Mi domando, disse, se le stelle brillano perché un giorno ciascuno possa ritrovare la propria
Antoine de Saint-Exupéry
Una metafora efficace non è imposta dal terapeuta, ma emerge nel dialogo con il paziente. È un atto co-costruito, che si radica nella storia personale e nella sensibilità dell’individuo. Spesso, le metafore utilizzate spontaneamente dal paziente offrono preziosi spunti di lavoro: il terapeuta può amplificarle, modificarle o riprenderle in momenti chiave della terapia per favorire nuove comprensioni.
Nell’approccio sistemico-relazionale, la metafora assume un ruolo centrale nel processo terapeutico. La realtà di un individuo non viene mai considerata isolatamente, ma sempre all’interno delle sue reti relazionali: famiglia, lavoro, amicizie. L’uso della metafora in terapia permette di esplorare questi sistemi complessi in modo indiretto e meno intriso di vissuti negativi.
Esempi di uso della metafora in terapia
Ad esempio, descrivere una famiglia come una “barca in mezzo alla tempesta” aiuta i suoi membri a riconoscere il proprio ruolo nel contesto familiare e a riflettere su come trovare equilibrio e direzione. Analogamente, parlare di una coppia come di un “tango” evidenzia il ritmo, la comunicazione e il coordinamento necessari per la relazione.
L’uso della metafora in terapia sistemica consente di ridefinire il contesto, spostando l’attenzione da colpe individuali a dinamiche relazionali più ampie. Inoltre, crea uno spazio in cui i pazienti possono immaginare e sperimentare nuove modalità di interazione, aprendo la strada al cambiamento e alla crescita.
La fiaba
Un buon strumento utilizzato a fini terapeutici, nella mia esperienza di terapeuta sistemico relazionale e di comunità, è la fiaba.
L’uso della fiaba in terapia stimola direttamente l’attività fantasmatica del soggetto, tanto adulto quanto bambino, consentendo l’insorgenza di una fase regressiva che lo conduce indietro, ad un tempo passato, fino alla rievocazione di passaggi della vita che fino ad allora non si erano pensati.
La fiaba pertanto acquisisce in seduta una funzione catartica in quanto attraverso i connotati simbolici è possibile elaborare contenuti inconsci; rivivere situazioni negative, stemperate da un clima rassicurante e protettivo garantito dal lieto fine, una sorta di compensazione dall’impotenza infantile, grazie alla quale il soggetto può tornare a regolare i propri moti psichici, così come gli eventi della sua vita, munito di energia e determinazione in vista di finalità adattive.
Alla stregua del mito e della leggenda, la fiaba è caratterizzata dal contenuto simbolico: ed è proprio questa la peculiarità intrinseca.
L’elemento magico dello strumento fiabesco consente la rielaborazione della realtà traumatica e conflittuale tramite una serie di passaggi simbolici che costituiscono l’intreccio formale tipico della fiaba, ovvero la perdita di un membro della famiglia e l’allontanamento dell’eroe da casa (evento modificante), l’imposizione di un divieto all’eroe e una sua infrazione (trasgressione), la comparsa di un antagonista (aggressore) che ha il compito di ostacolare il recupero dell’equilibrio iniziale attraverso una serie di trappole e malefici, l’intervento di un personaggio magico grazie al quale l’eroe otterrà la sconfitta del malvagio e guadagnerà la salvezza (Propp, 1928).
I miti famigliari
Questo mi fa pensare ai miti familiari che all’interno delle famiglie hanno molteplici significati. Essi consistono in una serie di credenze e aspettative condivise da tutti i membri della famiglia, riguardanti i ruoli e le posizioni che ciascuno occupa all’interno del sistema familiare.
Il mito è anche un codice attraverso cui una famiglia e i suoi appartenenti interpretano e assegnano valori al mondo esterno. Il mito definisce il mandato familiare che ogni individuo è implicitamente chiamato a portare avanti. (Andolfi, 1987).
Le fiabe in terapia svolgono la funzione di oggetto mediatore: sono portatrici di contenuti profondi, a cui ci si può avvicinare e sui quali si può lavorare co-costruendo una nuova storia.
Nel lavoro terapeutico, la metafora diventa strumento di ristrutturazione cognitiva. Se un paziente vede la propria vita come una ‘lotta continua’, questa immagine può rafforzare la percezione di fatica e impotenza. Proporre un’altra metafora – ad esempio, il viaggio di un esploratore che affronta sfide e scoperte – può trasformare il senso di quella narrazione, aprendo alla possibilità di nuovi e più evolutivi punti di vista.
Lo scopo dell’uso della metafora in terapia
La metafora è un ponte tra il linguaggio e l’esperienza emotiva. Utilizzarla in terapia significa offrire al paziente un codice simbolico attraverso cui comprendere e rielaborare la propria storia. Questo processo facilita l’accesso alle emozioni più profonde, spesso difficili da esprimere in modo diretto. Pensiamo a un paziente che descrive la sua ansia come un ‘nodo in gola’: questa immagine non solo comunica il disagio, ma suggerisce implicitamente una possibile via d’uscita – sciogliere quel nodo, allentare la tensione.
L’uso della fiaba, delle metafore, l’analisi dei miti familiari nel mio lavoro da terapeuta sia in studio sia in comunità, sfrutta la narrazione come strumento per facilitare il cambiamento e l’elaborazione emotiva.
La favola antica di Esopo e Fedro
Da anni, nel mio lavoro in comunità del Gruppo Redancia, una volta a settimana ci ritroviamo con un gruppo di ospiti per la lettura della Favola Antica di Esopo e Fedro.
Esopo e Fedro nelle loro favole raccontano storie di animali o situazioni fantastiche cariche di morali e di insegnamenti che aiutano le persone a riflettere su se stesse e sul mondo che le circonda facendo emergere i propri ricordi.
Le favole di Esopo e Fedro sono spesso brevi e semplici, ma racchiudono messaggi profondi sulle virtù, i vizi, le relazioni interpersonali e i comportamenti umani. Ad esempio:
- La lepre e la tartaruga (Esopo): insegna il valore della perseveranza e della pazienza, e come non bisogna sottovalutare chi sembra più lento o meno abile.
- Il lupo e l’agnello (Esopo): tratta di ingiustizia e abuso di potere, evidenziando come le persone più forti possano a volte abusare della loro posizione.
- La volpe e l’uva (Esopo): affronta la questione della razionalizzazione, mostrando come qualcuno può cercare di giustificare una frustrazione dicendo che ciò che non si è potuto ottenere non valeva comunque la pena.
Cosa ci insegnano le metafore
Così i componenti del gruppo imparano a pensare alla relazione più che al singolo personaggio e la trama della fiaba diviene lo strumento per favorire una comunicazione inconscia tra i partecipanti e costruire un confronto tra i modelli dell’Io e le molteplici possibilità di essere del Sé (Sordano, 2006). Man mano che la struttura gruppale acquisterà relazione e coesione interna l’emergere di strutture grafiche o narrative sarà sempre meno collegato all’intenzionalità cosciente del singolo e farà maggior riferimento al registro del corpo e dell’immaginario collettivo, mostrandosi in grado di attuare un decentramento dal Sé e dai temi ricorrenti della propria storia per divenire parte di una nuova matrice relazionale (Sordano, 2006; Neri, 1996).
Ogni incontro diventa un’esperienza che unisce il piacere della narrazione alla riflessione critica, permettendo ai partecipanti di scoprire e reinterpretare storie che continuano a parlare di verità profonde e universali. Le storie di Esopo e Fedro, sebbene millenarie, rimangono sorprendentemente attuali per il loro valore morale.
Il gruppo ha il potere di aprire prospettive inconsce e insondabili, permette la conoscenza degli altri e la condivisione di vissuti profondi, permette il confronto e dà a tutti la possibilità di parlare senza la paura di sbagliare, aiuta a comprendere la propria storia e quella degli altri.
«Solo i bambini sanno quello che cercano» fece il Piccolo Principe. «Perdono tempo per una bambola di pezza, che allora diventa importantissima, e se qualcuno gliela porta via piangono…». (Saint-Exupéry).