Riflessioni condotte nel convegno SIEP “Oltre il posto letto: riabilitare la residenzialità” (Bologna, 23-25 novembre 2023)
Dal 23 al 25 novembre 2023 si è svolto a Bologna il XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, occasione preziosa, e molto partecipata, di confronto sui temi più urgenti e attuali nell’ampio panorama della salute mentale.
Il tema cardine dei lavori, la residenzialità in salute mentale, ha generato una riflessione critica e approfondita sotto molteplici angolazioni.
I lavori, iniziati con il saluto di Fabrizio Starace, presidente di SIEP, nell’arco dei tre giorni hanno ospitato interventi di eccellenza e intense riflessioni nei numerosi partecipanti.
Giovani De Girolamo ha esposto un’ampia sintesi di venti anni di ricerche in ambito scientifico, con un prezioso riferimento ad Avedis Donabedian e al suo modello per l’esame dei servizi sanitari e la valutazione di qualità dell’assistenza sanitaria.
Il contributo di Pietro Pellegrini è stato focalizzato sulla complessità del tema dei pazienti autori di reato, tracciando un percorso che va dalla legge 180, definita da Norberto Bobbio come la più grande riforma del dopo guerra a mettere in crisi il “patto sociale”, la legge 81/2014 a mettere in crisi il concetto di “pena”, alla più recente riforma Cartabia del 2022, fino ad arrivare alle attuali proposte di legge di riforma del Codice Penale relative alla limitazione della non impunibilità ai soli disturbi psicotici (PdL n.950/2023, Antoniozzi), e più radicali (PdL n.1119/2023, Magi), che supera il “doppio binario” abolendo (artt. 88/89) la non imputabilità, la pericolosità sociale e le misure di sicurezza.
Interessante lo spunto proposto da Tommaso Maniscalco, che riflette sull’asimmetria del rapporto fra psichiatria e magistratura, con particolare attenzione alle frequenti incongruenze tra i tempi sanitari che spesso non coincidono con quelli delle misure di sicurezza. L’analisi sui modelli delle strutture psichiatriche italiane, spesso prevalentemente incentrate sui pazienti psicotici rispetto ai sempre più emergenti disturbi di personalità e alle esigenze formative che necessitano di una maggiore attenzione all’ambito forense; senza ignorare il riferimento ai modelli di gestione di pazienti autori di reati internazionali, come quello inglese.
L’esperienza di Giuseppe Nese riguarda invece gli autori di reato affetti da disturbi mentali. Il sistema REMS della Regione Campania, la precisa raccolta di dati che si effettua tramite il sistema SMOP, e l’importanza di mantenere incontri settimanali con il PUR per la gestione dei pazienti, compresa una revisione costante della “lista d’attesa”.
Preziosi i contributi forniti dalle Lectiones Magistrales, dell’economista Stefano Zamagni, che ha consentito un’interpretazione più ampia rispetto a cui, noi psichiatri, siamo spesso lontani e da quelli della Research Director dell’Istituto Superiore di Sanità, Marialuisa Scattoni, sulle linee programmatiche per il territorio italiano del Budget di salute.
Nei simposi paralleli si sono alternate presentazioni più brevi di esperienze provenienti da più parti d’Italia. Realtà più piccole, non per questo meno rilevanti, e con differenti modalità di approccio al lavoro comunitario orientate alla recovery: dalla meditazione, ai gruppi multifamiliari, alle modalità dialogiche del dialogo aperto, e ad altro ancora.
Si è parlato di interventi di innovazione oltre la residenzialità, sfruttando le risorse del territorio che come ben presentato da Stefania Borghetti possono tramite il “Task Shifting” modificare l’assetto dei servizi territoriali, i numerosi contributi delle associazioni del terzo settore, dei nuovi approcci all’housing e all’abitare; della professionalità e della passione degli ESP e delle persone che operano a stretto contatto con la salute mentale.
In conclusione, è necessario e doveroso precisare che gli interventi qui citati sono solo alcuni fra i tanti che hanno dato al Convegno l’importanza di un dibattito e di uno scambio di estremo interesse per la qualità e quantità dei contributi presentati. Una relazione più esaustiva richiederebbe altro spazio e sicuramente altra sede per elaborare le informazioni e gli stimoli generati.
Termino le mie riflessioni dicendo che, fra i numerosi e complessi temi affrontati durante il Convegno, mi è parso che uno dei punti più controversi, che ha suscitato più domande e curiosità, sia stato quello inerente la gestione dei pazienti autori di reato, delle REMS e dei possibili risvolti della posizione di garanzia e del mandato dello psichiatra con particolare riferimento al momento storico attuale.
Commento di Andrea Narracci
Ringrazio il collega Miletto ma non posso nascondere le molte perplessità che questo Congresso mi ha suscitato a proposito dello stato della Psichiatria in Italia.
Per brevità, su tutte una: a distanza di più di venti anni dalla ricerca “Progress”, non solo ancora non sappiamo che cosa si fa nei diversi tipi di residenze psichiatriche, ma nessuno in questo paese, né lo Stato, né tanto meno le Regioni se lo chiedono. L’unica cosa che sappiamo è che i posti letto psichiatrici in Italia, per pazienti acuti, meno acuti e cronici, sono circa un terzo di quelli di cui dispongono gli altri paesi europei.
Sorge allora una domanda: il modo in cui vengono gestiti è nello spirito della 180 o va in quello della riaperture dei Manicomi? E in base a quale parametro lo stabiliamo? Ma forse è una domanda troppo pericolosa. Per rispondere ad essa bisognerebbe scoprirsi, mostrare quello che si fa e, magari, prendersi qualche critica…
Ringrazio per la sintesi sul congresso SIEP a cui non ho potuto partecipare. Scostandoci dal tema autori di reato, che dovrebbe rappresentare una nicchia del problema psichiatrico mentre sta diventando il leitmotiv della psichiatria italiana, colgo la perplessità di Andrea Narracci e aggiungo.
Cosa si fa nelle residenze italiane? Il termine genera gli equivoci, a mio parere. In una residenza si vive, e basta. Questo vuole dire che si fa ciò che si desidera o che serve per vivere. Se non si può vivere da soli si deve essere sostenuti, magari da qualcuno che ci ama oppure da qualcuno professionalmente, e questo è quanto dovrebbe accadere nell’abitazione supportata. In questa forma di residenza si dovrebbe potere scegliere con chi si vuole vivere, ovviamente. E sentirsi amorevolmente sostenuti.
Infine, se ancora più bisognosi, si deve ricorrere ad una residenza assistita. Che ci si augura non troppo lontana nell’organizzazione da una condizione di vita domestica, non troppo sanitaria. In questa forma si cerca assistenza, non troppo intrusiva, direi.
Questo dovrebbe essere il filo rosso delle residenze per tutti, compresi i pazienti psichiatrici. Il problema che si genera deriva dalla combinazione tra residenza e psichiatria (SRP), che presuppone che nella stessa condizione debbano svolgersi la vita e la cura. Cosa che dovrebbe armonizzarsi ed alternarsi lasciando reciprocamente spazi liberi ed invece in psichiatria diventa in modo assillante sovrapposta.
Che serva una sovrapposizione totale tra vita e cura sono assolutamente convinto anche io, ma che debba essere a termine, su obiettivi precisi, e che debba svolgersi in ambienti che un tempo chiamavamo felicemente Comunità Terapeutiche.
Mi trovo estremamente d’accordo con le osservazioni di Andrea. Io, presente al convegno, ne sono uscita frastornata e con un bel po’ di amarezza sullo stato della residenzialità. Troppe volte ho sentito dire “impossibile raccogliere i dati”. Manca la trasparenza per poter credere che le molte cose ascoltate possano diventare realtà.
Ho invece apprezzato una mamma che, presente come rappresentante di un’associazione familiari, ha fatto sentire la sua voce di protesta davanti a chi proclamava che nei primi cinque anni dopo l’esordio della malattia si decide l’intero futuro.
Per il resto continuerò a fare il mio lavoro raccontando a chi me lo chiede in cosa consiste, osservando e cercando di essere sincera anche davanti alle difficoltà.