Ne avevo già scritto, della sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser, una malattia caratterizzata dall’assenza congenita della vagina e dell’utero.
Lo rifaccio oggi. L’occasione, un servizio de “Le iene” andato in onda lunedì 9 aprile 2024, che invito tutti a guardare.
Il servizio de “Le iene” sulla sindrome di Rokitansky
5 donne, le protagoniste: Elena, Grazia, Maria Laura, Francesca e Veronica.
Che non si erano mai viste prima.
Donne coraggiose, che ripercorrono i lunghi e travagliati passaggi verso la diagnosi: dall’assenza del flusso mestruale in adolescenza, ai primi approcci sessuali frustranti e incomprensibilmente non riusciti, alle prime visite, umilianti e traumatiche. Come per Veronica, 31 anni, che da una ginecologa si è sentita dire che l’assenza di flusso mestruale era dovuto a un imene troppo duro e che il ciclo non riusciva a sfogare; o per Grazia, 62 anni, che da un primario si è sentita fare la battuta ringrazia il cielo che non sarai una donna isterica tutti i mesi.
Diversi anni per dare una spiegazione ai loro sintomi: assenza di utero, assenza di vagina. E come dice Elena, 21 anni, la più giovane, anche assenza di buco, avevo solo un petalo.
Anni trascorsi sentendosi diverse, meno degli altri; anni passati ad ascoltare le amiche raccontarsi dei primi rapporti sessuali e del piacere che ne era derivato e di cui loro non avrebbero mai goduto.
Anni a sentirsi sole.
Fino a una scoperta, e colpiscono a questo proposito le parole di Maria Laura, 39 anni: “Quando ho trovato questo gruppo di 30 ragazze su facebook, lì è stata proprio un’emozione unica. Sono andata da mia mamma e le ho detto: mamma siamo 30, ma ti rendi conto”.
Ed è proprio lei, Maria Laura, a fondare la prima associazione nazionale di donne Roki ( rokionlusitalia@gmail.com ) per condividere esperienze e diffondere informazioni, per uscire dalla solitudine. E per permettere a chi non l’avesse ancora compreso, di riconoscersi attraverso i sintomi. Perché ci sono donne che soltanto a 40,50 e 60 anni ricevono la diagnosi.
Sindrome di Rokitansky e rapporti sessuali
Il servizio prosegue parlando della mancanza di piacere sessuale tramite la penetrazione, impossibile per la maggior parte di loro, e del desiderio di poterlo vivere che le ha spinte a un lungo e doloro percorso medico per la costruzione di un canale vaginale: “l’intervento dell’oliva”, un nome che deriva dal cilindro che viene progressivamente spostato per tracciare il canale vaginale; un intervento che soltanto sentirlo descrivere, ti fa stringere le gambe, e chiudere le orecchie. E i dilatatori da dover inserire dopo, sempre, tutta la vita, per evitare che il canale si restringa rendendo inutile l’intervento chirurgico.
Un dolore che il solo sentirne parlare, lo rende insostenibile. Cosa può essere stato provarlo a 11, a 12 o anche a 15 anni? Un dolore fisico che è anche psicologico. E un piacere, pur con un canale vaginale ricostruito, sempre a metà: commuovono le parole di Elena che lo descrive come una “carezza”.
Ne meritate infinite, di carezze, donne coraggiose!
L’impossibilità di una gravidanza
Donne a cui è preclusa la possibilità di una gravidanza. Diventare madre può essere possibile, come dice Francesca, 44 anni, accettando di non poterlo diventare naturalmente, aprendosi a possibilità alternative, come quello dell’adozione. O della gestazione per altri, sì perché le loro ovaie funzionano. Ma in Italia, non è permesso dalla Legge. O grazie al trapianto di utero, una realtà degli ultimi anni.
Ma anche solo parlare di queste possibilità, per alcune di loro, è una ferita ancora aperta, che non smette mai di fare male.
Alla fine del servizio, le donne incontrano la D.ssa Ursula Catena, ginecologa del Policlinico Gemelli di Roma, che si occupa di Sindrome di Rokitansky ed effettua gli interventi di ricostruzione vaginale: raccomanda ai genitori di non avere fretta, che siano le figlie a scegliere se e quando effettuare l’intervento, aggiungendo di come la sperimentazione stia portando all’innesto di tessuto vaginale autologo cresciuto in vitro e dunque, più sensibile al piacere.
Anzi, no. La fine del servizio è un’altra. Vi incoraggio a guardarlo, fino al termine. Questo vi permetterà di scoprire che oltre ad essere donne coraggiose, Elena, Grazia, Maria Laura, Francesca e Veronica sanno anche giocare. Ed è terapeutico farlo.