Vaso di Pandora

Homeless che cercano casa: Housing First come soluzione alla homelessness

Premessa importante

Il senso di questa nota è la grave difficoltà ed urgenza in cui l’équipe di PsyPlus in collaborazione con SMES-Italia si trova nel reperimento di 5 appartamenti da affittare per avviare un progetto, già finanziato sul piano economico, per 10 soggetti Senza Dimora a Roma. Fatta questa premessa, passiamo alla presentazione della specificità e della convenienza anche economica del metodo Housing First.

Housing First

Negli anni ’90 a New York, Sam Tsemberis, uno psichiatra di evidenti origini greche, ha una intuizione tanto semplice quanto geniale. Piuttosto che “riabilitare” faticosamente e con esiti spesso frustranti pazienti psicotici cronici che finivano a vivere in strada, era preferibile ribaltare il percorso e il senso della “riabilitazione” cominciando dalla fine. Quindi si poteva cominciare proponendo “la casa” a soggetti che visibilmente sembravano lontani dalla possibilità di tollerare l’inclusione ed una vita che avesse come base una casa. Infatti, il nostro concetto classico di “riabilitazione” prevede un percorso graduale secondo livelli di competenza crescente, dove le eventuali regressioni o “ricadute” dei pazienti li costringono indietro ai livelli in cui il soggetto è competente. Gli psichiatri sanno bene che la “riabilitazione” è un percorso molto lungo, magari infinito, costoso sul piano economico e spesso frustrante soprattutto per gli operatori chiamati ad arrendersi al deficit che il soggetto in condizioni homeless impone. La soluzione Housing First di Tsemberis, per quanto immediatamente possa risultare una provocazione, rappresenta invece l’intuizione di implicite dinamiche di contenimento, presenti ed attive nella organizzazione sociale in cui viviamo (Tsemberis, 2010). Soprattutto si fonda su funzioni, potenti, che non costano nulla.

Un esempio elementare. Se ci troviamo in una chiesa, è implicito che non penseremo mai di urlare o metterci a saltare. E’ implicito il silenzio e la partecipazione composta condivisa con la comunità dei presenti. Se invece ci trovassimo in una discoteca o in uno stadio sarebbe bizzarro mettersi a pregare o persino rimanere fermi e assorti, mentre sarebbe ovvio urlare, cantare e agitarsi fisicamente. Ovvero, è evidente che ciascuno di noi aderisce e si sente contenuto da impliciti accordi e regole sociali condivise con la comunità a cui apparteniamo (Alain Touraine, 1969, li ha chiamati Garanti metasociali…). Non esiste un percorso graduale di passaggio da casa nostra alla chiesa o alla discoteca o allo stadio… Ognuno di noi è competente ad adattarsi al contesto in cui di volta in volta vene a trovarsi. Inoltre, sappiamo che un soggetto homeless prima che essere un emarginato alla deriva è un soggetto che, attivamente trova nella condizione homeless il suo equilibrio e la condizione migliore in cui può sentirsi funzionare. Sappiamo cioè che, nonostante quello che sembra, per soggetti gravemente traumatizzati o psicotici, la condizione homeless è una raffinata soluzione di sopravvivenza non tanto fisica quanto soprattutto psichica. Nonostante quello che sembra, un soggetto homeless ha profondi scambi col contesto che lo accoglie. Le relazioni sono organizzate sulla regressione, sospensione dei nessi psicosociali e soprattutto sospensione delle relazioni di responsabilità e persino di identità (sociale, e spesso persino anagrafica…). Se osserviamo bene il soggetto homeless è il ragno che cura la tela in cui noi e l’intero sistema sociale che è intorno è potentemente inscritto.

Offrire, quindi, a un homeless una casa, può essere lo step finale di un processo di riabilitazione graduale, oppure la casa, prima che essere il raggiungimento di un obiettivo, può essere un dispositivo che permette e sostiene un processo di recupero di competenze sospese o dissociate.

Per Housing First un soggetto, anche molto grave, inserito in una casa necessariamente potrà godere dei livelli di contenimento ambientale comunque presenti ed attivi nel contesto sociale. La casa, necessariamente impone regole e competenze che comportano responsabilità, identità ed occasioni inevitabili di scambio relazionale. Infatti, è implicito che si debba sottoscrivere un contratto di affitto e per le utenze; ci saranno assemblee di condominio e per la spesa bisognerà conoscere e frequentare negozi della zona. Nell’approccio step-by-step queste responsabilità rappresentano un difficile esame, mentre nell’approccio opposto, ovvero Housing First esse sollecitano comportamenti adeguati impliciti nella organizzazione sociale. Ovvio che il soggetto homeless non viene lasciato solo, ma tutto l’intervento sarà a partenza e centrato  sulle inevitabili sollecitazioni che emergono automaticamente dalla cornice di una casa.

Possibilità e convenienza del metodo Housing First

Non si tratta di un esperimento, ma oramai il metodo conta trent’anni di esperienze in molte parti del mondo: New York, Parigi, Lisbona, Madrid, Amsterdam, Dublino e in Italia vi sono esperienze di Housing First già avviate da anni in diverse città italiane  Milano, Ragusa, Padova, Bologna, Torino… Il metodo dimostra che, il soggetto homeless, spesso anche in condizioni di alta gravità nel comportamento psicosociale, se sostenuto da una piccola équipe può recuperare una competenza a tollerare un inserimento nella comunità da dove, per sopravvivere psichicamente a gravi esperienze traumatiche o alla progressione di processi psicotici, ha dovuto organizzare una fuga.

Inoltre, c’è il problema dei costi che questo tipo di utenza inevitabilmente impone ai servizi socio-sanitari. Per quanto nel nostro sistema di welfare i costi sanitari o sociali non siano quasi mai messi a confronto con altri possibili modelli di spesa, c’è da considerare che un soggetto homeless, nel nostro attuale sistema ha un costo elevatissimo con esiti molto scarsi. Un homeless che presenti gravi problematiche di inserimento sociale, magari per motivi di ordine psichiatrico, costringe molto spesso a sollecitare l’intervento della polizia municipale, se non delle forse dell’ordine, insieme ad interventi delle ambulanze che puntualmente non riescono ad effettuare alcuna assistenza pur non potendosi esimere almeno dal recarsi nel posto dove la cittadinanza sollecita un intervento. Qualora si reputasse inevitabile, l’accompagnamento in ospedale e l’eventuale ricovero in TSO risulta assolutamente inutile e, comunque, un ricovero presso un reparto psichiatrico ospedaliero cosa in media circa mille euro al giorno e un ricovero in clinica convenzionata intorno ai 200 euro al giorno.  Tutto questo senza che si riesca minimamente ad incidere sul problema posto da un homeless che, magari, si scompensa dall’implicito equilibrio che spesso organizza con il contesto sociale che lo ospita. Per non parlare, poi, degli inutili sgomberi che la polizia e i servizi sociali mettono in atto di quando si siano organizzati piccoli gruppi di homeless in contesti residenziali che necessariamente entrano in conflitto con questi insediamenti abusivi e problematici (Vaso di Pandora, 5.7.2023). In queste situazioni la risposta riabilitativa quando possibile riguarda eventuali percorsi in cui i servizi sociali propongono al soggetto Homeless l’acquisizione progressiva di contesti abitativi compatibili. Quindi, gli ostelli, le case alloggio, le case famiglia, magari le comunità terapeutiche fino, in qualche caso fortunato l’accesso ad abitazioni private in cui comunque, il soggetto, è esentato e sostanzialmente non interviene direttamente nella responsabilità di gestione della sua quotidianità.

Dove sono stati realizzati progetti Housing First, soggetti anche con alta gravità comportamentale (ovvero con problemi di alcolismo, dipendenze, disturbi psichiatrici,…) nell’80% dei casi riescono ad organizzare un inserimento nel contesto sociale (Ornelas, Duarte, 2016) ed i costi, ad esempio negli interventi realizzati a Lisbona, sono intorno ai 60 euro al giorno (cifra che si riduce, anche sensibilmente, grazie al possibile e auspicabile contributo del beneficiario, e laddove le case vengono messe a disposizione gratuitamente o a canone ridotto da enti pubblici o religiosi)

Infine: il nostro progetto

Da alcuni anni PsyPlus e SMES-Italia, con l’indispensabile supporto della fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora), lavorano per promuovere soluzioni di Housing First a Roma. Da parte nostra vi è stata una costante formazione di operatori e di ricerca di sensibilizzazione delle organizzazioni assistenziali pubbliche al tema dell’Housing First. Finalmente nei mesi scorsi la Fondazione Enel Cuore e la Banca d’Italia hanno condiviso il modello sostenendo economicamente un progetto che prevede un intervento di Housing First a Roma per 10 soggetti, che vivono da anni per strada in condizioni che spesso richiedono interventi episodici quanto sterili dei servizi sociali e sanitari. Dal 1 settembre è già in corso il lavoro di motivazione e coinvolgimento di questi soggetti nel progetto Housing First con buon esito. Il progetto prevede il loro ingresso in casa entro il mese di dicembre prossimo, ma in una città come Roma veniamo a trovarci in un problema che conoscevamo, e che avevamo messo in conto, ovvero il reperimento degli appartamenti da affittare. C’è da tener presente che in questi casi i proprietari sarebbero pienamente garantiti sia rispetto al pagamento dei canoni di locazione – già coperti dai fondi erogati e dalla stipula del contratto direttamente con l’ente responsabile del progetto – sia rispetto alla gestione della casa (manutenzioni, rapporti con proprietari, condominio e vicini), che verrebbe assicurata dall’équipe di progetto. Ovviamente il problema – che non ci sorprende e che puntualmente emerge anche in altre esperienze – è lo stigma da parte del contesto sociale. In altre esperienze, tale problema viene superato, soprattutto all’inizio, dalla partecipazione di enti pubblici o comunque organizzazioni che abbiano disponibilità immobiliari. A Roma, pensiamo queste organizzazioni potrebbero essere soprattutto ill Comune, i Municipi o il Vaticano, oltre che di enti e fondazioni che dispongono di abbondante patrimonio immobiliare. A tuttora abbiamo grande difficoltà a contattare queste organizzazioni che, siamo certi, qualora contattate sarebbero molto interessate a partecipare al progetto.

Help!

Il senso preliminare di questa nota è che troviamo alta difficoltà nel reperimento dei cinque appartamenti che ci permetterebbero di iniziare il percorso di Housing First per soggetti homeless sostanzialmente motivati al progetto. Chiediamo quindi di essere sostenuti, nei modi possibili, nel reperimento di appartamenti da affittare dove ci sarebbero ampie garanzie sul piano economico e di tutela dell’immobile. Non a caso il metodo Housing First si fonda soprattutto sulla centralità contenitiva di queste responsabilità.

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Commenti su "Homeless che cercano casa: Housing First come soluzione alla homelessness"

  1. In accordo …..punti in comune…spero che non vi lascino soli in un discorso che sento in sintonia sulla responsabilità ma soprattutto sul affrontare un rischio. Assistenza o occasioni di responsabilità?
    Sicurezza o rischio della puzza del vicino, del fallimento, della critica?
    Il consenso se arriva arriva dopo.
    Help
    E se non arriva fate da soli

    Rispondi
  2. Speriamo si riescano a trovare gli immobili per poter avviare questo ambizioso progetto anche a Roma. Le motivazioni che ne garantirebbero l’efficacia ci sono tutte e ben descritte, peccato che la diffidenza umana precede sempre ogni ragionevole occasione di riuscita.

    Rispondi

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