Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 15 marzo 2016
Mi sono piaciuti i grafici che ci danno un’immagine più efficace di disquisizioni su come vada la psichiatria in Italia. Mi sono piaciuti più che le fascinazioni delle comunicazioni di auto aiuto tra gli utenti, io che mi occupo da circa vent’anni di auto aiuto, della gabbia farmacologica, delle affermazioni, non perché non le condivida ma perché rischiano di banalizzare, di dare un’immagine superficiale e di settore. Prendiamo più psicologi e più figure “leggere”. Non leghiamo. Ci vogliono più operatori.
La relazione nella psichiatria è asimmetrica, lo psichiatra e l’esperto ascolta se stesso, la sua formazione, la sua cultura, e con questo bagaglio affronta il paziente.
Il paziente casualmente s’incontra con una certa cultura, con una certa visione della malattia mentale, con un certo tecnicismo, ma non ha potere, non è ascoltato (se non all’interno della relazione terapeutica quando ha la fortuna di poterla raggiungere e magari continuare con un professionista). Ma anche quest’ascolto, quando c’è, è staccato dall’insieme del contesto in cui il paziente, il malato si trova, dal circuito in cui entra e da cui rischia di non uscire più. Insomma il potere del paziente come in tutta la medicina è relativo se non inesistente.
Quindi se vogliamo parlare di figure “leggere” veramente dobbiamo pensare a includere persone con esperienza di malattia nella nostra formazione, se questo non avviene vuol dire che sbaglia il sistema in generale. Nella medicina ci sono i protocolli, ma si sbaglia, in un pronto soccorso per un dolore toracico dopo un ECG e un primo prelievo di sangue per eventuale aumento degli enzimi dopo 4 ore mi è stato fatto un altro prelievo, oibò sbagliato, per un disguido e all’infermiera a cui facevo presente che dovevo rifare il controllo degli enzimi non è passato per la mente di ascoltarmi, aveva la provetta pronta, non ha pensato, non si è chiesta perché ero lì, se ero credibile, dandomi del tu (ho settant’anni), ha continuato il suo lavoro acefalo. Ore perse esami inutili ma soprattutto senso di frustrazione nel dover ricorrere alla conoscenza del camice bianco per potermela sbrigare tra una marea di persone in attesa stupita come me e meno privilegiate dalla mia conoscenza medica.
Sistema medico, non solo in psichiatria, anzi forse in psichiatria ogni tanto la rabbia, la violenza, la reazione del paziente svegliano qualcuno che è costretto a chiedersi perché è stato aggredito. Ora ovviamente non critico i protocolli, anzi, ma critico non aver preparato il personale ad un approccio umano che riconosca la parola dell’altro, che limiti ulteriori sbagli oltre che sofferenza.
In psichiatria abbiamo un mare d’informazioni, di possibilità, di approcci, di cultura, di testi fondamentali, di scoperte scientifiche, di mezzi… ma se non si parte con un capovolgimento del nostro modo di pensare, di essere noi i veri esperti, questi mezzi si traducono in ottime pratiche (vedi il dialogo aperto finlandese la psicoanalisi multifamiliare le psicoterapie e i farmaci usati con cognizione sicuramente in molti luoghi, i gruppi di auto aiuto ecc.) ma non influiscono sull’intero sistema e così scopriamo come si vede dai grafici che vengono fatti i trattamento sanitari obbligatori anche per demenze senili e organiche, che appunto si lega e si pensa che solo più operatori servano (il Pronto Soccorso non mancava di operatori) che ci sono magiche esperienze come i gruppi di uditori di voci quando è evidente che magico è semai saper ascoltare realtà vissute che possono essere anche utili per non morire mentalmente prima di soffocarle con antipsicotici e questa non è una specialità dei gruppi degli uditori di voci, ma il bagaglio culturale ed esperienziale sia di chi si occupa di psichiatria per passione che dei pazienti. Che c’è una base comune per poter agire capendoci e ascoltando e non solo coi pazienti per introdurre cambiamenti stabili. Denunce, lamenti, accuse o richieste lasciano indifferente uno stato di cose in cui solo le assicurazioni nella medicina generale sollevano monetizzando e nella psichiatria permettono uno stagnare e dimenticare quello che già sapevamo oltre a comunicare malamente con una società già impoverita dalle informazioni dei media, dal primato del successo e del risultato.
L’enfasi sulle risorse e sull’esperienze particolari non serve se non è dentro una cultura umana (e non solo in psichiatria). La nostra memoria è corta, diventiamo dementi e ripetiamo gli stessi errori. E’ un invito a guardare i grafici!