Vaso di Pandora

Comunità terapeutica e funzione gamma

Tratto dal Seminario presentato al CRPG di Milano il 20 Ottobre 2023

Le comunità terapeutiche sono dispositivi a finalità curativa che utilizzano la dimensione comunitaria per promuover una molteplicità di attività gruppali ed individuali, strutturate ed informali con lo scopo di avviare percorsi di cura specifici, oltre a esercitare una gruppalità diffusa che caratterizza la vita comunitaria. Sono utilizzate, ormai da vari decenni, per una vasta gamma di disturbi, che vanno dall’abuso di sostanze, ai disturbi gravi di personalità̀, alle psicosi in sub acuzie o cronicizzate, esiste sul tema una vasta bibliografia: Ferruta, Foresti, Vigorelli 2012, Corino, Sassolas 2010, Correale 2006.

Spesso i disturbi dei pazienti in trattamento si presentano in comorbilità, in modo da costituire quadri sintomatici complessi, articolati di difficile diagnosi e ancor di più complessa gestione.

 A fronte di queste prime definizioni piuttosto generiche appare necessario individuare le modalità con cui la comunità̀ possa esplicare i suoi effetti terapeutici.
Da un lato, si sottolinea l’effetto prevalentemente intra soggettivo specifico che si sviluppa nella situazione comunitaria. In questa prospettiva, la comunità̀ viene considerata come un mezzo per giungere a una psicoterapia individuale e facilitarne lo sviluppo in condizioni altrimenti sarebbe troppo difficile e temuta, sia dal paziente che dal terapeuta, viene valorizzato il rapporto con l’operatore di riferimento, si sottolinea la grande importanza di un rapporto più intimo e ravvicinato specifico con un singolo curante, e il rapporto con lo/ la psicoterapeuta, a volte può anche essere esterno al gruppo comunitario.

Al tempo stesso Vigorelli descrive la CT come organismo complesso in cui il percorso di cura definito nello spazio e nel tempo, si articola in varie fasi : un momento iniziale di accoglienza, periodo di prova, processo di valutazione e stilatura di un contratto terapeutico riabilitativo, utilizzando interventi individuali, gruppali (assemblea, riunioni, varie tipologie di gruppi) e interventi con i familiari, una seconda fase di inserimento, attaccamento e avvio al distacco dall’ambiente di provenienza con inserimento nella rete sociale comunitaria. Grande rilevanza è data alla quotidianità̀ e al clima come sfondo operante di integrazione e trasformazione.

Correale (2009) propone per i casi più gravi il permanere nell’organizzazione nella personalità di un grumo di identificazioni primitive, non completamente elaborate che permangono in forma scissa come una sorta di “corpo estraneo” che si   attivano nei momenti di difficoltà attraverso comportamenti impulsivi o nella produzione di sintomi dissociativi. Il gruppo degli operatori visto come organismo unitario può favorire o ostacolare il processo di acquisizione di consapevolezza, da quanto teorizzato, scaturisce la prospettiva che può offrire il lavoro di comunità: questa dovrebbe porsi l’obiettivo di aprire un cuneo, una divisione, una distinzione tra corpo estraneo e soggettività  del paziente, in modo che tra le due parti possa avviarsi un dialogo, una dialettica e non un ignorarsi a vicenda, secondo le distruttive modalità della dissociazione.

  • Psichiatra, Psicoanalista, Socio Didatta I I P G di Milano, Docente Scuola di specializzazione Psicoanalisi di Gruppo Milano

 A tale scopo, l’autore sottolinea tre punti: l’effetto positivo estraniante e rifondante del gruppo-comunità rispetto al contesto originario di appartenenza del paziente, l’effetto positivo delle figure circostanti, pazienti e operatori, che si configurano come vere e proprie personificazioni del mondo del paziente e, infine, l’attivazione di mille piccoli o grandi traumi quotidiani, che possono funzionare come innesco di sequenza fantasmatiche e comportamentali riconoscibili.

Per quanto riguarda il primo punto, è importante richiamare quanto tutta la letteratura sui gruppi ha ripetutamente sottolineato. I gruppi sono grandi apparati capaci in larga misura di indurre una parziale o totale depersonalizzazione di chi entra nel gruppo (Neri 1995, Correale, Parisi 1979).

La moltitudine delle presenze, l’accentazione dei dati percettivi e sensoriali (i corpi, le voci, la fisicità), A questo elemento va aggiunto in senso positivo quello che si può chiamare “lutto” l’entrata in comunità (Correale, Neri 1975). Entrare in comunità, infatti, significa rompere in modo drastico con la vita precedente, accettare una diagnosi di disturbo importante, confrontarsi con l’idea che ci vorranno almeno alcuni mesi per avviare un cambiamento. Significa anche accettare una nuova quotidianità, nuove persone che decidono per te, affrontare il rischio di sentirsi un estraneo tra estranei. Questa doppia situazione – la depersonalizzazione che accompagna qualunque entrata in un gruppo e il lutto fondatore dell’entrata in comunità – fanno si che l’entrata in comunità funzioni come uno shock, una frattura, un elemento di rottura importanti nella continuità della vita, una cesura tra un prima e un dopo.

Val la pena di ricordare una certa concordanza teorica e clinica tra l’ipotesi proposta da Correale e quella formulata da J G Badaracco (2001): L’oggetto che fa impazzire è costituito infatti nell’accezione dell’autore come il risultato della mancata elaborazione d’identificazioni primitive “tiranniche” che permangono scisse nella personalità del paz. come conseguenza di relazioni originarie patogene dominate dalle interdipendenze reciproche, il dispositivo della Psicoanalisi Multi Familiare proposto da Badaracco rappresenta lo strumento specifico per affrontare  la situazione creata dalle interdipendenze, attraverso la partecipazione a questi large Group si può sviluppare la mente ampliata che in altri termini è una declinazione  della funzione gamma in un ambito specifico che è il multifamiliare.

E’ evidente in questa prospettiva la funzione essenziale dell’apparato gruppale per affrontare il difficile compito del tentativo terapeutico all’interno delle CT.

Corrao F. (1981) propone l’attivazione di una funzione gamma del gruppo a conduzione analitica che sarebbe per il gruppo l’analogo simmetrico della funzione alfa dell’individuo.

La funzione alfa proposta da Bion (1962), in analogia con la funzione somatica della digestione, ha il compito di elaborare i pensieri. È una funzione della personalità che opera su tutte le percezioni sensoriali e sulle emozioni.

Secondo l’autore l’attivazione della funzione alfa è un processo che dipende strettamente dal rapporto che il bambino ha stabilito precocemente con la madre o da chi ne fa le veci. Questo rapporto si instaura grazie alla rêverie materna, Bion con il termine rêverie indica la capacità della madre di ricevere le impressioni emotive e sensoriali grezze del neonato, grazie all’identificazione proiettiva, e in seguito di bonificarle in una forma più digeribile affinché la psiche del neonato possa reintroiettarle e assimilarle. Il neonato così può introiettare sia le esperienze emotive rese pensabili, sia un oggetto accogliente e comprensivo col quale identificarsi, sviluppando nel tempo la sua capacità di pensare.

L’adeguato funzionamento della funzione alfa determina, secondo Bion (1962), la formazione della barriera di contatto, ossia una parte importante dell’apparato psichico, costituito dall’insieme di elementi alfa che determinano il contatto o la separazione fra conscio e inconscio.

La funzione gamma proposta da Corrao, corrisponde nel gruppo analitico alla capacità che ha il pensiero di gruppo nel digerire gli elementi sensoriali ed emotivi grezzi (elementi beta) che sono sparsi nel campo gruppale, che vengono poi trasformati in elementi gamma, necessari per la formazione del pensiero di gruppo.

“La funzione gamma è ‘[…]intesa come una variabile incognita, che si può definire l’analogo simmetrico, nella struttura del gruppo a conduzione analitica di ciò che rappresenta la funzione α nella struttura personale” (Corrao, F., 1981, pag. 39).

Pertanto, la funzione gamma nel gruppo analitico tende verso il pensiero, la ricostruzione di senso, la verbalizzazione condivisa di ciò che apparentemente sembra essere solo un’atmosfera impercettibile, ma che è il fondamento del lavoro del gruppo terapeutico.

La funzione gamma eseguirà, quindi, analoghe operazioni trasformative sugli elementi sensoriali ed emotivi del gruppo, generando in tal modo elementi gamma disponibili per la formazione di pensieri gruppali onirici, miti ecc.; per organizzare una barriera gamma atta a distinguere il conscio, dall’inconscio nell’ambito della struttura gruppale (Corrao, F., 1981).

L’attivazione della funzione gamma del gruppo, permette di elaborare gli elementi sensoriali ed emotivi immessi in esso, generando in questo modo elementi gamma necessari alla produzione di sogni e miti di gruppo, allucinazioni di gruppo, memoria di gruppo ecc…

Il gruppo  può dunque avere una sua funzione di rêverie, capace di elaborare gli elementi beta che permangono nel campo gruppale attivati dalle vicissitudini del vivere comunitario .

Corrente (2004) considera la rêverie di gruppo ‘come un fattore della funzione gamma, un fattore fondamentale e fondante, nel senso che è la situazione gruppale a promuovere uno stato di rêverie da dove nasce e si sviluppa la stessa funzione gamma‘ (Corrente, G., 2004, pag. 4).

L’autore vede una funzionalità reciproca tra funzione gamma del gruppo analitico e funzione alfa dell’individuo. Egli mostra come la funzione gamma opera trasformazioni che accrescono la funzione alfa individuale, mediante l’addormentamento momentaneo della funzione alfa.

La funzione gamma opera trasformazioni che alimentano costantemente la funzione alfa individuale, seppure questo processo si attivi mediante la sospensione o meglio direi l’addormentamento momentaneo della funzione Alfa. (Corrente, G., 2004, pag. 3).

Anche Neri C. (2004) rileva, la capacità metabolica del gruppo, intesa come facoltà di ‘disintossicare la mente dell’individuo da eccessive tensioni che vi si possono essere accumulate e che la occupano’ (Neri. C, 2004, pag 138).

La funzione terapeutica del pensiero di gruppo si esplica, pertanto, come capacità di elaborare l’angoscia in presenza di un ambiente accogliente e di una situazione gruppale conviviale.

In sintesi, attraverso le diverse elaborazioni proposte dai vari autori, abbiamo potuto costatare che la funzione gamma del gruppo analitico sta alla base delle trasformazioni emozionali, relazionali della vita gruppale (Corrao, 1998; Grupo Sygma, 2001; Corrente, 2004; Neri 2004).

Dunque l’attivazione dei vari gruppi e della gruppalità allargata attraversa la psiche degli individui e porta delle trasformazioni che possono esser declinate in funzione terapeutica.

Cardine di questa condizione è l’attivazione della funzione gamma all’interno della CT , come proposto nella formulazione di F. Corrao volta  a svolgere l’elaborazione di elementi indiscriminati di natura sensoriale ed affettiva che invadono il campo mentale gruppale, la funzione alfa individuale contribuisce all’attivazione della funzione gamma del gruppo, favorendo l’ elaborazione degli elementi sensoriali ed emotivi immessi nel campo gruppale comunitario  generando in questo modo elementi gamma necessari alla produzione di sogni e miti di gruppo, allucinazioni di gruppo, memoria di gruppo ecc…

La funzione terapeutica del pensiero di gruppo si esplica, pertanto, come capacità di elaborare l’angoscia in presenza di un ambiente accogliente e di una situazione gruppale.

In sintesi, attraverso le diverse elaborazioni proposte dai vari autori, abbiamo potuto costatare che la funzione gamma del gruppo analitico sta alla base delle trasformazioni emozionali, relazionali della vita gruppale (Corrao, 1998; Grupo Sygma, 2001; Corrente, 2004; Neri 2004) a creazione della barriera di contatto importante funzione che permette di attivare l’attività del pensiero.

La funzione gamma quindi in questa accezione contribuisce ad elaborare le intense spinte emozionali a valenza regressiva che consento al gruppo la creazione di miti, credenze e cultura permettendo al gruppo/ Comunità di elaborare emozioni e materiali arcaici indifferenziati, adesivi e residui di percorsi di sviluppo non del tutto elaborati.

Questo modello ermeneutico ed interpretativo ha costituito per molti anni un riferimento culturale e teorico fondamentale per gli operatori delle comunità dando anche ai loro supervisori possibilità interpretative che hanno rappresentato un importante supporto e stimolo per operatori impegnati in un complesso e difficile compito.

Negli ultimi anni però, forse a partire dal dramma della pandemia, alcuni elementi sono emersi a ostacolare e render ancor più complesso il lavoro delle C T.

Il primo è certamente costituito dalla diffusione dell’uso e abuso di sostanze psicotrope negli ospiti degli ambiti comunitari, questa variabile  aggrava lo sviluppo dei quadri psicopatologici sia in condizione di comorbilità che come fattore scatenante / determinante: le così dette psicosi tossiche rendendo ancor più complicata la possibilità dell’intervento terapeutico, la sostanza si pone all’interno del contesto comunitario, come un “ Terzo” tirannico che detta le sue leggi e i suoi tempi, snaturando e a volte demolendo la possibilità di costruire un rapporto terapeutico, le “ ammalianti sirene” dell’ estasi chimica tendono a interferire pesantemente, costituendo un grave bocco alle elaborazioni simboliche necessarie ad ogni percorso di cura.

La dipendenza da sostanze psicotrope rappresenta una condizione in cui esperienza psichica e somatica non convergono, cosicché i processi affettivi non trovano forma, né verbale, né iconica; rimangono piuttosto intrappolati in sensazioni e agiti. Come sostiene Bucci (1997).

Il secondo in parte derivato dal primo è l’interferenza del sistema giudiziario nei processi decisionali della C T che coinvolge sia gli ospiti che gli operatori, tale interferenza agisce in maniera più subdola e meno evidente attraverso atti giudiziari, sentenze, definizioni di “stati” giuridici dei paz. : pericolosità sociale, attesa di giudizio, libero vigilato, arresti domiciliari richiedono l’adempimento di obblighi non del tutto inerenti ai compiti terapeutici: la stesura di certificazioni, relazioni, esposti ed altro, impongono di fatto allo staff curante di assumere un ruolo di vigilanza e controllo che speravamo superato dal quel lontano ’78.

Ci costringe oggi a vestire una divisa che superato il camice non pensavamo diventasse quella del secondino.

L’inibizione della funzione terapeutica non avviene solo attraverso uno snaturamento dei ruoli, delle funzioni, dei mandati e del codice linguistico. già sufficiente.

 Ma anche in maniera meno evidente attraverso l’interferenza che va a determinare sulla natura dei parametri esistenziali fondamentali : lo spazio ed il tempo, la cui organizzazione è necessaria per la costituzione di un campo  atto costituire e a preservare  la funzione terapeutica che classicamente necessita della  organizzazione in un setting definito, constante per favorire  lo svilupparsi del processo terapeutico sia a livello duale: la stanza d’analisi che a livello istituzionale, l’organizzazione del dispositivo terapeutico all’interno delle C T che prevede la definizione di ambiti specifici, dedicati, “neutrali” di definizione dello spazio e del tempo.

Attualmente accade spesso il gruppo degli operatori invece che organizzatore del processo terapeutico e garante dello stesso, venga costretto a snaturarsi perché spazio e tempo vengono organizzati da altre istanze e in qualche modo degradati: il tempo diventa quello scandito dalla disposizione giudiziaria: “dottore finita la prescrizione non resterò certo qui”.

E anche la determinante spaziale, il luogo della C T invece che ambito di cura diventa uno spazio  alternativo alla pena detentiva,  organizzato dalla giurisprudenza e da dispositivi normativi portatori di altri linguaggi, generati da altre istituzioni, con mandati completamente diversi da quello della cura; l’arrivo in C T non è più  frutto di una scelta seppur sofferta, maturata nell’ ambito dei servizi invianti e della famiglia, ma una “opportunità” prescritta in ambito giudiziario a cui operatori ed utenti devono uniformarsi.

Questo snaturamento del clima che si respira nelle CT costringe a una sorta “iperrealismo”, di sincretismo gestionale estremamente concreto, rigido attivato da ordinanze e scadenze giuridiche, un sorta di risveglio forzato che opposto all’ensonanza inibisce lo sviluppo della funzione gamma.

Riprendendo Corrente elementi   – gamma saturano la mentalità del gruppo terapeutico e limitano la capacità di ripulire il campo da elementi insaturi e indifferenziati.

Questa paralisi del funzionamento del gruppo si consolida in comportamenti affaccendati, poco pensati, con scarse capacità di riflessione sulle dinamiche personali, gruppali e familiari in questa atmosfera prevalgono gli agiti, le personalizzazioni e i conflitti.

La difficoltà del gruppo a dispiegare la sua funzione terapeutica di bonifica di elementi indifferenziati e sincretici aumenta la possibilità di agiti violenti sostenuti da rinforzi patologici delle antiche polarizzazioni familiari.

Come può la comunità riprendere la propria funzione terapeutica e ristabilire la funzione gamma del gruppo in una condizione di tale saturazione del campo di elementi indifferenziati?

Rispondere a questa domanda significa riprendere la funzione terapeutica e ristabilire il contatto con le parti patologiche dei nostri pazienti, sgombrare il campo dalle interferenze  e riuscire a ricucire un’alleanza terapeutica funzionale.

Ma il mandato che di fatto si chiede oggi alla comunità è di natura custodialistica e giudiziaria, la possibilità di creare ambienti più consoni alla terapia significa riuscire a mantenere con la magistratura dei rapporti più paritari dove il confronto tra saperi, mandati e necessità possa generare una qualità diversa del vivere comunitario.

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Commenti su "Comunità terapeutica e funzione gamma"

  1. Sarebbe mia ingiustificabile presunzione voler aggiungere qualcosa, sul piano tecnico, a questa accurata e brillante esposizione – riflessione . Mi pare invece di poterlo fare quando si parla dei fattori che possono ostacolare e render più complesso il lavoro delle C.T.
    L’ A. li identifica da un lato nella dipendenza da psicotropi e dall’altro dalla non rara inevitabile interferenza di provvedimenti giudiziari. Mi pare si potrebbe aggiungere l’ “obbligo di fatto” che nasce da pesanti condizionamenti di ordine psicosociale: quando l’ingresso in una Comunità orientata al rapporto psicoterapico non nasce da una ricerca di tale rapporto, ma – tutt’altro che raramente – è una extrema ratio di fronte a condizioni di vita insostenibili nel perverso intreccio fra sofferenza mentale, isolamento sociale, pesanti difficoltà economiche. Tutto ciò non impedisce l’instaurarsi di un rapporto di cura, ci mancherebbe: ma certo rende il compito più complesso

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