Tra il 1850 e il 1870, sono progressivamente sparite dalle cartelle cliniche del Santa Maria della Pietà le storie degli avvenimenti che avevano riguardato i pazienti ricoverati nell’OP.
In seguito all’idea che, come per la Paralisi Progressiva, di origine luetica, sarebbe stato possibile identificare gli agenti patogeni che avevano determinato le patologie mentali gravi, raccogliere le storie da cui trasparivano le vicende umane che avevano fatto perdere la testa ai ricoverati aveva perso di significato. Improvvisamente, tutto quello che era stato vissuto nella vita, antecedentemente al ricovero, sembrò non contare più nulla. Apparve improvvisamente chiaro che le tragedie e le conseguenti angosce sperimentate dai futuri pazienti prima che si manifestassero i segni della pazzia erano divenute prive di valore e, pertanto, non aveva più senso preoccuparsene e, tanto meno, riportarle in cartella.
I malati di mente cominciarono ad apparire ancora più distanti da noi di quanto già non lo fossero, dato che avevano in sé dei meccanismi endogeni alterati da cui dipendeva che, ad un certo punto della loro vita, fossero stati male e che tutto quello che avevano vissuto fino a quel momento poco ci entrava con l’insorgenza della malattia.
Nei successivi trenta quaranta anni, tra il 1870 e il 1910, all’incirca, furono divise in maniera chiara le malattie meno gravi, le nevrosi da quelle più gravi, le psicosi e fu stabilito che delle prime si sarebbe potuta occupare la psicoanalisi e, successivamente, tutte le altre psicoterapie, mentre delle seconde avrebbero seguitato ad occuparsi i medici psichiatri perché l’origine della malattia, per quanto ignota, prima o poi sarebbe stata scoperta e con essa la cura.
La seconda teoria psicoanalitica di Freud
A cavallo del secolo e negli anni successivi, avvennero due fatti che hanno avuto una grande importanza rispetto a quello che abbiamo pensato fino a poco tempo fa.
Da un lato Freud, abbandonò l’ipotesi, che fino a quel momento aveva riconosciuto come vera, che si fossero verificati traumi reali nella vita dei pazienti e che il meccanismo di difesa a cui i pazienti avessero fatto ricorso, per soffrire di meno, fosse stata la scissione, per passare alla convinzione che i traumi fossero stati vissuti in fantasia e che il meccanismo di difesa usato fosse stato quello della rimozione. Il riferimento alla prima teoria, mai definitivamente abbandonato, riemerse nel 1938 nelle opere di Freud, poco prima della morte, di fronte alle difficoltà di spiegare tutto con la “seconda teoria psicoanalitica”, quella, appunto dei traumi in fantasia e della rimozione.
I recenti sviluppi delle Neuroscienze
Oggi, come sancito da un brillante lavoro presentato da Pino Riefolo, alla fine del 2023, siamo tornati a credere principalmente nei traumi reali e nei lutti non elaborati da cui ci difendiamo con la scissione, che non è un meccanismo di difesa che usano solo i malati psichiatrici gravi ma tutti gli uomini, seppure in quantità diversa, a seconda del livello di sanità: chi sta male ne fa più uso, chi sta meno male in misura contenuta.
In più c’è da considerare che i recenti sviluppi delle Neuroscienze hanno dimostrato che i primi tre anni di vita non sono ricostruibili perché privi di memorie che possono essere raggiunte, tanto è che si parla di “inconscio non rimosso”.
Per ultimo vorrei aggiungere che, anche in relazione a queste ultime considerazioni, oltre che in relazione ai riscontri clinici, ci si è resi conto che i traumi e/o i lutti non elaborati non riguardano soltanto il paziente ma possono essere stati vissuti da chi appartiene alle generazioni precedenti, quella dei genitori, dei nonni, etc.etc.
Questo per quanto riguarda il versante della psicoanalisi-psicoterapia.
I cambiamenti nella psichiatria
Ma anche dal lato della Psichiatria sono accaduti cambiamenti importanti.
All’inizio del secolo scorso, in psicopatologia, prevalsero le grandi classificazioni di Krepelin e, successivamente, l’orientamento di Schneider che attribuiva alla presenza dei “sintomi produttivi” la più grande importanza per arrivare alla diagnosi di psicosi a discapito della posizione di Bleuler che pensava che il problema principale fossero i sintomi negativi e, in particolare, l’autismo, il ritiro in sé stessi. Ci è voluto un secolo perché la Psichiatria si rendesse conto che aveva ragione Bleuler e che il problema principale sono i sintomi negativi nelle psicosi.
La separazione tra psichiatria e psicoterapia
A questo punto, incomincio ad intravedere che la separazione tra Psichiatria e Psicoterapia non ha più motivo di sussistere.
I fatti accaduti in precedenza determinano quello che accade dopo, anche perché le cause organiche della psicosi, che si sperava di trovare, sono ben lungi dall’essere state individuate, né tanto meno sono state trovate medicine che funzionino come curativi, perché quelle che ci sono funzionano solo come sintomatici. Aggiungo, per inciso, che la genetica ha sancito, con l’epigenetica che il corredo genetico originario viene influenzato in maniera determinante dall’ambiente e rimanda a lui ogni responsabilità. Mentre appare sempre più chiaro che i traumi e/o i lutti non elaborati non solo del paziente, ma anche e, forse, soprattutto di chi lo ha preceduto nelle generazioni che ci sono state prima di lui e che sono rimasti congelati, hanno avuto un’importanza determinante rispetto all’insorgenza della malattia.
Infatti, noi oggi curiamo i pazienti gravi nelle Comunità Terapeutiche, facendo sperimentare loro la possibilità di vivere in un ambiente diverso da quello della propria famiglia e ci preoccupiamo, mentre il paziente è in comunità, di curare anche la famiglia per non fargliela trovare uguale al momento della dimissione, sia che ci ritorni a vivere insieme, sia che vada a vivere in casa famiglia o per suo conto, in un appartamento condiviso, più facilmente o da solo, più raramente.
La sinergia tra psichiatria e psicoterapia oggi
A mio parere, i mondi della psichiatria e quelli della psicoterapia si stanno avvicinando a grandi passi, sia dal punto di vista dell’evoluzione delle concezioni che da quello della operatività.
Sarebbe opportuno che la psichiatria, sempre più arroccata nella convinzione che sia giusto occuparsi solo dei sintomi del paziente per potergli fare la diagnosi e somministrargli la terapia, aprisse una riflessione su quali sono i punti di riferimento della riflessione scientifica attuale per quanto riguarda l’origine dei disturbi psichiatrici gravi e meno gravi e trovasse il coraggio di riformulare dalle fondamenta l’impostazione in cui, in barba all’evidenza che gli suggerisce il contrario, seguita a cercare ipotetiche origini biologiche e/o genetiche e ad insegnare metodi di intervento basati sulla considerazione del paziente come un insieme di sintomi più che come una persona.
Altrimenti seguiterà a sprofondare inesorabilmente.