DONNE CHE SI FANNO ODIARE
Con questo scritto ci si propone di riflettere, a fronte dell’enorme clamore che negli ultimi anni ha suscitato l’argomento della violenza sulle donne, sulla possibilità di una prevenzione non solo rivolta all’uomo che agisce la violenza, ma anche alla donna che la subisce.
Ci si chiede in un’analisi a 360° come professionisti, per insegnamento e cultura, neutrali di fronte a sesso, nazionalità, religione, cultura e non giudicanti in caso di fatti ritenuti efferati dalla maggior parte dei non addetti al lavoro; quali vicendevoli implicazioni vi siano, in relazioni in cui l’uomo compie violenza sulle donne.
L’aggressività maschile e femminile si esplicita in maniera diversa già nel bambino, si differenziano nel gioco e nelle modalità di relazione, canali di espressione differenti, che hanno a che vedere con lo sviluppo e la sessualità.
In origine l’identità precoce del bambino è definita dalla figura femminile, solo dopo la separazione e differenziazione dal sé e non sé saranno fattori ormonali, il rapporto con la figura paterna e la società a convalidare l’identità, anche di genere, dell’individuo.
In particolare la sessualità maschile viene correlata alla potenza, alla forza e virilità, alla responsabilità dell’atto sessuale e nella procreazione per cui è necessaria l’integrità sessuale e “all’aggressività” in quanto soggetto attivo per la conservazione della specie.
Oggi probabilmente destabilizza essere uomini in una società dove, non più solo perché sei maschio hai diritti e potere come accadeva in passato o forse il potere delle donne c’è sempre stato a definire l’identità dell’uomo, ma in sordina e non essendo più “l’occupazione” principale femminile questa mancanza, che equivale ad una perdita luttuosa, li rende più fragili?
Ci si chiede se in alcuni casi la prevenzione non si possa applicare anche rispetto ai comportamenti di donne che inconsapevolmente possono scatenare l’aggressività maschile se la loro immagine viene lesa o disconfermata.
Se l’incomprensione tra i sessi non possa essere talvolta letale.
La visione della donna dell’uomo forte, potente che protegge da un lato e dall’altro quella dell’uomo che si aspetta di essere sempre “contenuto” e confermato nella sua virilità hanno probabilmente la stessa origine, nell’angoscia di separazione.
Se si va a indagare sui moventi dei fatti di cronaca, l’intolleranza all’espulsione dalla famiglia, al rifiuto e lo svilimento dell’immagine maschile sono le principali cause di violenza sulle donne.
Se la Sig.ra x avesse colto la frustrazione che aveva indotto nel Sig. x, se non avesse continuato a premere sulla ferita narcisistica creata dal suo rifiuto o avesse compreso di dover cambiare atteggiamento o si fosse allontanata prima, forse non sarebbe stata picchiata o uccisa?
Sicuramente una donna inconsapevole dei limiti e delle fragilità dell’altro è una donna a rischio.
Entrano in gioco fattori di dipendenza, integrità narcisistica talvolta perversi con connotazioni sadomasochistiche, che rendono le relazioni pericolose.
È noto che nella relazione sadomasochistica è il soggetto passivo, apparentemente il più debole, che controlla e dirige gli eventi. Così inconsapevolmente la donna potrebbe rischiare che il “gioco”, di farsi amare e desiderare nonostante tutto, si spinga troppo in là, perdendo il controllo.
Sarebbe utile un’educazione delle donne a non subire passivamente o rischiare di provocare, ma a riconoscere i segnali precoci di rischio, a chiedere aiuto in tempo scegliendo la via migliore per gestire la relazione.