Vaso di Pandora

Three step theory in psicologia del comportamento

Quella che la psicologia chiama three step theory è stata delineata, tra il 2014 e il 2015, da David Klonsky e Alexis May. I due psicologi e ricercatori presso l’Università della British Columbia hanno differenziato i soggetti con ideazione suicidaria strutturata e le persone che operano una procedura comportamentale impulsiva, prima di mettere in atto un suicidio. Un gesto tanto estremo è multifattoriale. In sostanza, esso si concretizza a seguito dell’interazione tra molteplici fattori. Per tal motivo, la teoria che stiamo per esaminare non convince tutti gli psicologi e i sociologi. Togliersi la vita, nel corso della storia, ha attirato l’attenzione di filosofi, teologi, medici, sociologi e artisti. Molti hanno tentato di definire l’autoeliminazione. Per maggiore chiarezza e semplicità prenderemo in considerazione solamente due concetti legati a questa decisione: ideazione suicidaria e suicidio. Gli elementi attorno ai quali ruota l’intera three step theory.

Definiamo e inquadriamo il suicidio

Three step theory: una ragazza in una vasca da bagno
Il suicidio è la morte derivante da un atto autoinflitto con l’intenzione di uccidersi

La parola suicidio è di etimologia latina. Sui significa su sé stesso e caedere è il verbo per uccidere. Il termine significa dunque uccidere sé stesso. La definizione più precisa del drastico gesto è quella data, nel 1988, da M. L. Rosenberg. Secondo il ricercatore, il suicidio è:

“La morte derivante da un atto compiuto su di sé con l’intenzione di uccidere sè stessi.”

Al di là delle definizioni, il significato del termine suicidio è chiaro a chiunque. Non è lo stesso discorso per il suo inquadramento. L’atto è infatti uno dei più gravi problemi nella salute pubblica di tutto il mondo ed è classificato come una delle prime cause di morte. Si tratta di una questione sociale grave, che va affrontata. Anche per questo motivo, sono state finanziate e vengono tuttora autorizzate ricerche in merito. La three step theory è stata sviluppata proprio in questo ambito. Era necessario approfondire la conoscenza sul tema del suicidio e capirne meglio ragioni e motivazioni sottostanti.

Three step theory: una teoria sul suicidio

Klonsky e May hanno elaborato la loro ricerca sul suicidio partendo da quella risalente al 2005 di Thomas Joiner, la cosiddetta teoria interpersonale del suicidio. La three step theory mira a separare l’ideazione suicidaria dalla sua progressione in azione. Questo distinguo non è molto semplice da cogliere e può creare difficoltà di comprensione. I due ricercatori si servono di quattro fattori per spiegare la diversità dei due processi:

  • dolore;
  • disperazione;
  • connessione;
  • capacità di commettere il suicidio.

Per indagare questi quattro fattori ci si serve di tre domande, chiamate in inglese step. Da qui il nome della teoria. Le questioni attorno alle quali verte l’indagine sono: stai soffrendo e hai perso ogni speranza? Il tuo dolore è più forte del senso di connessione che provi con la realtà? Sei davvero capace di tentare di suicidarti? Prima di sviscerare meglio i tre passi da cui trae origine questa ricerca, è importante fissare bene in mente il significato del termine ideazione suicidaria.

Suicidio e ideazione suicidaria

L’ideazione suicidaria è l’anticamera di questo eventuale gesto estremo. Essa si caratterizza da pensieri generalmente relativi all’inutilità della propria vita. La loro naturale conseguenza è l’elaborazione di progetti concreti per porvi fine, tramite la morte autoinflitta. Chiara e Luigi Pavan, nel 1991, la definiscono come una realtà dominata da:

Cognizioni che possono variare da pensieri fugaci riguardanti il fatto che la vita non meriti di essere vissuta, a progetti ben concreti di auto soppressione. Si originano situazioni nelle quali l’individuo ha l’idea di auto sopprimersi senza però arrivare alla messa in atto dell’agito suicidario, con un grado variabile di intensità ed elaborazione.

Nella valutazione di soggetti a rischio suicidario, il lavoro di Klonsky e May resta un punto di riferimento. I due autori ritengono che una corretta teorizzazione del comportamento suicidario non possa rifuggere dalla loro personale concettualizzazione di ideation-to-action, dall’ideazione all’azione. Secondo questo punto di vista, lo sviluppo dell’ideazione suicidaria è un antefatto, un punto 0 che può divenire procedura comportamentale e, dunque, atto. 

Il primo step

Il primo step inizia con il dolore, principale indicatore di una ideazione suicidaria. Solitamente il dolore in questione è psicologico o emotivo. Svariate variabili possono influenzare il soggetto e diminuirne desiderio di vivere. Il dolore, da solo, non è comunque sufficiente per produrre idee suicidarie. Se chi lo prova ha la speranza che la situazione possa migliorare, finirà per impegnarsi nell’ottenimento di un futuro migliore. Per questo motivo la disperazione è un secondo fattore fondamentale, e altrettanto necessario, in questo modello. Solamente quando l’esperienza del soggetto è contraddistinta da dolore e disperazione, questo si sente senza speranza e la mente prende in considerazione il suicidio. È dunque la combinazione di questi due stati d’animo a innescare l’ideazione suicidaria, il primo vero passo (o step) verso un eventuale suicidio.

Il secondo livello della three step theory

Il secondo step integra il concetto di connessione. I ricercatori le attribuiscono un significato più ampio di quello del semplice legame con altre persone. Riportano infatti come il concetto possa estendersi anche all’attaccamento a un lavoro, a un progetto, al proprio ruolo, a qualche interesse o qualsiasi altra cosa dotata di scopo o avente significato percepito. Tutto quel che, insomma, porta il soggetto a investire nella propria vita. Il senso di connessione risulta importante perché, anche se qualcuno dovesse provare dolore e disperazione e considerare l’idea del suicidio, questa rimarrà moderata.

Three step theory: l’ultima fase 

L’ultima fase riguarda la capacità di trasformare i pensieri in atti. A questo punto i nodi vengono al pettine e si esamina l’ultimo fattore determinante: il soggetto può davvero mettere in atto un tentativo di suicidio? Le persone sono biologicamente ed evolutivamente predisposte a evitare il dolore, le lesioni e la morte. Agisce in loro un istinto di autoconservazione. Per tal motivo, è veramente difficile portare a compimento l’atto del suicidio, anche in presenza di forti spinte. Klonsky e May, come già Joiner prima di loro, non parlano soltanto di capacità, bensì di capacità acquisita, disposizionale (talvolta definita genetica) e pratica.

Leggi anche: “Cos’è la pet therapy? Una panoramica sui benefici psicologici degli animali

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