Vaso di Pandora

Un ponte per ampliare le possibilità di intervento

Agli inizi di novembre sono stato contattato dalla compagna di Liceo della figlia di una mia carissima amica. Mi racconta che la nipote Anna, che ha 22 anni, figlia della sorella e del primo compagno di questa, sta molto male: esce la sera e torna la mattina, assume sostanze, esponendosi a gravi pericoli. In quel periodo Anna viveva a casa dei familiari del padre che, purtroppo, è deceduto alcuni anni fa. Si tratta della nonna e dello zio paterni. Questa situazione contingente pare abbia a che fare con il fatto che la madre è in attesa di un terzo figlio, il secondo concepito con il suo attuale compagno di vita. La gravidanza è giunta all’ottavo mese. Aggiunge che Anna percepisce un atteggiamento ostile da parte della madre nei suoi confronti.

Propongo alla zia di iniziare a frequentare il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare che si tiene presso il Lipsim insieme alla sorella, invitando a partecipare anche Anna e sottolineando l’importanza di comprendere non soltanto quello che sta accadendo nella mente di Anna ma anche quello che è accaduto e accade nelle loro relazioni.

Sembra che accolgano positivamente la lettura dei fatti che gli ho proposto, manifestando l’intenzione di venire, ma, poi, non lo fanno.

L’invito a fare attenzione al significato dei comportamenti (tanto quelli della ragazza quanto i loro) pare ottenere però un risultato importante: Anna sembra percepire che qualcuno si preoccupa di lei. Qualche giorno dopo accusa un forte mal di testa e chiede alla zia di accompagnarla in Ospedale. In Pronto Soccorso i medici capiscono che il problema è un altro e le propongono di ricoverarsi in Psichiatria. Anna accetta e pochi giorni dopo viene trasferita in una Struttura Residenziale Psichiatrica (SRP) convenzionata.

Lì viene trattata farmacologicamente e le viene proposto di partecipare al Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) che si tiene, da un anno, presso il Reparto che accoglie i pazienti in acuzie o appena dimessi dal SPDC ospedaliero.

Appena giunta in SRP, Anna sembra poco in contatto con se stessa e la realtà. Ai primi GPMF non partecipano né lei né la madre, che il giorno dopo l’ingresso della figlia in casa di cura ha partorito, ma la zia e la nonna materna. Anna, dopo un paio di settimane l’inizio del ricovero in SRP, si introduce nella stanza del GPMF una prima volta, a gruppo appena terminato, come per capire di che cosa si tratti. Più volte viene invitata dall’equipe a partecipare ai Gruppi assieme alla nonna, che è molto presente nel ricovero. Poi anche la madre, superate le difficoltà connesse alla recentissima nuova maternità, manifesta il desiderio di prendervi parte insieme al compagno ma Anna si dice in disaccordo, avendo oltretutto, fino a quel punto del ricovero, evitato di avere contatti con lei. Manifesta anche il desiderio di essere dimessa, avendo cominciato ad assumere regolarmente la terapia con parziale beneficio e avendo cominciato a mostrarsi più collaborativa e presente. L’equipe curante cerca di aprire una breccia, continuando a spingere sulla partecipazione ai GPMF. Finalmente Anna accetta di partecipare una prima volta al GPMF insieme alla nonna (la zia nel frattempo si è eclissata, come se avesse terminato il suo compito) e, soprattutto, alla madre e al suo compagno. La mamma e Anna sembrano studiarsi e a prendersi la scena è la nonna, che presenta la situazione immediatamente precedente il ricovero, sottolineandone le problematicità e i comportamenti di Anna, suscitando così l’imbarazzo e la frustrazione di Anna ma mettendo delle prime acuminate e scivolose pietre tra le posizioni, apparentemente irraggiungibili, di madre e figlia. A Gruppo terminato poi, andata via arrabbiata la nipote, la nonna condividerà ricordi e storie illuminanti.

La ragazza interviene poi ancora una seconda volta insieme all’attuale compagno della madre, che le ha fatto da padre, perché il padre biologico è deceduto otto anni orsono, dopo aver impedito che partecipassero anche la madre e la nonna.

La terza volta, a circa 2 mesi dall’arrivo in SRP, Anna viene al gruppo con la madre e il patrigno.

Nel corso del gruppo si parla della difficoltà di riuscire a trovare la convinzione di affrontare le delicate situazioni di vita che sono presenti nelle famiglie in cui compaiono dei pazienti psichiatrici. Sul finire del gruppo, viene proposto il coinvolgimento anche al gruppo familiare di cui fa parte Anna.

Finalmente Anna e la madre hanno modo di confrontarsi sulle diverse idee che ognuna di loro due ha a proposito del primo compagno della madre e padre di Anna, che è stata la fonte delle loro reciproche incomprensioni e che, in un modo o nell’altro, ha finito per dare luogo alla situazione nella quale si trovano.

Vorrei segnalare alcuni punti che mi sembra che emergano da questa storia e dalla sua evoluzione:

  1. In che modo sarebbe giunta Anna al ricovero se non ci fosse stato l’intervento sulla zia e sulla madre?
  2. Se Anna non avesse trovato in clinica l’opportunità di partecipare al GPMF e, prima ancora, la fiducia in questo strumento, avrebbe potuto accedere alla possibilità di riuscire a mettere a confronto la propria lettura della situazione con quella delle persone a lei più care e di giungere al necessario chiarimento delle rispettive posizioni in merito?
  3. Il GPMF introdotto in quella clinica si configura, allora, come la possibilità di prendere in esame la parte della storia riguardante un paziente intrecciata con quella delle persone a lei/lui più care eccedente la manifestazione dei sintomi.
  4. Come se, abitualmente, la Psichiatria intervenisse fino ad un certo punto, prendendo in considerazione sostanzialmente i sintomi, giungendo alla diagnosi e alla conseguente terapia farmacologica, ma lasciando fuori dal proprio raggio di azione tutto il resto: come e perché sono avvenuti gli avvenimenti che hanno determinato l’insorgere delle problematiche che hanno condotto al ricovero? Quasi come se un sintomo non avesse anche un suo significato e una sua storia.
  5. Il GPMF rende possibile la costruzione di un luogo psicologico in cui sia possibile, a ciascuno degli attori della situazione patologica, di esprimere quello che pensa alla pari con gli altri, rinunciando alla pretesa di avere ragione ma disponendosi ad ascoltare il parere, diverso dal proprio, espresso dall’altro e di imparare a tollerarlo.
  6. L’introduzione della possibilità di accedere ad un luogo con queste caratteristiche può permettere di aggiungere alle abituali capacità di intervento psichiatriche, diagnosi e terapia farmacologica, l’intervento psicoterapeutico individuato come la matrice fondamentale sulla quale costruire il resto degli interventi.

E’ ovvio che non possiamo pensare che siano risolvibili tutti i problemi psichiatrici: sto soltanto dicendo che se agli strumenti abituali di intervento in Psichiatria, aggiungessimo sistematicamente la possibilità di utilizzare strumenti di comprensione e di azione psicoterapeutica in senso lato, come il GPMF, potremmo riuscire ad introdurre con più facilità, successivamente e/o contemporaneamente, l’uso degli strumenti di intervento psicoterapeutico abitualmente usati (psicoterapia individuale, familiare, di coppia, di piccolo gruppo psicoanalitico, etc. etc.) anche per le patologie gravi.

Ci potremmo, cioè, incamminare verso la possibilità di costruire sistemi di cure che prendano in esame e cerchino di modificare il modo in cui le patologie psichiatriche gravi si manifestano e tendono a ripetersi, intervenendo non soltanto sulle manifestazioni finali delle patologie ma sui meccanismi che ne hanno determinato l’insorgenza.

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