Commento alla notizia AdnKronos-Salute del 15 marzo 2016
Nel capitolo “Epidemiologia della schizofrenia” delle linee guida del 2007 sugli interventi precoci del ministero della salute italiano l’essere immigrato veniva considerato un rischio 4,6 volte superiore a quello della popolazione nativa (dato mondiale).
A Londra si è visto che l’incidenza della schizofrenia varia in modo considerevole nei diversi quartieri sulla base del tasso di immigrati presenti e della densità abitativa, con oscillazioni impressionanti (da meno di 10 a più di 40 casi/anno per 100000 ab.).
In Italia gli studi più interessanti sono quelli della dott.ssa Tarricone a Bologna che ha raccolto dati anche sulla migrazione interna. Dovrebbe essere presente al congresso della SIP ligure del 9 giugno e consiglierei a chi non l’ha mai sentita di partecipare.
Possiamo quindi non rimanere stupiti dei dati relativi ai rifugiati per i quali al rischio dell’essere immigrati si sommano numerosi eventi traumatici.
I dati riportati presentano qualche difficoltà di interpretazione. Avere un caso di schizofrenia ogni 1000 rifugiati sarebbe una prevalenza inferiore ai dati conosciuti sulla popolazione generale (valore medio 4 per 1000). Potrebbe trattarsi di un refuso. Le stime sull’incidenza sono, invece, molto elevate. Avere 8 o 12 casi nuovi all’anno per 10.000 persone è da tre a quattro volte il limite superiore delle medie conosciute.
Gli studi in questo settore sono difficili e costosi ma in grande sviluppo e confermano pienamente il modello vulnerabilità-stress. La cosa interessante è che queste notizie vengono spesso riportate come un cambio di prospettiva della psichiatria. La frase “lo studio sostiene la teoria che le malattie mentali siano strettamente legate alle esperienze di vita” farebbe presupporre la presenza di altre teorie che non esistono o non hanno solide basi scientifiche.
In realtà sappiamo che tutte le patologie psichiatriche hanno una vulnerabilità su base genetica ma che il manifestarsi dei sintomi consegue a un vastissimo complesso di fattori di rischio e protettivi psicologici e sociali, precoci e tardivi, traumatici o persistenti.
Il problema è che gli psichiatri tendono ad enfatizzare l’aspetto maggiormente sintonico con la loro formazione ed esperienza personale. La chiave della frase sta nell’avverbio strettamente. Non ci sono diverse teorie, ci sono legami più o meno stretti tra vulnerabilità e stress a seconda delle patologie, delle persone e della loro storia.