A volte di fronte ad un problema non riusciamo sin da subito a identificare la causa, non riusciamo a “lavorare su noi stessi” o sulla difficoltà, come gran parte delle persone intorno a noi ci suggeriscono di fare. Qualcosa o qualcuno ci blocca, ma cosa? Da cosa è rappresentato questo punto cruciale che proprio non riusciamo a vedere?
Tante volte mi sono interrogato per capire dove sbagliassi, o magari come l’errore arrivasse da chi mi circonda, o ancora se il “destino” mi avesse posto davanti una porta difficile da aprire solo per il gusto di farlo.
Forse, devo ancora capirlo, la risposta è più semplice del previsto: accettare. Accettare chi o cosa funge da causa, accettare quello che si contrappone a noi come problema e ancor di più accettarne le conseguenze.
Approcciandoci in modo diverso è come se “per ogni soluzione ci fosse un problema”, anziché il contrario. Accettando quello che ci arriva, quel punto cruciale o quel nodo riescono a sciogliersi più facilmente o, perché no, da soli. Ciò potrebbe aiutarci a individuare più facilmente la soluzione, senza dover passare per forza dal problema.
Ma cosa succede se in tutto questo caos di pensieri, esseri umani, emozioni e dubbi qualcosa si rompesse? Se improvvisamente smettessimo di vedere e sentire, se quelli che sono i nostri principali sistemi sensoriali smettessero di collaborare e si giocassero le loro ultime carte per sopravvivere andando contro noi stessi?
Mi piacerebbe tanto scoprire questo e farlo, in particolar modo, attraverso lo sguardo miope e l’udito stanco di una persona che non è semplicemente triste, stanca o dispiaciuta, ma che sta lottando affinché possa tornare a provare queste emozioni che ogni tanto, magari, dovremmo semplicemente ringraziare un po’ di più.
Cosa si rompe?
Siamo circondati da oggetti materiali che continuamente si rompono o c’è il rischio che ciò succeda. Generalmente, si tende a riparare, sostituire o semplicemente accettare questa rottura e continuare con il ricordo che precedeva quest’ultima.
Ma se la rottura fosse interna? Se ci fosse il rischio di non poter riparare, sostituire o una difficoltà sconfinata ad accettare? E se questa rottura avvenisse perché chi doveva proteggerci non era in grado di farlo o era troppo impegnato a fare altro?
Nel corso dei decenni molti autori a stampo psicodinamico hanno posto la loro attenzione sulle prime esperienze e sulle prime relazioni di un bambino. Essere bambino significa essere all’inizio di un percorso che già di per sé sarà lungo e tortuoso e che, anche per questo, non merita di essere ulteriormente complicato nelle sue fasi iniziale.
Esperienze relazioni premature, dinamiche familiari disfunzionali e l’eventualità in cui il disagio si trasmetta da genitore in figlio sono tra le possibili e principali motivazioni sul perché qualcosa si rompa internamente. In più, come si può notare in altre situazioni e contesti quotidiani, dal momento che il bambino dispone di un bagaglio minore per far fronte alle avversità della vita, non viene difficile immaginare che, la rottura in questo periodo è più semplice e, allo stesso tempo, più significativa.
Quando si rompe? Perché si rompe?
Se “il quando” è facilmente definibile e “il perché”, sebbene con delle variazioni situazionali, può essere anch’esso individuato facendo le giuste ricerche e considerazioni, è “il cosa” che risulta di più difficile comprensione.
Forse è proprio lì, nel “cosa”, che si nasconde la vera fragilità dell’essere umano. Spesso si lacera qualcosa di immateriale che silenziosamente, impercettibilmente, lacera il corpo, l’anima e la psiche, riunite da Freud nel termine die Seele, e continua a risuonare dentro di noi come un’eco sospeso nel vuoto.
Può rompersi la fiducia, il legame, la rappresentazione di noi stessi e del nostro modo di stare al mondo in relazione agli altri. Eppure, anche quando si rompe, qualcosa rimane: un frammento, una traccia, una possibilità di ricominciare.
Forse non è importante capire subito quando o perché succede, ma imparare ad ascoltare quello spazio vuoto che la rottura lascia.
Perché, in fondo ci accompagna, aperta nella sua difficile definizione, la domanda: cosa si rompe, davvero?



