cosa serve la metafora?
Le metafore fanno parte della vita di tutti i giorni, ma alcune sono particolarmente pregnanti e profonde, direi soprattutto quelle che riguardano il nostro corpo e gli aspetti i base della nostra vita.
Di queste forse la più profonda e originaria è il respiro.
Il respiro è la vita, lo dice la bibbia, lo dice la medicina, lo dice il senso comune, “fino all’ultimo respiro”; ma anche abbiamo un sospiro di sollievo oppure ci si è fermato il respiro di fronte a tanta bellezza. E al respiro torneremo.
Ma nel frattempo, mentre ci chiediamo a cosa ci servono le metafore, ci dobbiamo dire che servono a tante cose, a rappresentarci qualcuno, e anche discuterci (sarai uno zuccone…), ma anche condividere un’emozione, mi si stringe il cuore, per esempio.
Una nuova dimensione della metafora
E così, con un balzo, arriviamo ad una nuova dimensione della metafora, che è quella che ci interessa qui: la definizione e rappresentazione della metafora che ci hanno dato nel corso degli anni Lakoff e Johnson, per i quali la metafora è sostanzialmente il modo in cui facciamo esperienza attraverso il linguaggio, o, più direttamente, come dice Paul Auster, la lingua è il nostro mondo di esistere nel mondo.
Facciamo qui una piccola sosta nella nostra passeggiata: se questo è vero la metafora non consiste più in una sostituzione, ma in una unione, o meglio ancora in una convivenza; se dico Giovanni è un leone, nessuno, almeno chi conosce Giovanni, pensa che io conviva con un felino così impegnativo, ma che io stia facendo sentire, sentire e non pensare, a chi mi ascolta, che Giovanni è una persona energica, forte, insomma un leone. Giovanni quindi nel nostro dire, è entrambe le cose.
Ma questo ci apre un mondo, se sappiamo vederlo: noi siamo capaci di questo, siamo capaci di fare un’esperienza di qualche cosa, di qualcuno, in un mondo, che è quello della immaginazione, ma anche della memoria e delle emozioni, con due nature diverse, che coesistono senza contrastarsi, ma anzi ridefinendosi a vicenda, e ognuna si nutre di ciò che siamo e di ciò che per noi significa questa natura.
Se io dico a una ragazza tu per me sei un fiocco di neve non è la stessa cosa se sono un alpinista compagno di viaggio di Messner, o un neonato sopravvissuto due giorni nella neve prima di essere ritrovato
La coesistenza di due nature
Questa coesistenza di due nature Racamier la chiamava ambiguità, e attraverso l’ambiguità potremmo andare verso la dimensione del gioco, ma anche della situazione analitica, per la quale il gioco è così importante. Ma non è il caso di trasformare una passeggiate in una esplorazione, non oggi almeno.
Così torniamo alla nostra metafora preferita, il respiro, e la parola che diventa forma del respiro e della vita, ciò che distingue ciò che è vivo da ciò che non lo è, o non lo è più, e concludendo questa breve passeggiata, incontriamo un metaforare che non è più solo due nature che si incontrano in una parola, qualcosa che ancora ci tiene legati ad Aristotele, ma invece un racconto, o forse meglio un affresco, per quanto animato, in cui la dimensione metaforica si muove, dentro di noi in modo sorprendente. Ma questo è la ragione di esistere della poesia
Infatti, per concludere la nostra piccola passeggiata, vi propongo una poesia di Emily Dickinson in cui la metafora si fa poesia, e amore e parola diventano l’uno metafora dell’altro diventando gioco e racconto, e a loro volta, metafora e gioco di ció che ho cercato di portarvi.
Non ho osato tradurla
We learned the whole of love
We learned the whole of Love
the Alphabet-the Words
A chapter-then the mighty Book.
Then-Revelation closed
But in each other eyes
an ignorance beheld
Diviner than the Childhood’s
and each to each a child
attempted to expound
what neither understood
that wisdom is so large
and truth so manifold
buongiorno
Dedico questa breve passeggiata e Fausto Petrella, che tanto di sé ha dato alla metafora e da cui tanto ho imparato