A quattro anni dalla Pandemia del 2020, molte riflessioni sono state scritte sui suoi effetti e sulle dinamiche psicologiche da essa innescate. In questo settembre mi è capitato di leggere delle righe scritte da Joan Riviere, allieva di Melanie Klein e contenute nel libro “Amore, odio e riparazione”. La Riviere osserva che la dipendenza dell’uomo dal suo ambiente è solitamente latente poiché nascosta dietro la percezione di libertà che si respira in una organizzazione socio-politica che offre l’opportunità di soddisfare in larga parte i propri desideri. In altre parole spesso abbiamo la sensazione di stare bene in un mondo così povero di contenuti e valori culturali e politici poiché in genere ci è concesso di muoverci con una certa autonomia.
La consapevolezza della dipendenza
Quando invece, dice Riviere, si realizzano particolari condizioni come terremoti e, nel nostro caso diremo, pandemie, l’uomo ha l’occasione di prendere coscienza della propria vulnerabilità e dipendenza da forza esterne, siano esse umane, naturali o istituzionali. Questa presa di coscienza può essere profondamente destabilizzante, scatenando un desiderio esasperato di indipendenza che esita in una illusione di libertà. Si può dunque rileggere in questa ottica la fenomenologia del negazionismo e del movimento no-vax. Accanto ai meccanismi noti del diniego e della negazione dunque si inserisce questo risveglio della consapevolezza della dipendenza. Il lockdown, con la conseguente limitazione delle libertà personali, ha portato ad una esasperata necessità di riappropriarsi di una libertà percepita come minacciata, alimentando un’aggressività che deriva dall’illusione di poter essere completamente autonomi.
Questa dinamica si riflette in tutti i rapporti di dipendenza, per esempio nelle relazioni. Se da un lato esse rafforzano il senso di sicurezza individuale, dall’altro risvegliano impulsi aggressivi poiché il senso di protezione offerto dalla relazione, necessario e desiderato, minaccia paradossalmente la libertà individuale. In altre parole la mia sicurezza dipende da quella persona o da quella istituzione e questa persona o istituzione, con la loro presenza e relativo legame, mi limitano.
La situazione del paziente nelle strutture sanitarie
Un altro esempio evidente ai nostri giorni e suggeritomi da mie recenti esperienze familiari, si riscontra all’interno delle strutture sanitarie. Qui il paziente si trova letteralmente spogliato e dipendente dalle cure prestategli. In attesa di diagnosi e terapia esso è spiazzato nella sua condizione di malato e l’alienazione dell’esiguo e stressato personale di reparto non lo aiuta a ritrovarsi come persona. La percezione che può derivarne, specialmente in personalità a rischio, è che la scienza addirittura limiti la libertà personale. Se in aggiunta la scienza stessa dimentica la visione biopsicosociale della persona , il rischio è che anche le cure fornite non risultino complete ed efficaci.
La mancanza di integrazione del mondo scientifico con quello di quel particolare paziente può contribuire ad esacerbare le reazioni aggressive innescate dalla dipendenza connaturata alla presa in carico, come dimostrato dai sempre più numerosi fatti di cronaca. L’aggressività si manifesta proprio nei luoghi deputati alla cura ed allargando il campo essa si realizza spesso nei confronti delle persone o delle istituzioni nei confronti delle quali si è in una relazione di dipendenza.
La percezione della dipendenza
In conclusione, la Pandemia ha sottolineato quanto la nostra esistenza sia strettamente legata ad un complesso intreccio di dipendenze, dalle quali spesso siamo inconsapevolmente condizionati. La percezione di queste dipendenze, rivelata ed amplificata da eventi catastrofici come la Pandemia, ha scatenato reazioni psicologiche profonde, tra cui un forte desiderio di autonomia e una rabbiosa rivendicazione della libertà. Tuttavia questa spinta verso un’indipendenza illusoria non solo sfida la nostra sicurezza, ma mette in luce le tensioni intrinseche tra il bisogno di protezione e l’aspirazione alla libertà individuale.
Nelle strutture sanitarie queste tensioni emergono con particolare forza, evidenziando la necessità di un approccio alla cura che non sia meramente tecnico ma che rispetti i criteri di una comprensione più ampia della persona. Solo attraverso un equilibrio tra la sicurezza offerta dalle istituzioni e il rispetto per l’autonomia dell’individuo sarà possibile evitare che l’aggressività generata da tali dipendenze si trasformi in un conflitto distruttivo. La Pandemia ci ha quindi offerto l’opportunità di riflettere non solo sulle nostre fragilità e relative dinamiche interne ma anche su come possiamo costruire relazioni più equilibrate e consapevoli facendo i conti con le forze esterne che incidono su di noi.