L’avvento di internet ha trasformato profondamente le nostre vite, offrendoci strumenti inimmaginabili per connetterci e accedere alla conoscenza. Come sottolinea Andrea Narracci nel suo articolo “Internet: opportunità o pericolo?“, il mondo digitale ha aperto nuove porte, ma ha anche sollevato importanti interrogativi. Se da un lato ci permette di superare barriere geografiche e culturali, dall’altro rischia di allontanarci progressivamente dal contatto umano diretto, con ripercussioni sulla capacità di costruire legami autentici.
Il declino del contatto umano
Oggi, molti di noi toccano più spesso gli schermi dei dispositivi che le mani degli altri. Questo cambiamento è epocale: il tatto rappresenta un senso cruciale per costruire connessioni profonde, sentirci parte di una comunità e sviluppare capacità di cooperazione. Dal punto di vista evolutivo, il tatto affettivo è stato cruciale per l’umanità: grazie a esso, i mammiferi hanno superato una vita isolata, tipica dei rettili, formando società basate sui legami di gruppo. La privazione di contatto fisico nei cuccioli dei mammiferi provoca gravi segni di sofferenza psichica e fisica, ostacolando la capacità di cooperare e aumentando il rischio di malattie.
Nella nostra epoca, il tempo dedicato agli schermi sta progressivamente erodendo quello destinato al contatto diretto con gli altri, con il rischio di compromettere la coesione sociale e aggravare il disagio psichico, soprattutto tra i giovani. La mancanza di interazioni tattili può amplificare la solitudine e l’isolamento, due fattori strettamente legati alla sofferenza mentale.
Il tocco affettivo come risorsa
Come suggerisce Andrea Narracci, strumenti come la psicoanalisi multifamiliare, che favoriscono il dialogo tra generazioni, possono essere di grande aiuto nella gestione della sofferenza psichica grave. Da tempo condividiamo l’idea di integrare il contatto fisico e il tocco affettivo come parte della comunicazione intergenerazionale. Questo approccio potrebbe trasmettere sicurezza, protezione e fiducia, aiutando famiglie e individui a superare l’isolamento e il deterioramento delle relazioni.
Investire nella comunicazione diretta e nel contatto interpersonale significa tornare alle radici evolutive che hanno reso la nostra specie vincente. Vuol dire valorizzare il potenziale umano attraverso relazioni autentiche e opporsi con decisione a politiche che rischiano di isolare ulteriormente le persone con disagio psichico. È un modo per contrastare modelli segreganti, ispirati a logiche manicomiali obsolete e disumane, che mancano dell’elemento cardine di ogni cura: l’interazione umana diretta.
Un futuro di connessioni autentiche
Non possiamo né dobbiamo negare l’accesso alle connessioni digitali, ormai elemento imprescindibile della nostra epoca. Tuttavia, è fondamentale ristabilire un equilibrio tra il contatto interpersonale mediato dalla “pelle tecnologica” degli schermi e quello diretto offerto dalla pelle umana. Nessuna tecnologia potrà mai sostituire il calore e l’intimità di un tocco affettivo, un gesto che costituisce il fondamento della nostra salute mentale e della capacità di vivere in comunità. Trasformare i giovani che vivono situazioni di sofferenza e di isolamento relazionale in promotori di coesione sociale rappresenta una risposta concreta a questa sfida. Perché, in fondo, siamo esseri umani: il contatto è la nostra essenza, ciò che ci unisce e ci definisce.
Ringrazio Maurizio per avere fatto riferimento alla Psicoanalisi Multifamiliare come ad un modo che può restituirci la capacità di confrontarci, di sentirci parte di un “noi” e di farci manipolare, ma fino ad un certo punto. Direzione verso cui, viceversa, i social media ci stanno portando.
Complemento ideale della PM è proprio il tatto, il recupero della capacità/possibilità di abbracciarsi tra persone che si vogliono bene ma che, non riuscendo più a parlarsi e a capirsi, finiscono per odiarsi, oltre che seguitare ad amarsi. Anche se seguitare ad avere bisogno l’uno dell’altro, per sopravvivere, rassomiglia più ad una prigione in cui si passa la vita/si evita di morire, in attesa della conclusione finale.
Riscoprire l’importanza del “tatto affettivo”: questa è la nostra frontiera.
Si muove su questa lunghezza d’onda anche lo psicologo Giuseppe Riva, ordinario presso l’Università Cattolica di Milano, intervistato dal Corriere. Rileva che non è la tecnologia a far male, ma il preesistente difetto di contatti umani, cui la tecnologia tende a fornire un compenso in larga parte illusorio; mette in guardia dal manicheismo che contrappone ottimisti tecnologici e apocalittici digitali. Tuttavia qualche preoccupazione è giustificata.
Le vere relazioni – prosegue – sono radicate anche nei luoghi fisici in cui si svolgono, e che chiamano in causa i neuroni GPS, interessati negli spostamenti della persona; assenti, o quasi, questi nel rapporto col digitale. Il luogo fisico fra l’altro contribuisce alla formazione di aspetti dell’identità e del ruolo: dello studente a scuola, del lavoratore nel suo luogo di attività, del tifoso allo stadio.
Manca nell’incontro digitale anche la particolare interazione somatica mediata dai neuroni specchio; nonché quella evidenziata dall’Hyperscanning, fenomeno per cui i tracciati EEG di persone che fisicamente si incontrano tendono ad assomigliarsi . Alla modalità “noi” , fatta di cooperazione e vicinanza, tende nel digitale a sostituirsi la modalità “io” , con l’altro tendenzialmente reificato.
Ritengo illuminante anche il paragone a un evento di millenni fa , l’invenzione della scrittura. Certamente anche questa sostituisce all’ incontro fisico ravvicinato la mediazione di un messaggio disincarnato. Mi pare probabile che qualcuno abbia rimpianto il momento in cui la scrittura dell’Iliade ha sostituito l’ascolto diretto dei cantastorie (Omero?), emotivamente più pregnante. Come compiangiamo gli Hikikomori, non riteniamo felice il “nerd” assorto nei suoi libri e socialmente isolato.
Ma la differenza sostanziale è il maggior “realismo” delle rappresentazioni digitali, seduttive poichè possono offrire un illusorio, e perfino ingannevole, duplicato della realtà; a differenza della scrittura che invitava al registro del simbolico, richiedendo fra l’altro un lungo e faticoso apprendistato, a lungo non alla portata di tutti anche e soprattutto causa i grossi svantaggi sociali.
Ringrazio per le riflessioni di ispirazione, che nascono dalla conoscenza pragmatica della materia. In molti continuano a sostenere erroneamente che l’A.I. non eguaglierà mai l’empatia umana ma la vera mancanza è proprio quella che avete evidenziato: il contatto fisico e la dimensione del luogo, fondamentali per il neurosviluppo e il benessere psicofisico.
Sul tema trovo molto interessante il libro “La generazione ansiosa: Come i social hanno rovinato i nostri figli” di Jonathan Haidt.
Le nuove tecnologie stanno impattando grandemente sulla società e la psiche umana ma oltre ai danni tangibili, nutro la convinzione che l’A.I., generata a emulazione di quella biologica, possa aiutarci a comprendere maggiormente le malattie mentali e condurci a cure sempre più innovative.