Vaso di Pandora

Quella di Marinella è una storia vera: Narrative sul femminicidio e la violenza di genere

Di femminicidio si parla molto, nella cronaca e nella saggistica, ma non sembra sia sufficiente per scalfire il muro di impenetrabilità che circonda il fenomeno. Probabilmente c’è qualcosa che non facciamo, che non facciamo abbastanza o che facciamo in modo inadeguato, dal momento che i numeri rimangono stabili, con lievissime ed episodiche flessioni. La narrativa del fenomeno, posto che abbia anche una finalità di promuovere consapevolezza, sembra non essere abbastanza efficace.

La narrativa non è il semplice racconto dei fatti, ma è sempre una rappresentazione di essi, è il tradurre in parole una storia carica
di emotività, valori o disvalori, giudizi di merito. È un’immagine che – consapevolmente o meno – si dà della realtà. Un aggettivo o un avverbio di troppo (o di troppo poco), suggeriscono comunque un’interpretazione, e su questo si costruisce il loro potere sociale.

Non a caso i percorsi di consapevolezza e di empowerment per uscire dalla stigmatizzazione propongono “contronarrative”, ovvero un narrare diverso dalla definizione dominante degli eventi. Il fenomeno sembra scomparire dietro la sua narrazione. Sappiamo dei femminicidi quello che leggiamo sui giornali, o nelle semplificazioni operate dai siti web (le notizie di Google), o infine dalle pagine dei social, gestite da soggetti individuali o collettivi, e cioè da istituzioni, associazioni, forze politiche, movimenti… fino a singoli in cerca di un palcoscenico su cui esibirsi.

Le possibilità comunicative oggi disponibili hanno profondamente modificato i modi di narrare. Negli anni Sessanta del secolo scorso si dibatteva sul potere della televisione, della sua pervasività e delle sue influenze omologanti, e in particolare di come le immagini – più che la parola scritta – avessero la possibilità di rendere vero anche il verosimile, con poco spazio per la consapevolezza critica. I social media hanno operato un ulteriore salto: accanto alla possibile democratizzazione dell’informazione o alla controversa disintermediazione tra individuo e collettivo, emergono aspetti problematici di costruzione del vero. In tutto ciò non possiamo disconoscere il fatto che possedere maggiori strumenti culturali e capacità critica consente solitamente un’informazione più accurata, il confronto tra le fonti e tra le opinioni, lo svelamento del messaggio politico dietro una cronaca, la ricerca del senso di ciò che viene comunicato.

Narrare le “vittime” e gli autori dei reati

Tra le immagini che vengono proposte, per prima compare la “vittima”, rispetto alla quale esiste, giustamente, un ampio dibattito sul significato stesso del termine. Esiste un “paradigma vittima-rio”, sostiene Pitch, per cui solo essendo vittima e riconoscendosi tale si riesce ad acquisire voice e ad essere supportata. Questo, peraltro, non attiene solo alla violenza sulle donne: possiamo osservare fenomeni analoghi in molte marginalità, per identità di genere, per etnia, per appartenenza generazionale.

La vittima deve dimostrare innocenza e passività, altrimenti non può godere dei “benefici” che ne derivano. Questa è la trappola principale su cui giocano le narrazioni, attraverso la definizione o meno del lavoro svolto, la famiglia di appartenenza, l’eventuale livello di scolarizzazione e il rendimento scolastico, fino alla scelta degli aggettivi: studiosa, brillante, “solare”… ma anche riservata, generosa, lavoratrice, e poi madre, figlia, sorella… attributi da vittima onorevole e meritevole di aiuto, o di cordoglio. Ma basta un avverbio, “incautamente”, o un’ora notturna o un’attività inconsueta a ribaltarne l’immagine. Non sappiamo com’era davvero la donna in questione, ne conosciamo solo il ritratto, talvolta riveduto e corretto (poco), man mano che emergono notizie più precise.

A questo si aggiunge una connotazione “intersezionale” delle descrizioni, intendendo con questo come i tratti dell’identità sociale si combinino a seconda delle differenze di potere su cui si fondano.

Per continuare a leggere questo articolo, scarica l’ultimo numero del Vaso di Pandora dal titolo “Femminicidio, storie e riflessioni

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